Visioni. “Enea”, l’incerta opera seconda di Pietro Castellitto

Pietro Castellitto mette in scena una gioventù romana che ricerca la potenza. Dopo il folgorante esordio di Predatori, l’attore-regista gira un film carico di simboli, di intenzioni, ma, soprattutto, di dichiarazioni ridondanti, attraverso un uso spregiudicato della macchina da presa. Le molteplici strategie narrative che scandiscono il ritmo di Enea, l’opera seconda firmata dal giovane autore, sono frutto di una visione ambiziosa e confusa che, alla lunga, mostra la corda. Il direttore della Mostra del cinema di Venezia Alberto Barbera (dove il film è stato presentato nella Selezione ufficiale) aveva introdotto Enea parlando di “Grande bruttezza”, come antitesi del film di Paolo Sorrentino. Il paragone è comprensibile rispetto ai temi ma assolutamente improbabile per quanto concerne il tono. Disincantato, nel film del regista partenopeo. Compiaciuto, nella pellicola di Castellitto. Il nuovo lungometraggio di Castellitto racconta la storia di Enea (lo stesso regista), un 33enne che vive a Roma Nord, in un’epoca decadente. Un antipatico antieroe dedito alla ristorazione, all’organizzazione di feste e allo spaccio di droga. Il ragazzo che, pomposamente, dichiara di vivere per ferire le persone che ama, nella gestione del malaffare, è coadiuvato dal sodale Valentino (il felpato Giorgio Quarzo Guarascio), aviatore che ha appena preso il brevetto di pilota di aerei da turismo, che ama cantare una personale versione di Spiagge, celebre brano di Renato Zero. La famiglia di Enea è composta dal padre psicoanalista Celeste (uno smarrito Sergio Castellitto), dalla madre Marina (una tenera Chiara Noschese), che lavora come giornalista culturale, e dal fratello Brenno (un divertito Cesare Castellitto), che a scuola accusa diversi problemi. Frattanto, Enea incontra una ragazza della quale si innamora, Eva (un’eterea Benedetta Porcaroli).   

L’incipit del film si apre su una lunga scena popolata da tre personaggi (Enea, Valentino e Marina) che discutono nel corso di una quieta notte romana. Il loro dialogo è caratterizzato da una sequela di luoghi comuni: “Meglio la miglior solitudine alla peggior unione”; “la depressione dà uno scopo: sopportare la vita”. Il racconto segue le vicende di Enea, proprietario di un ristorante etnico che accetta, insieme all’amico, di fare da corriere di ingenti quantità di cocaina via aereo. La famiglia del ragazzo è un’apparente oasi di tranquillità. In realtà, il padre psicanalista ostenta un approccio sereno alla professione, salvo sfogare in solitudine la propria rabbia repressa. La madre odia, in maniera indiscriminata, i colleghi di lavoro. Il fratello Brenno venera Enea e fuma sigarette, al riparo da sguardi indiscreti. Il protagonista prova a scompaginare il milieu familiare, frequentando Eva, la fidanzata perfetta. Altri due personaggi del film meritano la menzione. Il primo è il malmostoso giornalista Oreste Dicembre (il mellifluo Giorgio Montanini). Il secondo è lo spacciatore Giordano (un misurato Adamo Dionisi), tarantinianamente prodigo di riflessioni inaspettate. La cifra stilistica del film è una miscellanea di sguardi isterici e afflati surrealisti, con vaghe striature umoristiche. Con un approdo finale che risulta fuori tono rispetto alla temperatura narrativa complessiva. Un film ondivago che veleggia verso il nichilismo assoluto, salvo virare, alla fine, verso un moralismo intriso di rabbiosa indignazione. Pietro Castellitto mostra un talento ancora acerbo. Tuttavia, la sua idea di regia, indubbiamente influenzata da Luca Guadagnino (qui nelle vesti di produttore), mostra un interessante gusto della composizione. La scelta musicale, purtroppo, non appare altrettanto ispirata. Suona come la colonna sonora di un film estivo dei fratelli Vanzina: si passa Bandiera gialla a Maracaibo, fino a Maledetta primavera.

Aggiornato il 05 luglio 2024 alle ore 19:20