Felici, no: ma la “Cuntintizza” di Agnello Hornby è possibile

È possibile essere felici? Di questi tempi? Felici proprio no, ma neppure così accerchiati di problemi, di ansie e preoccupazioni. Al diavolo! Perché contenti è possibile. Anzi, è un dovere, una lotta, la nostra risposta al male contemporaneo di vivere. Si chiama cuntintizza, così la definisce nel suo ultimo libro (“La cuntintizza”, Mondadori) Simonetta Agnello Hornby, l’avvocatessa e scrittrice naturalizzata britannica, nata da nobili siciliani, che ha estratto dalla sua memoria odori, sapori, colori e suoni che possono determinare questo stato connaturato e naturale di benessere. Un’esigenza, una medicina e una filosofia esistenziale più semplice di una seduta psicanalitica o di due ore di yoga. La memoria, le cose belle di famiglia, il tessuto da cui proveniamo, la felicità domestica racchiusa nel minimale.

La cuntintizza ha a che fare con la pacescrive Agnello Hornby – ma include anche una vaga, seducente inquietudine, uno sfrigolio che vuole restare chiuso lì dov’è, come se fosse una pallina di zucchero che profuma di cannella, una pallina in fondo all’anima, qualcosa di piccolo che si scioglie e per un attimo addolcisce il tutto e subito si consuma”.

Scritto a due mani con la nipote, Costanza Gravina, questo manuale dei cinque sensi è un prontuario utile in tempi di depressioni, crisi e sconforto per recuperare quello stato d’animo essenziale per vivere. Non si può essere infelici, o meglio non si può lasciarsi andare, perché la vita – come la descrive l’avvocatessa che vive a Londra dal 1972 e ha dedicato la sua vita ai minori e ai fragili – è fatta di piccole cose spesso rituali.

“La cuntintizza nasce e si manifesta in ogni singolo individuo – scrive – senza rivelare da dove ha origine e perché esiste. Si può raggiungere in svariati modi; io la cerco attraverso l’osservazione e la curiosità. Ognuno di noi ha la sua cuntintizza”.

È un balsamo, ha a che fare con i cinque sensi, moltiplica il nostro tempo, ci fa vivere più a lungo, è intima e personale. “I sensi sono fondamentali, perché la cuntintizza va percepita – spiega l’avvocatessa scrittrice in occasione della presentazione alla Velletris Libris della Mondadori Bookstore di Velletri (Roma), introdotta dall’amica giornalista e scrittrice, Cinzia Leone – ricordo che avevo un collega assistente sociale non vedente, che faceva i sopralluoghi nelle case dei bambini affidatari e dagli odori, i suoni, dal tatto, riusciva a capire minutamente la condizione della casa, del bambino, mi descriveva tutto. E spiegava che, forse, se non fosse stato cieco non avrebbe avuto tanta sensibilità”.

Allo stesso modo vista, gusto, olfatto, tatto e udito possono captare, rivelare e donarci quei particolari stati d’animo che sono meglio dello psicanalista, poiché in essi è anche racchiuso il vissuto personale, i nostri ricordi, l’unicum. Il libro è, infatti, una ricetta di vita, una serie di fotogrammi in cui sono custoditi i momenti indelebili: la pallina di zucchero, la tazzina di caffè del rito mattutino (“attenti, senza cucchiaino e piattino, preso in fretta, il caffè non serve”), il profumo delle patate bollite, tutto ciò che ci rimanda alla beatitudine pura, ciò che è iscritto dentro noi e che espande l’anima toccando le corde profonde dello stato di meraviglia.

Tra tutti i riti che Simonetta Agnello Hornby spiega nel testo, il più curioso è sicuramente “acqua e alloro”. L’alloro, narra l’autrice, è leggendario: secondo la mitologia greca, fu dato quando Dafne, casta diva concupita da Apollo, fu tramutata in questa pianta dalla madre Gea per sfuggire al dio. “Il mio utilizzo è quello di una bevanda che preparava mia madre”, racconta. “Una o due foglie per persona, bollite per cinque-dieci minuti con scorza di limone, che dà un bel colore dorato, danno una bevanda limpida, trasparente, profumata, squisita se bevuta da sola, squisitissima con l’aggiunta di un cucchiaino di miele o zucchero”.

La singolarità è che “acqua e alloro” in casa Agnello Gangitano Caramazza era anche la pozione del “rito del perdono”, ossia una confessione senza prete, un lavacro delle emozioni: “Siediti nella poltrona in cui ti senti più comoda – insegnava la madre dell’autrice – poggia sul tavolino accanto la teiera colma di acqua e alloro e una tazza da tè con un piattino. Versa la tisana e bevine un sorso. Pensa alle malefatte che ti hanno addolorato, ricordale una e a una e soffri, bevi un altro sorso e perdona, bevi un altro sorso e dimentica. Pensa alle altre malefatte che ti hanno umiliata, ricordale una a una, e soffri, bevi un altro sorso e perdona, bevi un altro sorso e dimentica. Pensa, ricorda, soffri, perdona e dimentica. Dimenticare le malefatte perdonate è fondamentale per star bene e poi raggiungere la cuntintizza.

Il lockdown ha segnato anche l’avvocatessa delle donne, che tanto ha dedicato all’emancipazione femminile. “Durante il Covid ho avuto anche io – ammette – pensieri tristi e rassegnazione. Ma più dello yoga e del pilates ho trovato in questa memoria le ricette fondamentali. La felicità è troppo mitizzata e non si può essere sante o divine. Contente sì, perché è un fatto di cultura, di metodo, di esercizio. Ed è uno stato che porta alla condivisione. Lo scontento guarda e sta zitto, livido. Il contento invece parla, e se non parla sorride, e se non può sorridere con la bocca sorride con gli occhi, ma un sorriso c’è sempre”.

Essere contenti si può anche nell’infelicità, anche nelle disgrazie e nelle avversità. L’autrice cita la malattia degenerativa che ha colpito nel 2002 il figlio Giorgio: “Eppure perfino in quei momenti, seri e drammatici, si solleva uno spirito che mostra le minime sensazioni, il lato ironico, la superiorità del vivere che è più grande dei drammi e delle contingenze e racchiude stati preziosi che illuminano ogni aspetto. Anzi, a volte i drammi dilatano l’anima e la rendono più sensibile. Insomma, nulla è dato per sconfiggerci, anche le esperienze più negative. Ma occorre avere il culto della contentezza, sapere che l’uomo è una creatura meravigliosa e ricca di risorse, per cui nulla deve abbatterci”.

Il libro di Simonetta Agnello Hornby è un inno alla vita, all’essere umano, alla superiorità del creato in questi tempi così disfattisti. Leggerlo sembra di sedersi con lei, volitiva, forte, preparatissima, e di essere difesi nel lato più esposto, cioè le emozioni. L’avvocatessa delle donne, dei minori, dei fragili con queste memorie ci tutela nella “speranza della beatitudine”, il poco che può illuminare un attimo, la pallina del caffè appunto, una tisana, uno sguardo sulla vita immensa e piena di speranza. “La speranza è tutto”, conclude nel suo inno domestico e laico, ma dai valori profondamente alti e cristiani.

(*) Simonetta Agnello Hornby-Costanza Gravina, “La cuntintizza”, Mondadori, euro 18

Aggiornato il 15 luglio 2022 alle ore 20:50