“Il berretto a sonagli”: Lavia da applausi

Splendido Gabriele Lavia nel ruolo di Ciampa, protagonista del più pregnante degli spettacoli pirandelliani: Il berretto a sonagli, che va attualmente in scena al Teatro Quirino fino al 20 novembre! Ma quanto ci piace davvero il nostro “Pupo” pubblico, che dobbiamo difendere a ogni costo, magari facendo una strage di nostra moglie e del suo amante, mentre vorremmo spesso e volentieri “sputare” in volto a quel fantoccio che noi siamo? Perché, a volte, dei tradimenti del coniuge bisogna esserne coscienti e, fino a un certo punto “consenzienti”, purché la facciata della nostra casa e della nostra onorabilità pubblica rimangano in un ordine quasi perfetto.

Soprattutto se tu, il Ciampa, sei un impiegato modello, premuroso, servizievole e onesto, che presti la tua modesta opera presso lo studio di uno stimato professionista locale per il quale ti occupi della noiosissima contabilità. Devoto sì, al Cavaliere Fiorica, tanto generoso da mettere a disposizione del Ciampa e della sua bellissima moglie un appartamentino adiacente allo studio, separato dall’ambiente dell’ufficio da una porta che si chiude dalla parte del banco con spranga e catenaccio.

Ora, se il boa costrictor della gelosia non ti afferra alla gola e i due amanti filano d’amore e d’accordo nella clandestinità, grazie alla violazione di quella porta comunicante, con lei che passa dal di sotto dell’uscio la chiave al Fiorica infoiato, allora tutto può procedere senza scandali, pianti e schiamazzi. Perché, in fondo, conviene a tutti azionare solo la corda civile che, nelle categorie di Ciampa, è posta al centro della fronte, mentre le altre due corde mentali laterali sono rispettivamente da lui denominate la “pazza”, collocata a sinistra, e la “seria” a destra.

E che cosa ci si fa con tutte e tre? Se si attiva la civile, non si fa nulla per quieto vivere, come Ciampa che si tiene riservatamente le corna. Purché nessuno lo dica, esponendo i panni sporchi altrui sulla pubblica via. A meno che a dirlo forte e chiaro, quel tradimento coniugale, non sia uno considerato pazzo e quindi libero di gridare tutta la verità di questo mondo, tanto nessuno gli crederà mai e riderà di lui. Lavia, nella scenografia, attiva il suo pensiero geniale (da grande maestro del teatro italiano), giocando con dei giganteschi panneggi e tendaggi di fondo scena, per cui i personaggi al loro primo ingresso subiscono un effetto ottico di retroilluminazione che proietta sulle grandi tende le loro figure ingigantite (grandi come l’ego smisurato di quel Pupo pubblico al quale è impossibile rinunciare!), mentre si accingono a entrare in campo sul fronte del palcoscenico.

Lo scenario, poi, gode di una sua peculiare simbolicità per segnalare la distopia esistenziale dei personaggi in scena, con divani e poltrone d’epoca che si presentano con un piedino segato, per cui dei quattro appoggi ne manca sempre uno. E così il divano a tre posti diviene una sorta di scivolo che obbliga gli attori a sedersi sulla seduta corrispondente alla gamba più corta, o a stare sdraiati in posizione piuttosto scomoda, come avviene nella prima scena che vede la Signora Beatrice Fiorica, moglie del Cavaliere, strepitare contro la povera Fana (una applauditissima Mirabella Piana, per trent’anni professoressa di lettere classiche e scrittrice!), la sua balia e domestica, a proposito di un certo fatto che l’anziana donna però conosce benissimo, scongiurando la sua signora di rinunciare alla sua folle idea.

Quale? Ma, ovviamente, quella di scoprire in flagranza di reato di adulterio amante e marito, da sorprendere nella loro alcova clandestina (che poi sarebbe pure la dimora di Ciampa!) in pose inequivocabili, a seguito dell’irruzione del delegato di polizia Spanò, sorta di ispettore ante litteram, pingue e ridicolo in tutti i suoi atteggiamenti da inguaribile peripatetica. Accanto all’esagitata Beatrice c’è dapprima una sorta di strega fattucchiera e sensale, metà virago e metà uomo, che addomestica pro domo sua la faccenda dei due amanti.

Mentre lei esce di scena, ecco apparire Fifì, fratello di Beatrice, solo in parte partorito dalla stessa matrice di ipocrisia sociale che ispira i comportamenti di sorella e madre. Un gagà impomatato, nullafacente e giocatore incallito che chiede a ripetizione prestiti alla facoltosa sorella per ripianare i suoi debiti di gioco ma che, in fondo, Pirandello assolve, facendolo candidamente confessare persino di fronte a Ciampa il fatto di aver chiesto denari a Beatrice per motivi di gioco.

Perché, poi, dal più spregiudicato vengono sempre grandi sorprese! Un Ciampa, quello di Lavia, che assomiglia vagamente allo Uriah Heep del personaggio letterario creato da Charles Dickens nel suo romanzo David Copperfield, per designare qualcuno che ostenta umiltà, untuosa ossequiosità e sostanziale ipocrisia. Però, Ciampa è molto di più di questo. Una novità letteraria assoluta, perché al suo vagamente omologo dickensiano aggiunge un sicilianità ricca di millenni di saggezza e astuzia filosofica.

La storia delle tre corde è la sua, per l’appunto. E, prima di partire per Palermo per soddisfare un capriccio complottardo di Beatrice, folle di gelosia, le offre le chiavi della porta sprangata del suo ufficio e, persino, la compagnia di quella sua moglie sottomessa e obbediente a ogni suo volere. E tutto ciò, a dire del Ciampa stesso, ha il significato chiaro e preciso di voler azionare quella corda “seria” che induce alla sincerità e alla confessione dei propri sentimenti.

Altrimenti, tutto può precipitare: dopo il blitz del sostituto imbranato di Spanò il suo famoso “rapporto”, o verbale, è costretto ad ammettere il nulla di fatto, tanto da procedere al ridicolo arresto della Signora Ciampa e del Cavaliere Fiorica, l’una perché vestita con la vestaglia di casa indossata sopra la sottoveste che lasciava intravedere una generosa scollatura; e l’altro perché accusato di resistenza a pubblico ufficiale. Ma il verbale non cancella lo scandalo dei due amanti: fatto quest’ultimo che copre di vergogna e di disonore le rispettive famiglie. Allora, per evitare l’inevitabile delitto d’onore da parte del Ciampa tradito, non c’è che una strada: Beatrice deve uscire pazza.

E come tale, farsi un periodo coatto di confino in una casa di cura per malattie mentali, sicché anche quel cappello a sonagli di Becco Ciampa è felice di indossarlo, se invitato a farlo dalla corda pazza di lei che può benissimo, a questo punto, fondersi con quella seria, come accade al personaggio carnevalesco di Pulicinella che, secondo il detto popolare, “scherzando scherzando diceva sempre la verità”. O come il Fool shakespeariano, che dice in faccia al Potere verità scomodissime, perché lui, grazie a Dio, è solo un pazzo! Lavia insuperabile e spettacolo imperdibile.

Aggiornato il 11 novembre 2022 alle ore 11:04