“Al mondo serve intelligenza”: appello di tre scienziate italiane

“Al mondo serve intelligenza”. Se vogliamo affrontare i problemi climatici, il surriscaldamento del pianeta, la sostenibilità delle energie e sconfiggere le possibili nuove pandemie, non abbiamo solo bisogno di dividerci in generi, piuttosto mettere in campo l’intelletto. E in “intelletto” le donne, come cantava Dante nella Vita Nova, hanno “amore”. Può sintetizzarsi così il messaggio uscito dall’incontro con “tre donne della scienza italiana”, che si è svolto di recente a Frascati presso le Scuderie Aldobrandini.

“Donne nella scienza” è una manifestazione promossa dall’Amministrazione comunale di Frascati, dal delegato all’innovazione culturale Giulio Bargelli, in collaborazione con Enea e con Frascati Scienza, per far conoscere i contributi alle ricerche condotte da donne, favorire la piena parità e, al tempo stesso, presentare l’impegno per il benessere e lo sviluppo sostenibile. Le quattro super ricercatrici sono Paola Batistoni (responsabile Divisione sviluppo energia da fusione di Enea), Maria Rosaria Capobianchi (direttrice del laboratorio di virologia dell’Istituto Nazionale per le malattie infettive “L. Spallanzani”), Giulia Monteleone (responsabile Divisione produzione, storage e utilizzo dell’energia di Enea) e Giovanna Pisacane (climatologa, Eenea, Divisione modelli e tecnologie per la riduzione degli impatti antropici e dei rischi naturali).

Le questioni affrontate sono tra le più spinose del nostro tempo, ma dagli interventi è emerso che non siamo disarmati. Le tecnologie ci sono, gli studi fervono, scoperte e nuovi progetti sono in corso, ma ciò che è indispensabile per raggiungere risultati è sicuramente il ruolo virtuoso ed efficace della politica e, in particolare, la qualità e l’eccellenza dei protagonisti. Certo più donne, sempre donne, ma donne di valore.

“Quello delle donne nel mondo della scienza è un argomento di strettissima attualità – ha dichiarato la sindaca di Frascati Francesca Sbardella –. I dati ci dicono che in termini puramente numerici nelle pubblicazioni scientifiche e nei brevetti le firme delle ricercatrici sono meno di quelle dei ricercatori. La percentuale di donne che frequenta corsi Stem in Italia è pari a circa il 37 per cento, uno squilibrio che però non ha nulla a che vedere con le capacità o le propensioni di maschi e femmine”.

“Bisogna anche riconoscere che nella parità molto è cambiato” ha commentato Paola Batistoni. “Tuttavia non è ancora stata raggiunta la parità nella presenza. Solo un terzo sono ricercatrici, anche se la scienza offre prospettive ed occasioni. La scienza è lo strumento per capire e trovare soluzioni. Per questo sono necessarie risorse, ma non meno urgono cervelli. Invece molti concorsi vanno deserti, non si riesce neppure a coprire le richieste”.

Paola Batistoni è un’eminenza green. La chiamano “la signora della fusione nucleare” perché è leader di un team italiano di scienziati dell’Enea che collabora all’esperimento Jet e al suo successore, Iter, il reattore internazionale a fusione termonucleare. Sarebbe a dire la grande e attesa rivoluzione del futuro. “Siamo a buon punto per replicare l’energia delle stelle – ha anticipato l’insigne scienziata – una energia pulita che abbia poco impatto ambientale, che non produca Co2, che non alteri il clima”. 
“Fino a qualche anno fa il settore era dominato dai maschi. Erano fisici, ingegneri, tecnici di laboratorio... Tuttavia voglio incoraggiare le giovani universitarie, perché io non ho mai avuto alcun problema nel lavorare con colleghi uomini. Tanto che a 36 anni mi sono trovata a fare il capo sezione e avevo sotto la mia guida 25 uomini e tutti con maggiore anzianità di me. All’inizio mi sono sentita un po’ come quando si mettono i bambini nell’acqua per farli imparare a nuotare, ma me la sono cavata bene. C’è voluto tanto lavoro, dedizione, pazienza: tutte qualità necessarie”. 

“Nel nostro laboratorio, 50 per cento sono donne e sono donne anche due ricercatrici che hanno messo a punto importanti strumenti per la rilevazione del clima”, annuncia la climatologa dell’Enea Giovanna Pisacane. “La questione femminile è importante, ma altrettanto lo è rispettare i limiti delle emissioni fissati dagli organismi internazionali. Il dibattito tra gli esperti dei laboratori mondiali è apertissimo e vivace. Siamo una grande famiglia, che non ha frontiere e diversità. Sui tagli siamo in ritardo, ma abbiamo le tecnologie per agire, il problema è politico. Dobbiamo considerare che l’innalzamento delle temperature ha impatto sulle popolazioni meno fortunate e in questo l’Occidente deve essere responsabile”.

Giulia Monteleone è invece “lady idrogeno”, perché è responsabile del Laboratorio Accumulo di energia, batterie e tecnologie per la produzione e l’uso dell’idrogeno. “La crescente attenzione verso l’idrogeno è dovuta ad alcune sue caratteristiche”, ha spiegato la ricercatrice Enea. “Si tratta di un gas leggero e ad alto contenuto di energia per unità di massa che può essere prodotto su scala industriale ed è più facile da immagazzinare a lungo termine rispetto all’elettricità. Soprattutto, può essere utilizzato per produrre energia pulita: la sua combustione, infatti, non è associata alla produzione di anidride carbonica e può essere condotta per via elettrochimica in celle a combustibile, con efficienze complessive superiori alla combustione termica e senza l’emissione di ossidi di azoto”.

Anche in questo settore serve praticità, lungimiranza, intervento. In altre parole, torna il tema dell’intelligenza, un primato che è alla base della ricerca, ma che deve accompagnare anche i processi legislativi e istituzionali. “Per le sue caratteristiche, l’idrogeno verde potrebbe ricoprire un ruolo di primo piano per il raggiungimento della neutralità climatica al 2050”, ha spiegato la Monteleone, che aggiunge: “Dobbiamo pensare che attualmente ogni persona produce 7 tonnellate di Co2 all’anno”.

Infine le pandemie. Pensate che il Covid 19 sia finito e che le pandemie siano sconfitte? “Gli studiosi hanno calcolato almeno 50 mila animali a rischio di trasmissione”, ha spiegato la virologa Maria Rosaria Capobianchi. “Volpi, gatti, furetti, foche, orsi e delfini sono i più attenzionati a rischio spillover, per usare il termine scientifico. Si dice anche zoonosi, per indentificare le malattie causate da agenti trasmessi da animale a uomo: batteri, virus, parassiti, miceti e altre entità biologiche”.

Maria Rosaria Capobianchi e il suo staff di ricercatrici sono una eccellenza italiana al femminile. All’insorgere della pandemia, subito dopo l’infezione dei primi due cinesi, sono state le prime a isolare il coronavirus Sars-Cov-2 nel laboratorio di Virologia dell’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani di Roma. La dottoressa Capobianchi dirige il laboratorio punto di riferimento internazionale nella lotta contro le epidemie, soprattutto Hiv ed Ebola. Ed è stata anche la prima a sottoporsi al vaccino. “Un risultato straordinario, ma che era in studio da anni. Non si fa un vaccino in sei mesi. E grazie ai vaccini ci sono patologie radicalmente debellate, per cui dobbiamo avere fiducia. Le pandemie sono purtroppo legate anche alle nuove abitudini di vita: gli spostamenti sempre più massicci di masse umane e comportamenti a rischio nell’uso per esempio di animali selvatici. I pipistrelli hanno 65 milioni di anni e dunque il loro Dna è probabilmente attrezzato per sopravvivere ad aggressioni patogene, ci sono alte probabilità che abbia dato l’innesco al Covid. Anche in passato ci sono state pandemie. Se pensiamo alla peste nera raccontata nel Decamerone. Ma oggi la velocità di trasmissione è nettamente più alta, in tre mesi sono stati interessati 100 paesi. Questo dato va tenuto sotto controllo e dobbiamo farne un bene, cioè far nascere dalla ricerca strumenti e misure per arginare le diffusioni e curare le malattie”.

Messaggio positivo, dunque. Perché c’è anche tanto scetticismo sui vaccini e sulle misure di contrasto, polemiche che spesso investono la comunità scientifica non risparmiandola da critiche. “Bisogna capire come funziona la ricerca – interviene la dottoressa Paola Batistoni –. La scienza non può procedere per censure o selezioni, la comunità dei ricercatori discute, si oppone, spesso anche molto vivacemente, ogni dato è soggetto ad analisi e contro analisi, il metodo è proprio quello del mettere in dubbio. E non ne conosco un altro. Che la comunicazione scientifica debba essere organizzata al meglio è un conto, ma che per questo si debbano fare delle selezioni delle notizie è sbagliato. Penso che la cosa migliore sia divulgare come procede la scienza, informare sui suoi meccanismi, farla conoscere e introdurre il dibattito non come divisione ma come elemento di garanzia. Una cosa che invece nuoce veramente al progresso è la guerra. La scienza vive male nei conflitti, perché gli scienziati devono essere una grande famiglia mondiale unita nel bene della scoperta e dell’impiego delle soluzioni”.

Aggiornato il 10 febbraio 2023 alle ore 13:12