Stupri, omicidi, violenze e abusi di ogni genere riempivano i resoconti della Russia tardo-ottocentesca, dipingendo un quadro estremamente difficile della condizione infantile. Fëdor Michajlovič Dostoevskij affrontò il problema dell’infanzia maltrattata e della sofferenza dei bambini attraverso la sua attività narrativa in una elaborazione personale e intima. Questo tema attraversa la sua copiosa produzione narrativa, con una riflessione sulle condizioni dei minori dal punto di vista giuridico e sociale nella sua opera cronachista e giudiziaria (Diario di uno scrittore) per poi proseguire nel primo romanzo (Povera gente) sino all’ultimo capolavoro (I fratelli Karamazov). La rappresentazione poetica della figura infantile nelle opere di F.M. Dostoevskij ebbe un substrato informativo di natura cronachistica e giudiziaria che ne costituì il terreno preparatorio per la composizione dei suoi romanzi nel il Diario di uno scrittore, che racchiude gli articoli mensili pubblicati da Dostoevskij sulla rivista Il cittadino (Graždanin). Dostoevskij meticolosamente annotò le sue impressioni derivanti dai frequenti processi giudiziari, di cui era appassionato.
Questi rappresentavano un autentico momento propedeutico, un’opportunità di acquisire dati grezzi e reali prima di intraprendere il lavoro di rimodellamento e adattamento narrativo. L’autore dimostrava la sua notevole abilità nel creare un unicum coerente da una vasta gamma di materiale eterogeneo, che spaziava dalla cronaca nera e giudiziaria all’aneddotica e all’agiografia. Il mondo infantile era privo di una voce, una presenza silenziosa che subiva passivamente, inerme, le dure pene inflitte dalla società. Giuridicamente, il bambino veniva equiparato allo status di adulto, solo intorno al 1880 furono adottati i primi provvedimenti timidi nel campo della tutela del lavoro infantile, in risposta alle spinte riformatrici volute da Alessandro II. Stupri, omicidi, violenze e abusi di ogni genere riempivano i resoconti della Russia tardo-ottocentesca, dipingendo un quadro estremamente difficile della condizione infantile.
Dostoevskij affrontò il problema dell’infanzia maltrattata e della sofferenza dei bambini attraverso la sua copiosa produzione narrativa, dal primo romanzo (Povera gente) all’ultimo capolavoro (I fratelli Karamazov). Nel capitolo iniziale del Diario intitolato L’ambiente, che inizia nel 1873, Dostoevskij analizza vari casi giudiziari in cui i protagonisti sono bambini vittime di violenze e abusi di vario genere. Questi casi spesso terminano con assoluzioni troppo facili e affrettate degli aguzzini. I primi casi menzionati nel Diario sono esemplificativi di questa prassi scandalosa: uno riguarda una bambina che assiste al suicidio della madre, anch’essa vittima del marito; un altro racconta di una madre violenta che affronta il pianto della figlioletta di dodici mesi immergendo le sue mani in acqua bollente. Dostoevskij utilizza questo gesto terribile come pretesto per criticare aspramente il sistema giudiziario e le teorie prevalenti tra gli avvocati. Queste teorie indirizzavano la colpa delle atrocità sull’ambiente anziché sulla responsabilità individuale. Le assoluzioni risultavano in uno squilibrio giuridico a svantaggio dei bambini, rafforzando il loro ruolo di vittime prive di diritti e silenziate sia dalle istituzioni che dalle famiglie compiacenti.
Il disgusto di Dostoevskij richiama non solo una disfunzione oggettiva del sistema giudiziario, ma soprattutto la responsabilità individuale, elusa attraverso gli arguti sofismi degli avvocati e la generica incapacità di “chiamare il male col suo vero nome”. Il colpevole di crimini contro l’infanzia veniva giudicato in base a una “filosofia dell’ambiente” che scagionava l’uomo, trasformandolo in uno strumento passivo di un male reso quasi ‘volatile’ e astratto. Un concetto completamente diverso è “il male” per Dostoevskij, essendo il risultato di una concezione ontologica, intrinseca alla libertà, antecedente a ogni scelta morale. Questa concezione colloca l’uomo libero nella possibilità di aderire sia al bene che alla sua aperta condanna. Tuttavia, il male è anche ‘reale’, producendo effetti concreti come crimini e le relative punizioni. Questo punto cruciale della teoria dostoevskiana è strettamente legato al grande problema della sofferenza innocente.
La sofferenza dei bambini è associata alla responsabilità collettiva degli uomini, intesa come responsabilità per colpa e peccato. Tale associazione mira a conciliare la scandalosa impasse della sofferenza innocente. La perseverante ricerca di una risposta a questo mistero irriducibile ha portato Dostoevskij a esplorare approfonditamente la questione infantile. Durante il gennaio del 1876, nel Diario, Dostoevskij descrive la sua visita alla colonia minorile di Ochta, dove ha l’opportunità di osservare i giovani corrigendi e interagire con questi “angeli caduti” come li definisce. Nella colonia, la vita dei ragazzi è rigidamente regolata da ferree norme e abitudini, sotto l’influenza di un potere disciplinare che li rende apparentemente docili e predisposti a negoziare un cambiamento interiore. Tuttavia, Dostoevskij riflette amaramente sul fatto che queste anime infantili hanno già conosciuto esperienze oscure, impressioni forti che li perseguiteranno nei sogni per tutta la vita.
Conclude con la constatazione che, al momento, i mezzi per trasformare le anime viziose in anime pure sono insufficienti. In quegli anni, Dostoevskij progetta un romanzo che avrà come protagonisti i bambini, la società corrotta, e il denaro come fonte di potere e rovina. Tale concezione concettuale si materializza nell’Adolescente, pubblicato nel 1875 con i suoi primi cinque capitoli. In questo romanzo, l’autore condensa idee già mature nel Diario riguardanti le “famiglie casuali,” ovvero famiglie disgregate incapaci di trasmettere valori saldi e idee forti, dove spesso i bambini sventurati o orfani trovano rifugio. Nella fase conclusiva della creazione letteraria, emerge con predominanza l’immagine del bambino martire, diventando un elemento chiave per comprendere l’ultimo capolavoro di Dostoevskij, I fratelli Karamazov. Il piano del romanzo viene delineato nei taccuini preparatori a partire dal luglio 1878, e questa opera rappresenta probabilmente il punto in cui il dato cronachistico non solo stimola la creatività, ma si intreccia in modo osmotico con la trama del romanzo.
Il tema del male e il conflitto familiare, che culminano nell’atto estremo del parricidio, traggono ispirazione da un evento di cronaca nera in cui un tenente chiamato Iliskij fu accusato di aver ucciso suo padre per ottenere l’eredità. Questo episodio diventa il fulcro del delitto che permea la parte finale del romanzo, nel capitolo intitolato “Un errore giudiziario,” in cui Dmitrij Karamazov viene accusato dell’atroce omicidio del padre. La narrazione segue un’incalzante sequenza di scene che, sul piano mimetico, ricrea in modo perfetto una requisitoria in aula. Il legame tra il Diario di Dostoevskij e il romanzo si intensifica ulteriormente quando l’autore inserisce, tra la requisitoria di Ivan Karamazov (che occupa gran parte del secondo capitolo) e la risposta dello starec Zosima, la tematica dei bambini martiri. Questo avviene all’interno di una complessa struttura che esplora su vari livelli il problema esistenziale della sofferenza innocente. Il Diario, con i suoi estratti di cronaca, e i taccuini, con i relativi frammenti compositivi, fungono da laboratorio per la creazione de I fratelli Karamazov.
In un processo inverso e reciproco, il romanzo restituisce al Diario il suo giusto merito, raccogliendo e arricchendo tutte le sfumature dell’idea originaria. Ciò avviene nel senso dell’essenza intima del pensiero dei personaggi, del substrato ‘ontologico’ che va oltre la mera dimensione psicologica della loro visione del mondo. I ricordi del processo Kronenberg, in questo contesto, non si sono mai dissolti e, anzi, stanno maturando in un disegno più ampio e organico. Un appunto tratto dai quaderni del ’74-’75 collega addirittura l’atroce vicenda della bambina torturata al problema del male invendicabile nei confronti dei più piccoli, ancor prima che si elaborasse il piano generale de I fratelli Karamazov.
Le parole di Ivan Karamazov non costituiscono affatto una stilizzazione letteraria, che era pur presente, a diversi livelli nella ‘ritrattistica’ dei bambini dei romanzi, ma sono tutte fondate sulla realtà. Così Ivan Karamazov prima di snocciolare le terribili scenette dice di “aver raccolto moltissimo materiale sui bimbi russi”; egli racconta di un episodio, letto nell’Archivio o nel Passato, accaduto ai tempi della servitù della gleba, in cui un generale latifondista aizza la muta di cani contro un bambino di otto anni, il figlio della servitù, perché aveva accidentalmente ferito la zampa del suo levriero; il bambino tenta di salvarsi dalla furia del branco ma finisce per essere sbranato sotto gli occhi compiaciuti del generale e quelli disperati della madre. Continua citando una vicenda raccapricciante: una bambina, figlia di rispettabili borghesi che veniva sottoposta a torture inenarrabili; i genitori la picchiavano, la frustavano, e la rinchiudevano per tutta la notte dentro la latrina e in seguito le impiastricciavano il viso con i suoi escrementi e la costringevano a mangiarli. “Valgono queste sofferenze il prezzo dell’armonia universale? No, e pertanto “io restituisco il biglietto, perché la solidarietà nel peccato, fra gli uomini, io la comprendo e comprendo anche la solidarietà nelle sanzioni, ma non già la solidarietà, nel peccato, con i bambini”.
Per Dostoevskij il problema della sofferenza dei bambini è un’aporia filosofica e religiosa chiara ed inequivocabile. Questa prospettiva emerge non solo dal celebre rifiuto di Ivan Karamazov, che afferma: “Se la futura armonia deve costare il prezzo anche di un solo piccolo battuto, io restituisco il biglietto”, ma anche dall’interesse personale di Dostoevskij, che vede nei bambini un riflesso dell’immagine di Cristo. Il principe Myškin, L’idiota, una figura cristologica, è dipinto come un sempliciotto, un bambino tra i bambini. Il male assoluto, il nichilismo più grave e l’anticristo per eccellenza, rappresentato dal ripugnante Stavrogin dei Demoni, si confronta con la forma più vile di violazione dell’innocenza: lo stupro di una bambina. Le pagine dostoevskiane sono intrise di una ricca rappresentazione di bambini afflitti, maltrattati e vessati. La loro presenza non si limita a essere un semplice avvertimento rivolto al lettore e alla società, ma solleva una seria questione etica e di rappresentazione del bambino come entità autonoma nel mondo. Questa rappresentazione non si limita al dolore e alla sofferenza, ma si estende anche a termini affermativi e performativi, indicando un ruolo attivo nel confronto con il mondo degli adulti, un ruolo che, per l’autore russo, ha un significato catartico e salvifico.
(*) Tratto dal Centro studi Rosario Livatino
Aggiornato il 23 febbraio 2024 alle ore 14:59