Povere creature: ma in certi casi non è vero né il sostantivo né l’aggettivo. Soprattutto se si sta parlando dell’ultimo film omonimo di Yorgos Lanthimos (dal 25 gennaio nelle sale italiane), per la magistrale interpretazione di Emma Stone (Bella Baxter) e di Willem Dafoe (Godwin Baxter), in cui quest’ultimo interpreta il ruolo di un mostro pacifico, venuto fuori da un padre-Mengele, che lo ha preso come cavia rendendolo più simile a un Frankenstein, e per giunta eunuco, al termine dei suoi esperimenti casalinghi. Unica eredità positiva transitata da padre al figlio è la grande passione comune per la chirurgia, che spinge lo stesso Godwin verso quei margini del cosmo che sfiorano Dio, dando vita a una strana creatura, essendo quest’ultima il figlio e al contempo madre di se stessa. Proprio lei, Bella Baxter, costretta in uno stupendo corpo adulto ad apprendere i rudimenti di base della vita, linguaggio compreso, come farebbe un bimbo di meno di due anni che si regga a stento in piedi. E poiché la sessualità senza veli è la parte istintuale primordiale di una creatura che nasce, anche Bella andrà in giro per un fantasmatico mondo di fine ottocento, indossando un decolté da camera in pieno inverno in una Parigi madre di tutti i vizi, assaporandone con gusto tutte le sue peccaminose essenze.
Il tema vero però non è dato dall’aspetto bionico della protagonista, quanto dall’oggetto a tutto tondo della sessualità, sia maschile che femminile, da cui ovviamente si chiama fuori il suo padre putativo, ovvero il Godwin eunuco, che lascia andare per il mondo lo spirito libero di Bella. E in lei, volendo essere espliciti, c’è la Marianna che trionfa sugli uomini inutilmente armati, sfiancandoli con la sua insaziabilità e poi mettendone alla berlina tutti i difetti, i tic e le posture machiste, senza mai tuttavia giocare con la pornografia. Quasi un diario medico, tenuto per diversi casi di pazienti in una clinica per devianze sessuali. Cosicché gli uomini-padroni, gli sciupafemmine, i latin lover non sono più i dominanti ma i dominati, perduti nel liquido amniotico primigenio della femmina madre e amante. L’altro cardine sul quale ruota la narrazione e laddove si esercita tutta la maestria della regia è nella gestione della mostruosità. Come sottolinea lo stesso Willem Dafoe, nell’incontro con la stampa del 16 gennaio, il creatore di Frankenstein prova repulsione per la sua creatura, mentre qui siamo confrontati al ribaltamento del rapporto creato-creatore per cui è proprio quest’ultimo il “mostro” in positivo, delicato e sensibile, mentre l’altra bellissima e insensibile creatura porta con sé non poche perversioni dovute alla sua nascita contro natura.
Ma che cos’è una maschera per un attore (tenuto conto che per quella di Defoe ci vogliono tre ore di preparazione!), se non uno strumento, una macchina del tempo, in cui scompari tu e appare un Altro da te, di cui però tu fai finta di essere proprio lui. E che cos’è lo strano twin Bella-Godwin, se non un tentativo reciproco di dare una seconda chance a una bella suicida e una seconda vita al suo creatore? Ed è vero, come sostiene Dafoe, che il vero grande amore del suo personaggio mostruoso (ma quante creature lo sono nella natura, pur avendo un carattere mitissimo e innocuo?) è la scienza, in nome della quale non ha nessun timore a giocare a Dio. Proprio perché, in fondo, sa di non di non esserlo per la sua natura mortale, che lo condurrà ad autodiagnosticarsi il male inguaribile che lo consuma, senza un Godwin che lo possa ricreare. Perché, in fondo, dice Dafoe, Dio e Godwin sono entrambi personaggi simpatici e molto soli!
Aggiornato il 19 gennaio 2024 alle ore 14:07