Quanto è piccolo il mondo? Quanto una foto “20 x 30”, come ci racconta il bel film giapponese Foto di famiglia del regista Ryōta Nakano, da oggi nelle sale italiane. Basta e avanza quel tipo di formato per catturare l’anima di una famiglia particolare (e di molte altre in futuro), come quella dei quattro componenti della “Asada”, la madre Junko (Jun Fubuki) infermiera e unico stipendio che entra in casa fino a che i figli, il giovane protagonista Masashi (Kazunari Ninomiya) e suo fratello maggiore Yukihiro (Satoshi Tsumabuki), non saranno grandi. A tutti loro, fa da angelo del focolare a parti invertite un padre dolcissimo, disoccupato cronico, con un sogno da pompiere nel cassetto. Come a non realizzarsi mai è anche la speranza del maggiore dei due fratelli: divenire un pilota di Formula Uno. Allora, se il tutto non è potuto accadere nella realtà delle loro vite vissute, che cosa c’è di meglio di una foto che quell’immaginario lo metta all’opera visivamente, per ingannare ironicamente chi osserverà quelle immagini artefatte a secoli di distanza? Fin quando si è falliti veramente? Fino a che il caso non ti aiuta a essere qualcuno di diverso, scavando il talento sepolto in fondo alle tasche del tuo vissuto, dove mai ti aspetteresti di trovarlo, nel caso ti limitassi alla bussola dell’intelligenza razionale che non ha ancoraggi sufficienti e scandagli tanto profondi, per dare la risposta fondamentale nella vita di ciascun individuo: “Chi sono io?”.
Allora ecco che da una fatalità, da un gioco nasce una tradizione: costruire una sequenza di scatti della famiglia Asada in occasione delle ricorrenze fondamentali del gruppo, con i più impensabili travestimenti e pose astruse compatibili con un trittico a quattro e il tempo che passa, dall’adolescenza, all’età matura, alla vecchiaia. Dentro una cornice che muta senza mutare mai i suoi personaggi interni, cresce sulla roccia grezza un fiore coloratissimo: un amore fedele, fedelissimo che accompagna Masashi fin dall’infanzia e lo aspetta per aprirgli le braccia a Tokyo, la città più nevrotica e laboriosa del mondo. E una delle chiavi del film sta proprio in quell’amore che non chiede nulla ma sa dare tutto, in una ritualità che sconcerta qualsiasi occidentale per la raffinatezza di suoi contenuti, gli inchini, le parole avare, essenziali e appena sussurrate. Poi, il galoppo del talento che va sempre troppo veloce e confonde, per cui si ha bisogno di una sella e di tanto equilibrio, per poter diventare un fotografo professionista che vive del suo lavoro. E scoprire così che la tecnica “Asada” può essere estesa ad altre famiglie, studiate al loro interno in lunghe attese affinché le foto-ricordo, scattate decantando un pensiero e una conoscenza non superficiali dei suoi protagonisti, si impregnino come spugna di mare, e una volta per sempre, del carattere dei rappresentati, avvolti in luci, colori, ambienti naturali e domestici del tutto peculiari ai loro vissuti.
E dentro la vita di Masashi c’è la storia del Giappone che soffre, colto all’apice del suo dramma collettivo, quando nel 2011 un terremoto di magnitudo vicino a nove gradi della Scala Richter sconvolge la terra e provoca un fortissimo Tsunami, facendo numerose vittime. Lì, per caso, il talento viene sfidato a mettersi in sonno, costretto ad abbandonare l’Ego per una missione umilissima: recuperare a nuova vita molte migliaia di foto avvolte nel fango, affinché per ciascuna di loro ci siano occhi familiari rimasti soli e avidissimi di ricordo: “Com’era mia figlia?”. “E mia moglie?”. “E mia madre e i miei fratelli?”. Ecco: tanta umanità dolente che passa lungo quei corridoi scolastici di un insediamento sopravvissuto alla distruzione e alla furia dell’acqua, per trovare un brandello fotografico del proprio passato da riportare a casa, anche se si è rimasti figli della strada perché tutto ciò che si aveva è andato distrutto.
L’amicizia è l’altro caposaldo di questo film: si inizia con una carriola di fortuna e un banchetto messo su con quattro assi, per depurare, collocare, catalogare eventi privati di persone che non si conoscono e non si conosceranno mai. Ma, ciò che conta è tirare su ancora una volta le funi di un ponte sospeso sul passato, inginocchiato provvisoriamente sulle acque turbolente e limacciose di un fiume esondato, affinché qualche passo perduto rientri in sé rivivificato dal ricordo e dalla consolazione iconografica. Per dire che sì, un giorno felice questo noi effettivamente fummo. Tutto è caso: gli incontri; i premi fotografici inaspettati figli di quegli incontri; anonimi lettori che ridono di gusto vedendo l’album degli Asada, una famiglia speciale che ha trovato il piacere di sorridere di se stessa, per regalare un sorriso agli altri. Il mito del perenne nullafacente Masashi che guarda il moto ondoso immortale e mai quieto, con una lenza e un amo sospeso che come lui, il fannullone, non vogliono preda ma solo sapere di essere bagnati nel liquido amniotico infinito della vita in tutte le sue forme, come la pioggia di petali dei ciliegi in fiore che cade su di una famiglia felice, e tutto dice con quel moto di gravità sull’anima gentile e struggente del Giappone.
Aggiornato il 19 ottobre 2023 alle ore 14:36