“L’inizio del buio”: un pozzo e una branda

Che cos’è in fondo a un pozzo artesiano? Un bimbo rannicchiato sulle ginocchia e una brandina da campo. Eventi lontani ma contemporanei, come la caduta nel pozzo di Alfredino e il sequestro e l’esecuzione di Roberto Peci, fratello del pentito delle Br, Patrizio. Lo spettacolo, per la regia di Peppino Mazzotta e la recitazione espressiva e altamente drammatica di Sara Valerio e Giancarlo Fares, attualmente in scena al Teatro Vittoria di Roma fino al 9 ottobre, prende il titolo dall’omonimo romanzo-verità di Walter Veltroni L’inizio del buio, che opera una Reductio ad unum di due episodi tra loro del tutto scollegati ma contemporanei, andati in onda sulla tivù pubblica dell’epoca, di un oramai lontanissimo 1981, quando Sandro Pertini era presidente della Repubblica.

Al tempo dei fatti, le Br continuavano nella loro folle corsa verso il nulla di una rivoluzione impossibile, dividendosi in decine di rivoli di violenza “concorrenziale”, dove ogni gruppo di fuoco sosteneva le proprie ragioni e la purezza della lotta originaria contro tutti gli altri. Accanto alla loro follia solipsista, si registrava la presenza di uno Stato praticamente in disarmo, che affrontava con una Protezione civile del tutto inadeguata un’emergenza all’inizio apparentemente banale, come quella di un bimbo caduto casualmente in pozzo artesiano, per farne nei giorni successivi alla scoperta del suo punto di caduta il centro primario dell’interesse morboso nazionale, poi allargato al mondo intero, grazie al primo esperimento dal vivo dell’accerchiamento mediatico di una sofferenza privata, che sarebbe stata da tutelare anziché amplificare erga omnes, come allora avvenne per pure ragioni di marketing.

Prima del ritrovamento, grazie alla curiosità di un carabiniere che non si era lasciato ingannare dall’apparenza, si era cercato dappertutto Alfredino nelle campagne circostanti, senza mai soffermarsi sull’imboccatura di quel famigerato pozzo che qualcuno aveva provveduto inavvertitamente a ricoprire con una lastra di metallo, senza rendersi conto della presenza del bambino a 37 metri di profondità. Al primo tentativo di portare soccorso, i Vigili del fuoco avevano calato una sorta di piccolo trapezio di legno nella speranza che il bambino cardiopatico fosse in grado di afferrarlo (come invece non lo era perché impossibilitato a muovere uno dei due braccini), per essere poi tirato su in superficie con la stessa corda di sostegno. Ma, dramma nel dramma, non solo la fune si ruppe nel tentativo di recuperare la tavoletta vuota che si era incastrata, ma tutti i tentativi successivi di rimuovere quell’ostacolo banale e fatale si rivelarono inutili.

E fu così, sull’esempio di altri episodi similari avvenuti nel mondo e in gran parte felicemente risolti, che si pensò al doppio tunnel parallelo al primo, cercando durante le prime 24 ore una trivella adatta nel Lazio e poi anche oltre. Nel frattempo, in qualche modo si tentava di rassicurare il bimbo, sia attraverso la voce della madre, sia con il racconto ininterrotto di fiabe, per tenerlo sveglio e distrarlo, che un pompiere di buona volontà e padre di famiglia gli faceva giungere attraverso il condotto, grazie a un semplice megafono.

Ma, come volevasi dimostrare, quando il destino si coniuga all’insipienza, all’impreparazione e all’approssimazione colpevole di uno Stato inefficiente, non può che venirne fuori una concatenazione di drammi, come farebbe una sequenza nidificata di istruzioni, l’una incastonata nella successiva, per cui venne fuori a posteriori che gli errori del soccorso non ebbero mai fine. Ed è la voce penetrante di Sara Valerio che, come i passi cadenzati di un plotone di esecuzione, ci accompagna passo dopo passo all’epilogo infausto della tragedia. Così, si passa da una prima trivella che arriva a una distanza di dieci metri più alto del punto nel quale si presuppone sia incastrato il bambino, ad un’altra più grande e massiva, illudendo un’intera nazione e i genitori del piccolo sulla liberazione prossima ventura, che però non arrivava mai.

Perché, nessuno fu realmente in grado di programmare quell’intervento, mentre al contrario venne dato spazio alle velleità più assurde, che richiamarono sul posto fenomeni da baraccone, dei quali venivano prese le misure del bacino, invece di far agire speleologi e geologi che avrebbero dovuto fare gli esami preliminari della stratigrafia del terreno, scoprendo per tempo che no, quel punto prescelto di scavo era invece il più inadatto possibile, perché scorreva in profondità una vena di basalto e di granito che avrebbe rallentato in modo inaccettabile le operazioni di trivellazione. Tanto più che il pesante cilindro di perforazione creava di fatto delle scosse di tipo sismico nel condotto in cui era prigioniero Alfredino, immettendo per di più, una volta arrivati al punto presunto di collegamento trasversale tra i due condotti verticali, fango e detriti che avrebbero rischiato di soffocare il piccolo.

Cosa, poi, realmente avvenuta con lo scivolamento verso il basso del corpicino di altre decine di metri, senza che i soccorsi se ne accorgessero, dato che la misura corretta venne fatta da un coraggioso speleologo che era riuscito a raggiungere il condotto di Alfredino attraverso il passaggio trasversale. Lo stesso improntato da un altro eroico ed esilissimo tipografo sardo, che fu l’ultimo a toccare e parlare con il bambino ormai rantolante, prima di rinunciare dopo avergli rotto un polso nel disperato tentativo di tirarlo su in superficie. E Roberto Peci?

Che dire del suo specialissimo buio, in una stanza prigione alla Aldo Moro, interrogato come il presidente della Dc dai suoi assassini, senza mai capire che cosa veramente costoro volessero da lui, i quali addirittura filmarono con una telecamera gli ultimi giorni dell’ostaggio, per poi proclamare, complice l’obiettivo, l’avvenuta sentenza di condanna? Quale terrore invase la coscienza vigile di Roberto, quando venne praticamente reso cieco e muto, avvolto in una coperta scura, prima che decine di colpi mortali lo raggiungessero? Ecco: finalmente uno spettacolo vero, da non perdere, denso di emozioni forti come accadeva nel teatro di una volta, in cui si racconta l’animo e il malanimo dell’essere umano, senza mai nascondere nulla di questa sua natura perversa e criminale, Stato incapace compreso.

Aggiornato il 06 ottobre 2022 alle ore 15:33