“Così è se vi pare”, l’illusione che sia

Io sono colei che mi si crede. Al Teatro Quirino di Roma va in scena fino al 23 aprile, per la regia di Geppy Gleijeses, un’edizione teatrale molto originale di Così è (se vi pare), con un cast di attori praticamente perfetto nei tempi e nelle battute.

Come allontanare gli incubi, secondo Pirandello? Rendendoli piccini piccini. Come si farebbe guardando le cose, le persone e gli oggetti con un cannocchiale rovesciato. Ed è così, grazie a piccoli ologrammi montati su altrettante sedie, che ci appaiono all’apertura sipario gli otto personaggi del prologo di Pirandello, prima dell’ingresso in scena della Signora Frola (una sempre brava Milena Vukotic), per ritornare poi normali, per modo di dire. Nel senso che il palcoscenico si presenta come un gioco di specchi, un labirinto vetrato ma al contempo oscurato da un’alternanza sapiente di luci, che fanno ruotare i personaggi ora di fronte/spalle, ora di profilo.

Tante, tantissime facce come le avrebbe un Pupo pubblico alla Ciampa, protagonista indimenticabile de Il Berretto a Sonagli. I lati della scena sono impegnati a sinistra da una scrivania con alcune sedute, mentre a destra troneggia un grande divano e una tenda che dà accesso al resto dell’appartamento borghese, del Signor Consigliere di Prefettura Agazzi.  Ora, al centro della contesa c’è da stabilire chi sia il pazzo tra genero, il Signor Ponza, e sua suocera, la Signora Frola. Entrambi sono vite distrutte, sconvolte da un terremoto che ha praticamente raso al suolo il loro paese natìo e ucciso i familiari più stretti del Signor Ponza.

Ora, il meccanismo costruito pazientemente da Pirandello è il seguente. Attraverso le chiacchiere di comari, molto assidue nel salotto di Agazzi, si viene a sapere che il Signor Ponza, il nuovo Segretario di Prefettura e, quindi, subordinato di Agazzi, ha preso in affitto per sua suocera un quartierino adiacente alla casa del Consigliere, dove ha condotto a vivere la Signora Frola. La quale, però, è costretta così isolata a fare a meno di incontrarsi con sua figlia, se non da lontano, comunicando con lei attraverso semplici messaggi fatti recapitare all’ultimo piano di un palazzone anonimo, grazie a un sistema di cestini che vengono calati dall’alto.

Quindi, così all’apparenza, la follia di quei due personaggi danza enigmatica e impenetrabile sulla curiosità borghese e pettegola di casa Agazzi, camminando in bilico lungo un filo teso dall’acuta intelligenza del cognato del Consigliere, il Signor Lamberto Laudisi, la cui ironia lo rende di fatto un doppio scenico dello stesso Pirandello. Suocera e genero, si accusano reciprocamente di follia: l’uno, avendo perduto nel disastro l’intera sua famiglia e poi in seguito sua moglie, la figlia di Frola, sposandosi in seconde nozze con un’altra donna, racconta della pazzia di sua suocera che crede di vedere in questa sua seconda moglie la figlia rediviva.

La Signora Frola, invece, non dà mai pubblicamente del folle al genero, ma ne giustifica gli strambi comportamenti, come quello ultra-censurato dalla società borghese giudicante che riguarda l’atteggiamento della presunta figlia di Frola, la quale non va mai a trovare la madre evitando di accompagnare suo marito, il Signor Ponza, nelle pur frequenti visite alla suocera.

A questo punto, la morale borghese “sospetta” che vi possa essere un legame inquietante tra genero e suocera. Ma la Signora Frola giustifica appassionatamente il genero che, a suo dire, nutrirebbe un amore ossessivo e morboso per la moglie, impedendole di uscire di casa e di incontrarsi persino con sua madre, pur di averla tutta per sé.

E, ovviamente, a parti ribaltate, è Ponza a sottolineare la follia della suocera che crede di aver ritrovato la figlia scomparsa prematuramente nella seconda moglie di Ponza. Ed è lui, il genero, ad aver avallato pietosamente l’illusione della suocera per consentirle di uscire da uno stato acuto di depressione a seguito della morte della figlia. La Signora Frola ribalta l’assunto, giustificando quel secondo matrimonio con una stessa donna con la melanconia di lui che, credendo morta sua moglie (mentre in realtà la donna aveva passato un lungo periodo di cure fuori dalla famiglia), era “lui” stesso caduto in uno stato di profonda depressione, superata solo con quel finto secondo matrimonio. Perché il Ponza, non riconoscendo più la moglie tornata dalle cure, aveva creduto di innamorarsi di un’altra, ma che era sempre la stessa secondo la versione della Signora Frola. 

Fortuna che la famiglia di Agazzi, con il suo corredo di amici altrettanto pettegoli e indiscreti, colpevoli di accendere con violenta intensità i riflettori della morbosità sociale (della quale sono l’espressione borghese più qualificata) sulle povere vite spezzate di genero e nuora, ha il suo carismatico e smaliziato contraltare nel mitico Laudisi, orientato a seppellirli tutti con una bella risata finale!

Il rimedio, allora, condiviso dal Signor Prefetto chiamato a sua volta in causa come arbitro supremo, è quello di tagliare il nodo gordiano, chiamando a testimoniare la moglie (prima/seconda) di Ponza.

Così è se vi pare... è una meravigliosa suite di fantasmi, esaltata dalla visione finale di quella moglie velata, che chiude l’opera con la frase lapidaria: Io sono colei che mi si crede.

Morale: per Pirandello, le persone, altre da noi, sono le nostre “facitrici” e, viceversa, noi (o meglio, come ci dice Gleijeses, i nostri frammenti olografici, ripetuti identici per le migliaia di incontri che ci capitano durante la vita, in modo casuale o per ragione di sangue) siamo per quota parte i loro “facitori”. Sarti maldestri della altrui personalità apparente che, spesso e volentieri, è un saio informe, calato come una cappa scura su di un concentrato dell’ampia gamma di virtù, miserie e nobiltà che l’animo umano è in condizione di esprimere.

Ma sono proprio i fantasmi esistenziali, costruiti per noi ad arte da coloro che scompaiono davvero, facendo mancare per sempre la loro presenza fisica, con i colori, gli odori e le voci che li avevano accompagnati, a esprimere nello svolgersi della narrazione teatrale i loro assordanti, silenziosi echi di un passato che non tornerà mai più. Meraviglia, ma forse, poi, non tanto, la “duttilità” con cui questi fantasmi (nutrimento della mente sperduta nella sofferenza indimenticabile di ricordi sempre più annebbiati dell’elaborazione del lutto) prendono corpo, ora ruotando i loro colori cangianti come una ruota di pavone, ora annerendosi totalmente al passaggio della Falce che tutto livella. Spettacolo imperdibile!

 

Aggiornato il 17 aprile 2023 alle ore 10:53