Le vetrine delle nostre librerie sono ricche di autobiografie di reali, attrici e attori più o meno noti, sportivi di ogni tipo e tanti, tanti gialli. Spesso rimango un pochino perplesso; sì, rivaluto la rilettura e metto in fila i libri che mi hanno accompagnato fino a oggi. Penso subito al grande, grandissimo Georges Simenon e alla sua sterminata produzione di romanzi e racconti, testimonianza della sua immensa conoscenza dell’uomo in tutti i suoi aspetti (illuminante sapere che in ogni città in cui andava si recava nella locale casa chiusa); in fondo, molti giallisti si ispirano ai tanti casi risolti dal commissario Maigret (chi si ricorda della magistrale interpretazione di Gino Cervi nella lontana riduzione televisiva, sicuramente da rivedere?); cosa dire poi del romanzo La camera azzurra, a mio parere un vero e proprio capolavoro sull’essenza più profonda del desiderio e dell’amore? Oggi, però segnalo un romanzo politico, forse meno noto nella produzione del nostro prolifico autore, ma estremamente interessante per l’analisi sul potere, sulla sua perdita e le relative conseguenze. Si tratta del libro Il presidente.
Il protagonista era stato uno degli uomini più potenti per un periodo molto lungo, ma durante la sua vecchiaia, in una solitudine angosciosa, comprende di essere continuamente sorvegliato, non tanto dai suoi ispettori (i suoi cani da guardia, come li definisce lui), ma anche dalla sua infermiera, dal suo fedele autista, dalla sua segretaria. Si chiede cosa cerchino in modo affannoso, di nascosto, tra le sue carte di ministro degli Interni; da poco aveva comunicato a un giornalista di voler scrivere e pubblicare le sue memorie; cosa significa questa ricerca spasmodica dei documenti? È ancora pericoloso? Anche per quel giovane che ha istruito e che sta diventando come lui, anche nell’andatura, l’atteggiamento, i tic?
(*) Il presidente di Georges Simenon, Traduzione di Luciana Cisbani, Biblioteca Adelphi, 155 pagine, 16 euro
Aggiornato il 19 gennaio 2024 alle ore 12:53