“C’mon, C’mon”, un viaggio nell’infanzia

Il significato del viaggio è il viaggio stesso! Un percorso, quello della vita, che si presenta spesso nelle più bizzarre modalità. Nel film C’mon, C’mon (nelle sale italiane dal 7 aprile) del regista Mike Mills, interpretato da Joaquin Phoenix (Johnny) e dal piccolo Woody Norman (Jesse), il titolo decisamente onomatopeico assomiglia a un richiamo primitivo per la liberazione dell’Io dalle catene sociali, familiari e convenzionali che costituiscono un corsetto rigido con cui si imbragano i sentimenti che non si desiderano o non si possono rivelare. La storia in sé è addirittura banale, laddove lo zio Johnny, unico fratello della madre Viv (Gaby Hoffmann)del piccolo protagonista, è chiamato dalla sorella, per gravi motivi di famiglia, a occuparsi temporaneamente del figlio di lei, Jesse.

Johnny però ha sempre poco tempo per se, facendo parte di un’equipe che va in giro per le grandi città americane intervistando adolescenti, per poi registrarne le impressioni in risposta a domande dirette e semplici, con cui li si invita a dire la loro sulle proprie condizioni socio famigliari e sulla società americana, in generale. Il tutto si muove, all’interno di un bianco e nero privo di sorprese, con grandi inquadrature dall’alto e dal basso dei vari centri urbani, lungo un percorso di indagine che intende dimostrare come la mente adolescenziale abbia rilevanti costanti comportamentali, di giudizio e di opinione, indipendentemente dal sesso e dalle origini etniche, anche se la condizione razziale non è mai esclusa e non prescinde dal contesto familiare e scolare.

Emerge così l’assoluta prevalenza statistica per i temi dell’inquinamento ambientale, e per i fattori di violenza molto presenti nella società americana, con particolare riferimento alla convivenza con gli adulti, troppo spesso assenti o disattenti alle richieste dei loro figli più giovani. Johnny è un bravo intervistatore ma con nessuna esperienza di paternità, venendo da una storia di atroci abbandoni, come la morte della madre (la cui agonia torna più volte in flashback) che lo adorava preferendolo nettamente alla sorella Viv, carattere ribelle che aveva lasciato gli studi andandosene di casa, alla quale perdita si è sovrapposta la separazione con la moglie, dalla quale Johnny non aveva avuto figli. Il film e i suoi significati hanno un unico centro pesante, quello della “genitorialità” (come si fa il genitore? Nessuno lo sa e a chi tocca sperimentarlo, tutor o parente diretto, lo fa a proprio rischio e pericolo!), in cui convergono con un moto a spirale tutte le diverse situazioni in cui si trovano a vivere i tre protagonisti, fratello e sorella, da un lato, e il bambino dall’altro.

Va ancora peggio quando il piccolo dimostra una spiccata sensibilità e l’attitudine a vivere e coltivare un proprio mondo fantastico, in cui ora lui stesso si interpreta ora come un orfano, ora in lotta perenne con un mondo di mostri con i quali pretende che madre e zio vengano in interazione. Vivissima è la questione dell’abbandono, seppur momentaneo, alleviato quanto meno dalla parola lontana di una giovane madre amatissima, costretta dalle circostanze a rimanere distante, dovendosi limitare a seguire il nascente e conflittuale rapporto tra zio e nipote attraverso le comunicazioni sul cellulare (vera ancòra di salvezza per tutti i protagonisti), in cui è la parola a conquistarsi i primi piani, essendo ora elemento di conforto per figlio e fratello, ora di disperazione per le vicende in cui Viv è coinvolta.

Il problema si fa ancora più complicato quando alle questioni di lavoro di Johnny si sovrappongono complessità impreviste di linguaggio (sempre molto sorprendenti e spiazzanti) di Jesse e dei suoi atteggiamenti ribelli, che tendono a mettere l’adulto in costante difficoltà e in perenne allarme sulle possibili reazioni del bambino. Come si vedrà, la relazione tra uno zio sconosciuto e un nipote affettuoso, intelligente con comportamenti imprevedibili per chi padre non lo è mai stato, comporta una tessitura molto paziente del rapporto surrogato padre-figlio in cui, però, vige sempre la condizione della sorpresa. Relativamente, cioè, a cose che non ti aspetti da un bambino, come sostituirsi a te mutuando la passione per il registratore e la curiosità per il Viaggio, in ossequio al suo innato desiderio di avventura e di scoperta. Analizzando da vicino la personalità del nipote, Johnny trova nuovi stimoli per dare un nuovo, inaspettato significato alla sua vita di uomo adulto che, nello svolgersi di questa complessa e delicata interlocuzione, trae beneficio e un nuovo interesse per la propria vita, riscoprendo per di più l’intensità dell’amore per una sorella che credeva distante e perduta.

Aggiornato il 01 aprile 2022 alle ore 18:46