“The Beatles: Get Back”, il mito è nudo

Le otto ore di The Beatles: Get Back hanno un effetto molto particolare: rendono i protagonisti spogliati del loro mito. John Lennon, Paul McCartney, George Harrison e Ringo Starr diventano quattro ragazzi con cui alla fine si entra quasi in confidenza dopo averli visti provare e riprovare, sbagliare e litigare, scherzare, mangiare, bere e fumare lontani dalla leggenda e dalle orde di adoranti fanciulle urlanti disperate. Come un archeologo fa una scoperta eccezionale su un mito dell’antichità, traendone conferme o smentite, così noi scopriamo i nostri eroi e capiamo che di essi non avevamo capito quasi nulla. Da subito emerge prorompente la personalità di Paul McCartney, quello che crede più degli altri nel progetto. Musicista di eccezionale talento si sente in dovere di motivare gli altri dicendo sempre la sua sugli arrangiamenti e si scontra più volte con George Harrison il quale ad un certo punto sbotta e dice “Tu hai bisogno di Eric Clapton. Dopo l’abbandono del gruppo da parte di George Harrison, il successivo rientro e il trasferimento agli Apple Studio di Savile Row, l’atteggiamento di McCartney si ammorbidisce molto ma continua a impressionare la sua straordinaria capacità di scrivere musica e di interpretarla con la voce, il basso e il pianoforte.

John Lennon arriva alle prove generalmente in ritardo, sempre accompagnato da Yoko Ono e dalla sua Epiphone semiacustica color crema, ma in sala prove la sua personalità si impone, forse in modo meno plateale ma altrettanto incisiva. Alla fine, è il più empatico, quello che con le sue battute stempera la tensione suscitando risate e scherzi. Fa davvero effetto vedere gli sguardi di intesa tra lui e Paul o seguirli mentre scrivono insieme i testi delle canzoni come hanno sempre fatto da quando si sono conosciuti, appena quindici anni prima. Se qualcuno ha mai pensato che i Beatles si siano sciolti per la rivalità tra Lennon e McCartney, qui riceve una clamorosa smentita. Ringo Starr è sempre il primo ad arrivare, sempre pronto alla battuta e allo scherzo, capace di inserirsi con la sua batteria e con sorprendente naturalezza in tutto ciò che gli altri tre suonano e a far diventare quella cosa un pezzo dei Beatles. Insomma, Ringo Starr è bravissimo alla faccia di ciò che pensano i freddi virtuosi dello strumento.

George Harrison è il personaggio più controverso; per niente convinto della bontà del progetto che i Beatles stanno realizzando è sempre pronto a bocciare ogni iniziativa. Inizialmente soffre molto la “saccenza” di Paul McCartney e quando proprio non ne può più non esita a lasciare il gruppo. È l’unico che parla apertamente di voler scrivere un album da solista dove dare libero sfogo alla sua creatività e infatti, appena un anno dopo, pubblicherà nel 1970 addirittura un album triplo All Thing Must Pass. Convinto dagli altri tre, torna nel gruppo con la sua chitarra inconfondibile, mai banale, sempre alla ricerca del contrappunto musicale con i sui solo che hanno lasciato il segno nella storia della musica. Apro qui una parentesi per dire che oggi su Spotify la canzone più ascoltata dei Beatles è Here Comes The Sun, una Harrisong che primeggia per distacco su Come Together, Let It Be e Yersterday del duo Lennon-McCartney; scherzi del destino.

Yoko Ono è onnipresente al fianco di John Lennon. Al contrario di Linda McCartney, che appare spesso ma sempre defilata, Yoko Ono è sempre seduta in prima linea eppure non interviene mai. Si limita a stare vicino a Lennon e si intuisce che è lui ad aver bisogno di lei, ma è del tutto assente nelle dinamiche della band. Anche il mito che sarebbe stata Yoko Ono a determinare lo scioglimento del gruppo viene definitivamente smentito. Billy Preston arriva agli Apple Studio e non appena si siede al Rodes il suono della band cambia; Don’t Let Me Down, su cui i Beatles lavorano senza grandi risultati da diversi giorni viene trasformata per incanto e Lennon esclama “tu sei nella band!”. Billy rimarrà con i Beatles fino al mitico concerto sul tetto contribuendo in maniera determinante agli arrangiamenti dei pezzi che ritroviamo in Abbey Road e in Let It Be.

Mal Evans è il road manager del gruppo, sempre pronto a scrivere i testi dettati da Paul e John e ad intervenire per esaudire i desideri dei quattro, un po’ robusto, col suo caschetto biondo. Una sera gli chiedono un martello e un’incudine e il giorno dopo una pesantissima incudine troneggia nello studio e viene “suonata” dallo stesso divertito Evans in Maxwell’s Silver Hammer. Michael Lindsay-Hogg è il regista, un personaggio particolare con tanto di stivali e sigaro. Propone continuamente idee piuttosto bislacche su come e dove fare lo show come l’anfiteatro di Leptis Magna o addirittura in un orfanotrofio e le sue proposte sono quasi sempre seguite da silenzi imbarazzati o da fermi rifiuti. Arriva a chiedere a John Lennon di presentare i Rolling Stones e per questo verrà ripetutamente preso in giro dallo stesso Lennon. Però se Peter Jackson ha trovato il materiale per realizzare la serie il merito è anche suo.

George Martin è il produttore musicale del gruppo, sempre elegante e pronto ad assecondare il genio musicale dei suoi ragazzi. Nel documentario il suo apporto musicale non emerge in tutta sua importanza ma lui e Brian Epstein, il manager morto due anni prima, sono i due numi tutelari dei Beatles. Tutti questi personaggi vivono a stretto contatto i 21 giorni di prove testimoniati nel documentario dove sono tanti i momenti destinati a rimanere impressi nella memoria di chi vi assiste. Ho già abusato troppo del vostro tempo per cui mi limiterò a descriverne solo quattro.

L’attimo creativo. La scena è questa: Ringo Starr e George Harrison sono seduti nello studio e aspettano annoiati l’arrivo degli atri. Arriva Paul McCartney che imbraccia il basso e incomincia a canticchiare qualcosa sulle note di La e Re. Sono linee melodiche che partono in un modo ma che a mano a mano si trasformano sino a diventare Get Back. Ecco impresso sulla pellicola l’attimo in cui l’artista concepisce la sua creazione. I balli. Due sono le scene di ballo che mi piace ricordare. Il valzer che John Lennon e Yoko Ono ballano sulla melodia di I Me Mine, il Rock ‘n Roll sfrenato che Lennon e McCartney ballano insieme e diventano nient’altro che due amici con una gran voglia di divertirsi.

Le prove. I Beatles lavorano tanto provando e riprovando le loro canzoni, Let It Be su tutte, fino a non poterne più. Per comporre e suonare musica che vinca la sfida del tempo occorre lavorare duramente. Dovrebbero capirlo anche i giovani artisti di oggi.

Il concerto sul tetto. Il concerto finale sul tetto degli Apple Studio di Savile Row in Londra è un concentrato di energia che finalmente esplode. I quattro Beatles, accompagnati da Billy Preston, finalmente suonano di nuovo dal vivo dopo tre anni di digiuno. E hanno una gran voglia di farlo. E sono quattro animali da palcoscenico. E si rivestono nuovamente di mito.  

Aggiornato il 16 luglio 2022 alle ore 11:53