Quand’è che ci si perde nelle nebbie del passato? Quando si è vecchi; molto vecchi. Ma da giovani post adolescenti, a un’età di 25 anni, che cosa significa “passato”? Nel film Ritorno a Seoul del regista franco-cambogiano Davy Chou, per l’interpretazione della giovane attrice Ji-Min Park (Freddie), nelle sale italiane dall’11 maggio, c’è un solo febbrile, rancoroso ricordo: il vago racconto del suo abbandono da bambina molto piccola e l’adozione da parte di una coppia parigina benestante. E forse proprio da loro (anche in ragione del fatto evidente dei suoi lineamenti asiatici!) Freddie viene a sapere della sua adozione e del Paese di nascita. Finché, viaggiando da sola, destinazione Tokyo, per una banale cancellazione del volo diretto la ragazza arriva a Seoul, nella sua originaria Corea del Sud.
Digiuna dalle tradizioni locali, Freddie si comporta alla maniera disinvolta della cultura libertaria dell’amore libero e della coppia aperta, stringendo amicizia con una ragazza coreana che parla un buon francese e che, appassionandosi alla sua storia di figlia adottata, le fa da guida e interprete dopo la sua decisione di recarsi all’ufficio adozioni internazionali, e accettare l’offerta degli operatori addetti di inviare al massimo due telegrammi ai genitori naturali affinché accettino di incontrarla. A scoprire le carte, però, sarà solo il suo vero padre che le confesserà, in momenti di assoluto lirismo e verismo all’italiana, di essere nata da genitori indigenti, con lui un povero pescatore coreano, lasciato per di più solo dalla prima moglie, probabilmente a causa della sua passione per la bottiglia.
Problema, quello dell’alcool, che l’anziano pescatore non riuscirà a nascondere a quella sua figlia abbandonata e nemica, malgrado la bellissima accoglienza di sua madre, la nonna paterna di Freddie, che la tratta con tutto l’amore possibile fin dal loro primo incontro collettivo alla stazione dell’autobus. Così come faranno, in modo straordinariamente umano e carico d’affettività d’altri tempi, ormai sconosciuta nel freddo Occidente, anche la seconda moglie del padre e le due sorellastre, alle quali si assocerà una meravigliosa zia, sorella di lui, che le farà da interprete dall’inglese, mediando tutto il possibile per evitare le scarnificazioni verbali che Freddie riverserà nei confronti di quel padre debole e apprensivo, carico di sensi di colpa che peseranno come un macigno negli anni che seguiranno il primo incontro con sua figlia. Poiché l’animo umano è carico di sorprese e risentimenti non elaborati, soprattutto per quanto riguarda il doloroso lutto dell’abbandono, Freddie trascorre molto tempo a Seoul frequentando ambienti promiscui. Per scendere così volutamente nei piani bassi dei locali trasgressivi e offrendosi a un maschile come preda facile da afferrare, comprese avventure d’una notte sola contrattate su Tinder, senza stare a guardare per il sottile se la differenza d’età avvicina un po’ troppo il partner occasionale a quel suo esecrato padre naturale. O, forse, proprio per questa ragione, alla ricerca di una protezione perduta.
Ma, come tutte le cose troppo desiderate, l’incontro con la madre tarda a venire, malgrado l’Ente assistenziale coreano per l’infanzia abbandonata abbia fatto alcuni strappi alla regola, invitando a più riprese quella donna riottosa e, persino, consegnando a Freddie il fascicolo originale dell’adozione, affinché il suo passato potesse placare un presente inquieto, del tutto insoddisfacente. Chou, è poi magistrale nel raccontare l’unico incontro delicatissimo, emozionante tra madre e figlia, la quale, ancora una volta, eviterà di ancorarsi per rabbia e delusione a quella figura così sfuggente, che solo per un istante ha lasciato il suo porto delle nebbie, per scomparire poi di nuovo e, forse, per sempre, malgrado un ripensamento all’ultimo momento di Freddie, tornata ancora una volta, da adulta, e forse per l’ultima volta, a ricercare quell’anima e quelle radici che le sono sfuggite per sempre, malgrado esista in quella sua Corea matrigna chi l’ama per davvero. Ritorno a Seoul è un film originale e multietnico, in cui l’infanzia abbandonata si vendica del proprio passato perdendo però il suo presente.
Aggiornato il 05 maggio 2023 alle ore 14:51