Ben Harper: tradizione e impegno

Nell’estate 2022 è uscito Bloodline Maintenance, l’album che rompe il silenzio che durava da sei anni di Ben Harper, cantante e chitarrista californiano, vincitore di tre Grammy Awards, con una discografia piena di contaminazioni che spaziano dal blues al folk, dal rock al funk, dal gospel al reggae. Bloodline Maintenance nasce dall’assenza. Assenza del padre, ritratto nella foto di copertina, scomparso diversi anni fa, di origini afroamericane e cherokee e che si separò dalla moglie quando Ben Harper era ancora un bambino. Assenza di Juan Nelson, amico e storico bassista della band di Harper gli Innocent Criminals, scomparso lo scorso anno.

Ben Harper metabolizza queste grandi assenze partendo da sé stesso, dando alla luce un album composto ed eseguito quasi in solitudine dato che in molti pezzi suona oltre alla chitarra anche il basso, la batteria, le percussioni e le tastiere. La musica come processo catarchico per superare il dolore. E l’assenza ha generato, grazie alla musica, l’essenza; nel senso che Bloodline Maintenance va dritto all’essenza della musica restituendoci un album schietto, sincero, senza giochini elettronici nel solco della grande tradizione della musica nera con riferimenti gospel, blues, rock e funky.

In un album così personale Ben Harper affronta i grandi temi sociali delle discriminazioni razziali, della schiavitù, delle rivendicazioni del movimento Black Lives Matter e lo fa con l’eleganza che ha sempre caratterizzato i suoi testi ponendo domande che toccano nel profondo le coscienze di ciascuno di noi. E poi l’amore, in particolare verso sua moglie, da cui trovare la forza per superare i momenti più bui. Si comincia l’ascolto con Below Sea Level un brano solo voce, gospel con una melodia minima, dove si canta la rabbia di chi è costretto a guardare dal basso verso l’alto un mondo che non sta andando nella giusta direzione. We Need To Talk About It, funk rock con abbondanza di cori stile gospel, ribadisce il bisogno di parlare ancora di schiavitù e delle sue conseguenze attuali. “Sei razzista o cristiano? Perché non puoi essere entrambe le cose”, ammonisce Ben Harper su un bel pezzo con una grande steel guitar e un coinvolgente giro di basso.

Si prosegue ad alto ritmo con Where Did We Wrong dove Harper si chiede dove abbiamo sbagliato per essere arrivati a questo punto. Le atmosfere funky, una voce calda, una superba chitarra ci accompagnano nel viaggio personale di Ben Harper e ci portano a Problem Child dove un fraseggio alla John Lee Hooker scandisce e contrappunta la melodia per poi lasciare il posto al sax; gran bel pezzo. Le atmosfere gospel tornano prepotenti in Need To Know The Basis che trascina con un intrigante giro di basso e un divertente solo di chitarra: tutti giusti ingredienti nella giusta misura. It Ain’t No Use ci propone un blues in minore essenziale, ritmato, senza fronzoli mentre More Than Love concede un po’ di leggerezza quasi pop.

Smile At The Mention è un gran bel blues da sentire ad occhi chiusi per lasciarsi trasportare dalla melodia tra svisate di chitarra e parti di ottoni e legni che scorrono leggeri nelle nostre orecchie. Nella stessa direzione viaggia Honey Honey dove la tastiera prende il posto dei fiati ad accompagnare l’onnipresente chitarra. Con Knew The Day Was Coming il ritmo sale, la steel guitar grida forte sui classici accordi blues mentre Maybe I Can’t chiude l’album con la calma di un pezzo acustico che gioca su un accattivante frase musicale. Tutti i brani hanno una durata piuttosto breve e l’intero album dura circa 35 minuti che di certo non vi annoieranno. Consigliato.

Aggiornato il 04 novembre 2022 alle ore 10:00