“La casa del mago” di Emanuele Trevi

Non appena il lettore ha completato la lettura dell’ultimo libro di cui è autore Emanuele Trevi, intitolato La casa del mago, edito dalla casa editrice Ponte alle Grazie, ha la netta impressione di trovarsi al cospetto di un testo in cui i tradizionali generi letterari, la narrativa e la saggistica di cultura, si fondono e si intersecano in modo poeticamente mirabile e sorprendente. Infatti, l’opera è strutturata in maniera intelligente, sicché in essa convivono la autobiografia intellettuale dell’autore, il saggio sulla psicanalisi di Carl Gustav Jung, la descrizione della vita familiare in un contesto di alta borghesia, situato in uno dei quartieri residenziali di Roma. Emanuele Trevi propone al lettore un ritratto memorabile di suo padre, studioso di psicanalisi e guaritore delle anime ferite, tormentate dalla nevrosi, dalla depressione e dalla melanconia inconsolabile. Per cogliere la personalità di suo padre, nel libro cita la frase che sua madre sovente pronunciava – lo sai come è fatto – esortandolo a essere indulgente nei suoi riguardi. Sovente Mario Trevi, in modo improvviso era capace di passare da uno stato di prorompente loquacità a una condizione di assoluto silenzio, mostrando e ostentando distacco e indifferenza per la realtà esterna. L’autore del libro cita le riflessioni di Michel de Montaigne nei suoi saggi sulla solitudine, descritta come la ricerca della pace interiore per ritrovare la propria autonomia e libertà verso gli altri e se stessi. Emanuele Trevi, così, racconta i due viaggi che fece in compagnia del padre nella città di Venezia, per visitare i padiglioni della Biennale.

Mario Trevi amava i dipinti di Paul Klee e, mentre osservava i padiglioni di Venezia, ricorda suo figlio che per lui i cosiddetti artisti tentano di provare e rappresentare il doppio di qualcosa che non ricordano nemmeno di avere conosciuto, non potendo vivere né nell’unico né nel molteplice. In questa parte del libro vi è una allusione al rapporto tra il visibile e l’invisibile che l’arte è capace di svelare. Per Emanuele Trevi, suo padre possedeva la capacità intellettuale di maneggiare l’anima ferita, che è la realtà più subdola, refrattaria e mimetica dell’universo. Il solo fatto di esistere nel tempo corrode e corrompe l’anima, accrescendone il disagio esistenziale e la conseguente sofferenza umana. Dice Emanuele Trevi, in questa parte del libro: “Mio padre riusciva con il metodo psicanalitico a ricollocare l’anima nell’inesorabile meccanismo del suo destino”. La parte autobiografica dell’opera si riferisce alla decisione dello scrittore di andare a vivere nella casa di suo padre, che aveva ricevuto in eredità insieme a sua sorella. L’abitazione era stata messa in vendita ma, forse perché nelle sue stanze aleggiava una atmosfera di dolore e malinconia, dovuta ai tanti anni in cui vi era stata esercitata la pratica della terapia psicanalitica, gli acquirenti erano stati distolti dal proposito di divenirne i proprietari.

È bella e indimenticabile la descrizione della scrivania, ampia e dotata di molti cassetti, sulla quale il padre avviava le conversazioni con i suoi pazienti, da seguace di Jung, quindi rigettando il metodo delle associazioni verbali da ricevere dai pazienti distesi sul lettino, prediletto, diversamente, dai seguaci di Sigmund Freud. In uno dei cassetti di questa scrivania, appartenuta a suo padre, Emanuele Trevi entra per caso in possesso di un libro di Carl Gustav Jung, intitolato Simboli della trasformazione, e annotato, in precedenza da suo padre lungo i margini. Per curiosità intellettuale, forse nel tentativo di scoprire come il genitore riusciva a liberare le anime ferite dal dolore e renderle libere, Emanuele Trevi inizia la lettura di questo ponderoso volume. Il padre, Mario Trevi, era un uomo colto, abituato a leggere molti libri di filosofia e psicologia dalla prima all’ultima pagina, seduto su una poltrona, che lo scrittore a sua volta utilizza per penetrare nei misteri del pensiero di Jung. Ammette, nel suo libro, di sapere poco di questo grande pensatore, a parte la teoria relativa all’archetipo, e a quella riguardante la sincronicità.

Leggendo il saggio, Emanuele Trevi comprende che il groviglio di passioni, pulsioni e desideri non rappresenta il nostro vero centro. Guarire un’anima vuol dire liberarla dalla paura e dall’abitudine creando uno nuovo spazio di vita in cui ritrovi la sua libertà e reale  identità. Il Mandala Tibetano, secondo Jung e altri studiosi, detronizza l’Io spingendolo verso i margini della composizione. In quello spazio nuovo non vi è più la paura della morte e le abitudini e gli schemi precostituiti non dominano la psiche umana. A questo proposito l’autore del libro cita il giudizio di Jung su Friedrich Nietzsche, il grande filosofo che, proprio perché aveva la mente imprigionata nei suoi pensieri, si era lasciato venir meno la terra sotto i piedi. Per Jung, Nietzsche era privo di radici ed era precipitato nella irrealtà e nella esagerazione del pensiero filosofico. Nel libro Simboli della trasformazione, Jung tratta il caso di una persona esposta al rischio della schizofrenia. Analizzando un testo composto dalla Miss Miller, intitolato alcuni esempi di immaginazione inconscia creativa, pubblicato da questa donna dell’Alabama su di una rivista di psicologia, Jung era pervenuto a delle conclusioni fondamentali per la psicanalisi, che spiegano i contrasti che ebbe con Freud e la conseguente rottura del loro rapporto e del loro sodalizio intellettuale.

Per Jung, come emerge dal suo libro, esistono due modalità del pensiero umano. La prima è quella basata sull’uso della parola razionale che rende possibile la conoscenza e la descrizione dei fenomeni e offre la possibilità di individuare le leggi che governano il mondo fisico e psichico. La seconda modalità è data dalla immaginazione mitica e favolistica a cui è soggetta una parte della psiche umana, e questo spiega perché l’inconscio è autonomo dalla coscienza. Emanuele Trevi ricorda, con immagini di incomparabile bellezza poetica, che suo padre aveva l’abitudine di raccogliere i ciottoli di forma sferica e ovoidale lungo i greti dei fiumi. Poi, una volta rientrato a casa, ripuliva i sassi, rimuovendone la patina che lungo i secoli li aveva ricoperti. Questa abitudine ha una evidente affinità con la pratica terapeutica della psicanalisi, visto che le libera associazioni verbali che il medico ascolta dai pazienti servono a capire cosa sia caduto nell’inconscio, e deve essere chiarito in modo razionale. Nel libro vi è un ritratto memorabile dello studioso di psicanalisi Ernst Bernhard, che fu il maestro di Mario Trevi. Dopo la guerra, periodo in cui per anni aveva svolto la professione di insegnante di storia e filosofia, in via Gregoriana, Mario Trevi incontrò Ernst Bernhard, di cui divenne l’allievo. Bernhard aiutò Mario Trevi a ritrovare il suo equilibrio interiore, dopo le sofferenze che aveva dovuto subire durante la Seconda guerra mondiale. Ernest Bernhard, ebreo, aveva lasciato la Germania, per sfuggire alla persecuzione nazista. Dopo il 1940, venne internato nel campo di concentramento di Ferramonti, in Calabria. Le lettere che scrisse alla moglie Dora, che a Roma bussava a tutte le porte per salvarlo dalla deportazione nel campo di concentramento tedesco, dimostrano che Ernest Bernhard seppe conservare l’equilibrio e la serenità, pur essendo privato della libertà ed esposto al rischio di essere ucciso.

Per Bernhard la guarigione che si poteva raggiungere con il metodo psicanalitico consisteva nel rendere libera la persona dalle sue paure e angosce. Nel libro viene descritta la metafora della buca in cui la persona con l’anima ferita è precipitata, e da cui, con il metodo psicanalitico deve uscire per ritrovare la libertà e la luce interiore. La parte autobiografica di questo libro narra con ironia e scene molto belle i difficili rapporti che l’autore ha avuto, con una astuta collaboratrice domestica di nazionalità peruviana e la storia sentimentale vissuta intensamente con una donna avvenente, che con la sua grazia femminile è riuscita a ricondurlo ad avere un rapporto razionale con la realtà del mondo. L’autore ricorda, in un punto del libro, che come emerge dalle immagini del mondo antico, dai dipinti e dalle opere letterarie sempre gli uomini hanno dovuto lottare, durante i secoli del cammino evolutivo della psiche umana, per allontanare da sé i demoni della nevrosi, quelli del dolore e della depressione. Un libro bello, colto e molto profondo, che evoca il modello letterario de La coscienza di Zeno di cui è stato autore Italo Sevo.

(*) La casa del mago di Emanuele Trevi, Ponte alle Grazie, 256 pagine, 18 euro

Aggiornato il 12 ottobre 2023 alle ore 10:27