Il teorema della rana Precipitando dalle nuvole

Mai ridare indietro un sussidio! Soprattutto da parte di chi, dopo averne fatto un’industria della sopravvivenza, decide di pentirsi all’ultimo momento chiamando nientedimeno che gli uffici (in)competenti dell’Inps. E così il (vero!) povero impresario teatrale (per colpa sua, sposato alla proprietaria del teatro stesso!) attiva una macchina burocratica infernale e ottusa, che continua a erogare sussidi nonostante la ricevuta allerta di una probabile frode ai suoi danni. Gli sprovveduti si chiederanno perché. La risposta è semplice: si ipotizzi che tutti i beneficiari illegittimi di sussidi si pentano allo stesso momento, imponendo la chiusura di una montagna di pratiche da parte del competente istituto di previdenza.

E, a questo punto, che ne facciamo di tutta quella enorme pletora di impiegati diventati “giustificatamente” nullafacenti? Evento talmente luttuoso da risultare impensabile e perciò stesso ostacolato dalla stessa burocrazia! Ma perché, allora, parlare del Teorema della rana che dà il titolo al gradevolissimo spettacolo in scena al Teatro Vittoria fino al 4 dicembre, all’interno della quarta edizione del TeatrInScuola diretta da Pino Strabioli? Per capirlo, prendiamo la versione originale di Noam Chomsky e sintetizziamola così: la rana muore bollita se la si colloca in una pentola di acqua fredda riscaldandola poi lentamente, fino a portarla a ebollizione.

Questo perché la rana, stordita e indebolita, non riesce a saltare fuori all’ultimo momento, come invece farebbe se di colpo la si lasciasse cadere in un contenitore di acqua già molto calda. Il nostro meschino impresario “è” la rana che rimane a galla nel suo contenitore di sopravvivenza, rappresentato dalla burocrazia ottusa e ottocentesca dell’Inps.

Tutte le disavventure del protagonista, reo di aver approfittato dei generosi sussidi dell’assistenza pubblica, nascono dalla sua esigenza solidaristica di evitare il licenziamento di attori e tecnici teatrali ricorrendo al sistema delle false invalidità temporanee, cosa che lo ha costretto per molti mesi a mentire spudoratamente sulle reali condizioni di salute dei suoi dipendenti. Ovviamente, poiché (a proposito di pentole) il diavolo si dimentica sempre (chissà perché, poi) di fabbricare i coperchi, accade che si presenti in teatro un Ispettore dell’Inps al quale interessa esclusivamente, come a tutti i burocrati ottusi, che le “carte-siano-a-posto” e per questo necessita di qualche firma sui suoi sacri moduli. E lì sta il problema, dato che il capocomico è costretto a spacciarsi per un’altra persona affetta da gotta, e a cercare in fretta in furia qualcun altro da presentare come suo alias. Già, ma anche quest’ultimo dovrà a sua volta farsi sostituire da qualcun altro, con il paradosso di intrecciare racconti di vite, profili biografici e persino sessi diversi in una perversa matassa di paradossi e contraddizioni.

Persino i morti ipotetici restano ben vivi e non si sa come farli apparire defunti, per acquietare una frenetica e scalmanata impiegata dell’assistenza pubblica, che appare più come una tifosa delle pompe funebri e dei funerali a carico dell’ente locale per i più bisognosi, piuttosto che un’impiegata modello.

Così, lei e il povero sprovveduto ispettore vengono con una scusa o con l’altra inviati verso l’esterno, la prima a cercare i paludamenti per la camera ardente e l’altro a bere caffè e a consumare tramezzini scaduti, originando così una navetta incessante per cui gli attori, precipitandosi dal palcoscenico scendendo la scaletta, scorrono di corsa come un fiume in piena nel corridoio centrale della platea, assecondando un moto circolare esso stesso caricaturale e gonfio d’ironia.

Il tutto complicato, se possibile, da altre vicende personali: un matrimonio tra l’attore giovane (che contemporaneamente è madre di qualcun altro e padre di se stesso!) e la sua fidanzata; una richiesta della proprietaria del teatro al consultorio matrimoniale per sospetti comportamenti di suo marito il capocomico, di cui ha rinvenuto un baule colmo di vestiti e biancheria femminili.

Così, oltre all’Inps, ecco apparire una simpaticissima dottoressa esperta in problemi di coppia, che agisce le sue nozioni approssimative di psicologia per tentare di incasellare in uno schema che la rassicuri i fatti incomprensibili che si svolgono sotto i suoi occhi. Gente che si spoglia e si traveste, o sviene in scena per non parlare delle sovrapposizioni e degli scambi di persona che, nel frattempo, la povera rana-impresario sta disperatamente cercando di raccordare in una logica sempre più strampalata, sotto lo sguardo sempre più allucinato e stupefatto dell’Ispettore dell’Inps, che non vorrebbe altro se non una benedetta firma legale su quei sacri moduli, cosa che lo libererebbe dall’incombenza sgradevole di dover “riferire-in-alto”.

Ma a chi? Ovvio: a un altro protagonista kafkiano, al maschile o al femminile, di questa assurda commedia della vita che dà da vivere a milioni di burocrati inutili e parassiti. L’enunciato del Teorema stesso dice come andrà a finire. Spettacolo gradevole, privo di volgarità e adatto a qualunque età, in perfetta aderenza alla filosofia di Pino Strabioli.

Aggiornato il 30 novembre 2022 alle ore 09:22