Come viene la Napoli milionaria! nel film per la tivù che andrà in onda il 18 dicembre su Rai 1, per la regia di Luca Miniero e l’interpretazione di Vanessa Scalera (Assunta) e Massimiliano Gallo (Gennaro)? In buona sostanza, si evidenzia un sapiente mix tra teatro, televisione e cinema, anche grazie allo spazio teatrale appena dilatato della vita napoletana del basso e del vicolo, e all’arte bella e appassionata degli attori protagonisti, perfetti interpreti del dramma di Eduardo De Filippo, scritto pochi mesi prima della fine della Seconda guerra mondiale. In particolare, la lentezza esecutiva e la rigidità posturale di Massimiliano Gallo ricordano molto da vicino la mimica e lo stile di Eduardo. Le sue parole si allungano lentamente all’interno della scena, come una palla troppo pesante che scende da un albero di Natale sempre più spoglio. Dal suo punto di vista (nella ridondanza della ripetizione: “La guerra non è finita”), la vita intera appare come uno stampo fratturato da cui fuggono tutte le promesse, rivelatesi nel seguito impossibili da mantenere. Del resto, Gallo aveva già magistralmente interpretato il film Il silenzio grande, per la regia di Alessandro Gassmann, un personaggio altrettanto emblematico che si aggira tra i fantasmi della sua biblioteca tra passato, presente e allucinazioni assortite.
La chiave di tutto sta nel buon senso scaramantico eduardiano, per cui “Adda passà ‘a nuttata”, in attesa della svolta all’alba di un dramma personale, come quello di un quartiere, di una città, di un’intera nazione. Eduardo, con ogni probabilità, “sentiva” però che quell’alba non sarebbe mai arrivata: dalla borsa nera si sarebbe passati al sacco edilizio di Napoli, alle guerre di camorra, arrivate a ondate in ambienti urbani deprivati e depressi, cementati dalla povertà più nera dei senzalavoro e del precariato a vita dei lavoretti. Periferie estreme della società dell’abbondanza, sommerse da una neve avvelenata che ricopre di un lutto bianco quartieri sempre più degradati, abbandonati alla loro lebbra cementizia, inondati di cocaina, droghe sintetiche e violenza. Presi in trappola per ultimo dalla gentrificazione dei Quartieri Spagnoli (ma non ancora di Forcella della Napoli milionaria), che non hanno più nulla della pur nobile miseria di povere mura domestiche corrose dall’umidità e dall’incuria, malamente arredate come la vita dei loro inquilini. Un’esistenza la loro che assomigliava alle scoperture a macchia di leopardo degli intonaci; interni desolati di case fatiscenti che hanno ospitato intere generazioni nate schiave della fame. Nella profezia di Eduardo, la Pietas abbandona il volto lacrimevole della Madonna, per comparire invece su quello di un San Giuseppe profugo e straccione, di ritorno dai campi di prigionia della fame, della sete, delle privazioni e della sopraffazione.
Lui, Gennaro, il ritratto dell’onestà e della mitezza del tranviere che, per mestiere, è un passatore di gente che lo sfiora con il propri dolori, gioie, innamoramenti, liti e passioni. Per tutti, il suo volto bonario stacca un biglietto di buon viaggio e, possibilmente, di andata e ritorno. Mentre Assunta, la leonessa del vicolo, combatte per la sopravvivenza con le borsaiole nere come lei: donne decise che surrogano i loro uomini vuoi imboscati, o con la divisa lacera, o prigionieri oppure dispersi in guerra. Poi, la morale nel finale con un doppio ribaltamento della vendetta e della controvendetta. In un primo tempo di pace, si immagina una coppia borghese benestante che passa squadrando dall’alto verso il basso la gente dei vicoli napoletani prigionieri della miseria, con le sue popolane malvestite e cariche d’invidia. Poi, queste ultime che si vendicano ai tempi della borsa nera, immiserendo quegli stessi benestanti che non hanno avuto il loro identico, disperato coraggio d’investire in beni alimentari introvabili con le tessere annonarie, da fare incetta per i commerci illegali, aggirando così la fame della guerra. Poi, il ribaltone, in cui la cultura borghese trova la forza per offrire a nessun prezzo ciò che tutti i guadagni milionari da borsa nera non sono stati in grado di trovare e comperare.
Nell’incontro con il cast, è emerso come Eduardo sia una sorta di nitroglicerina della rappresentazione e dei rappresentati, delle persone e della società intera con i suoi costumi degradati. Immagini perfette anche per i giorni nostri, scavati dalle rughe e dalla sofferenza di guerre reali e numeriche. E, per Gallo, arrivare alla conclusione di “Adda passà ‘a nuttata”, significa inseguire i vari personaggi nelle loro evoluzioni con le dovute risonanze profetiche e contemporanee di quel modo di dire ossessivo: “La guerra non è finita”. Perché, se la ricostruzione può cancellare le macerie esteriori, quelle interiori invece non si ricompongono mai nell’infinita, struggente e sorridente tristezza dell’anima napoletana. Mentre per la Scalera, il momento magico di massima difficoltà interpretativa è aver saputo infondere l’anima a quella donna intrigante, con il carattere rude della contrabbandiera, che non aveva mai visto il mare. Insomma, Eduardo è un cocomero che, sezionato, diviene un caleidoscopio da ricomporre all’infinito, come in un ipercubo di Rubik.
Voto: 8,5/10
Aggiornato il 14 dicembre 2023 alle ore 14:01