“C’è una marea nelle cose degli uomini che colta al flusso conduce alla fortuna”, così William Shakespeare nel suo Giulio Cesare. Napoleone, degno erede del grande Cesare, ha colto brillantemente questa corrente favorevole durante le sue campagne in Italia del 1796/97 e del 1800. Il 15 maggio, siamo nel 1796, il giovane generale Bonaparte, aveva 27 anni, dopo aver passato l’Adda a Lodi, entrava vittorioso a Milano. Stendhal, nella Certosa di Parma, scrive che dopo secoli Cesare e Alessandro hanno trovato un successore. È un peccato che Hollywood ci presenti il suo Napoleon saltando a piè pari l’esperienza nostrana del grande condottiero all’esito della quale un semplice generale del Direttorio, Bonaparte appunto, si trasforma in Napoleone e durante la quale si afferma inequivocabilmente il mito della sua invincibilità e prende avvio una straordinaria e forse irrepetibile parabola politico-militare.
Talvolta la semplice ricerca dell’effetto speciale offre una lettura lacunosa o perlomeno eccessivamente parziale della storia, una specie di moderno “complesso di Avatar”, ove l’immagine fatta di sguardi e gesta mal si concilia con rigore, compostezza e linearità. Non ricordare con doverosa puntualità Napoleone in Italia è forse la pecca più grave dell’opera di Ridley Scott. Se le battaglie sono i segni di punteggiatura della storia, come ci dice un grande inglese, Winston Churchill, allora una buona parte di essi, per quanto attiene l’epopea napoleonica, è stata messa in Italia. Infatti, durante le operazioni nella nostra Penisola si delinearono alcune straordinarie qualità che ciclicamente si riprodurranno in tutte le sue vittorie: dalle Piramidi ad Austerlitz, da Wagram a Jena, per citarne alcune delle più famose.
Innanzitutto, la capacità quasi divinatoria di intuire le mosse dell’avversario e di farsi trovare al posto giusto nel momento giusto per la contromossa vincente. In secondo luogo, la rapidità di ideazione ed esecuzione della manovra, magistralmente colta da Alessandro Manzoni nel 5 maggio: “Di quel securo il fulmine tenea dietro al baleno”. Infine, la qualità di leader riconosciuto, rievocata genialmente nel famosissimo dipinto di Antoine-Jean Gros per la battaglia di Arcole, sempre in Italia, ove si vede unicamente il generale Bonaparte con la spada e la bandiera in mano, che significa esposizione al rischio in prima persona e con lo sguardo rivolto indietro che ci ricorda la capacità di farsi obbedire e comprendere attraverso il più immediato, efficace e semplice dei gesti. Certo, per il mondo anglosassone, questo generale corso di origine italiana, naturalizzato francese, vittorioso, una sorta di castigamatti più temuto dalla fine del 1700 al Congresso di Vienna, rappresenta quasi un’anomalia, perché contrario ad un idealtipo di efficientismo nordico e di matrice mitteleuropea.
Nell’isola britannica egli rimase sempre “Bonaparte” da cui “Boney”; l’appellativo di imperatore non gli fu mai concesso dagli inglesi e il vignettista James Gillray, un Forattini dell’epoca, lo rappresentava sempre basso e arrogante con un enorme cappello che sfidava proditoriamente John Bull, la personificazione allegorica della Gran Bretagna. Egli, a partire proprio dalla Campagna d’Italia, ha stravolto il mondo, annichilendo re, principi e nobili. Un piccolo borghese, parvenu, sovvertitore in nome della meritocrazia, capace persino di riscrivere la sua vicenda terrena, dettando in prigionia a Sant’Elena a Las Casas le sue memorie che diverranno per l’epoca un bestseller. François-René de Chateaubriand, che nei suoi confronti non è mai stato tenero, lo ha definito “Il più potente soffio di vita che abbia mai animato l’argilla umana”. Quasi conveniente una sua trasformazione sul grande schermo a favore del grande pubblico: l’emarginato che sfrutta a dovere la rivoluzione, il campione di evidente machismo di sangue latino, a partire dalla sua condotta amorosa, l’antidemocratico per eccellenza violentemente attratto da una turbolenta passione per il potere.
Napoleone era un grande appassionato di matematica, essendo ufficiale di artiglieria e di storia, specie quella di Roma. Proprio a partire dalla Campagna d’Italia si evidenziano in lui le qualità di due tra i più luminosi simboli della Storia di Roma: Cesare, lo stratega vincitore, ed Augusto, il grande legislatore. Egli, infatti, crea dal nulla e di iniziativa le Repubbliche Cispadana e Cisalpina, prime forme istituzionali di unità nazionale, e più tardi, quale legislatore ormai conclamato il Codice civile, le Prefetture, la Gendarmeria e i Licei, tanto per citare alcuni tra gli esempi più noti. È lo stesso Napoleone a ricordarci il valore della Campagna d’Italia attraverso un quadro famosissimo di Jacques-Louis David: La distribuzione delle aquile. Tra le tante bandiere, a suggellare le vittorie finora ottenute, solo tre nomi: Lodi, Rivoli e Marengo, tutti episodi gloriosi delle Campagne d’Italia. Dopo la vittoria decisiva di Rivoli che portò alla Pace di Campoformio, disse: “Le legioni romane fanno 24 miglia al giorno, le mie brigate ne fanno 30 e negli intervalli combattono”. Forse il nostro caro Ridley Scott avrebbe fatto bene a ripassare un po’ la storia nazionale prima di avventurarsi a rappresentare la vita di un personaggio che appartiene alla storia universale e che ebbe a riconoscere di essere ambizioso per “fondare l’impero della ragione e il pieno esercizio di tutte le facoltà umane”, affermando che a questo punto “lo storico forse si troverà ridotto a rimpiangere che una tale ambizione non abbia raggiunto il suo scopo e non sia stata soddisfatta”, dal bilancio della propria vita, memoriale di Sant’Elena.
(*) Storico e generale di Corpo d’Armata
Aggiornato il 08 gennaio 2024 alle ore 18:45