Bollani e sorrisi coreani

Serio e serioso. Se questa distinzione non appartiene al nostro quotidiano è impossibile capire come un pianista felicemente malvestito, che presenta le proprie composizioni minimizzandole con divertenti battute da cabaret, possa essere uno dei più grandi geni musicali al mondo. Così Stefano Bollani può divertirsi a imitare ridacchiando il linguaggio del pianista coreano Hyung-ki Joo, con il quale incrocia due pianoforti magici all’Auditorium Parco della musica di Roma eseguendo il Concerto in re minore di Francis Poulenc, con l’orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia diretta dal francese Lionel Bringuier. Il suo coéquipier orientale, sintonizzato alla perfezione con lui, aggiunge ironia ai virtuosismi non apparendo mai banale, nemmeno mentre suona una tenera e semplice Ninna nanna, scritta per il suo bambino. E a uno spettatore che non frena un clap fra due movimenti fa un cenno di ironico assenso, come dire, perché no?

Bol-la-ni. Tre sillabe che per i meno attenti potrebbero essere tante quanti i generi che interpreta: jazz, classica, “leggera”, come ha dimostrato su Rai 3, al numero zero di via dei matti. Ma ogni volta che lo si ascolta si scoprono spazi nuovi, fino a concludere che non esistono confini nella costellazione musicale, e che solo pochissimi si muovono liberi in alto fra i pianeti oppure ventimila leghe sotto i mari. Minimizzando tutto, inventando un concetto nuovo di musica seria che ammette, anzi, prevede il sorriso. In questo nessuno può essere dalla sua parte più di Hyung-ki Joo, direttore d’orchestra, compositore, ma soprattutto comunicatore: nei workshop invita i giovani a “esplorare oltre la performance classica”, e, come Bollani, viola ogni rigidità osando inserire sorrisi quotidiani all’interno del rigido concetto di classico, di cui ammorbidisce la soggezione. Si esibisce con orchestre fra le più famose del mondo come London Philharmonic Orchestra e Wiener Symphoniker, ma, in altri ambiti, inscena numeri comici in cui dimostra come la musica classica stravolta con stile possa convivere con l’infinita gioia. Nella seconda parte, Daphnis et Chloè di Maurice Ravel, una sinfonia coreografica messa in scena per la prima volta a Parigi nel 1912, straordinariamente interpretata dall’orchestra e coro di Santa Cecilia. Si torna alla tradizione a tutto tondo, paradiso delle orecchie più raffinate, in grado di venerare la perfezione. Perché la musica è l’elemento più duttile che compone l’aria che respiriamo e manipola il nostro animo come vuole.

Per fortuna.

Aggiornato il 06 giugno 2023 alle ore 13:05