“Belfast”, Dies irae

Belfast, ovvero I giorni dell’Ira. Un film da cineteca, diretto da Kenneth Branagh, rigorosamente in bianco e nero, essendo il colore riservato esclusivamente alle immagini delle pellicole del tempo, che vengono proiettate nel piccolo cinema locale. Il teorema dei chiaroscuri è strumentale alla rappresentazione degli stati del dramma della discesa agli inferi, per cui la vita perde le sue sfumature cromatiche e tutto diventa Bianco o nero, secondo il canone primitivo dello schema amico-nemico, ovvero di quello equipollente per cui “o stai con noi o sei contro di noi!”. Un racconto, quello di Branagh, allo stesso tempo crudele e tenerissimo; ironico e senza speranza. Un popolo, quello cattolico irlandese, povero e odiato dalla controparte protestante, costretto a farsi eterno emigrante in cerca di fortuna e di una paga da lavoro duro (minatore, carpentiere, operaio) per sopravvivere. Una microsocietà colta dal fermo immagine mentre si muove ignara nel contesto di un clima crescente e sempre più esplosivo di conflitto permanente tra due comunità religiose, la cattolica e la protestante, che diede inizio nel 1968, anno dei fatti in cui il film è ambientato, alla guerra dei trenta anni tra le due Irlande. Così, a un tratto, l’età dell’innocenza di Buddy (un bravissimo Jude Hill), un bambino di una famiglia protestante di soli 9 anni, vede l’inizio della sua fine prematura nell’irrompere nel suo quartiere di un manipolo di estremisti (il Male) della sua stessa fede che devastano impuniti un quartiere di casette in cui, fino ad allora, avevano coabitato pacificamente le due comunità religiose.

Il Bene ha le sembianze collettive di una famiglia unita, bella e solidale come quella di Buddy, dei suoi genitori (Pa e Ma), dei nonni (nonna e Pop) e dei suoi zii che si danno reciproco aiuto e conforto, mentre l’anziano Pop è il faro-guida, il filosofo che dispensa identità, certezza e conforto ai suoi parenti più stretti e a Buddy, in particolare, con il quale ha un rapporto esclusivo di educatore e nume tutelare sopra le parti. Presto Buddy imparerà da Pa e Pop, da Ma e da nonna che davvero l’immagine dell’Eden è negli occhi di colei che si ama (aspetto prorompente in entrambe le componenti della coppia genitoriale giovane e di quella anziana), a dispetto di tutte le brutture del mondo adulto. Quest’ultimo in rapida rotazione in senso antiorario, con una freccia inversa del tempo tale da riproporre gli assurdi, insepolti conflitti del passato, anziché proiettarsi nel futuro e nella modernità incombente. Allora, l’antidoto, l’unico ed eterno che rimane a chi vive l’attualità di quell’involuzione sociale così profonda e devastante, è rappresentato dalla somministrazione del rimedio dell’Innocenza nell’infanzia; dell’Amicizia in età adulta che guarda oltre le barricate rimanendo quella di prima del cataclisma sociale; e dell’Amore controcorrente, che si oppone con i suoi occhi azzurri pieni cielo e sgombri da nubi allo scatenarsi furibondo del ciclone devastatore di progrom stile Ku Klux Klan, divoratore di uomini e di esistenze.

Così, il piccolo Buddy si innamora perdutamente della sua compagna di classe cattolica e riceve dai suoi Pa e Pop tutti i nutrienti della tolleranza e dello sguardo oltre l’orizzonte, rispetto a quegli odi che tutto intorno gli stanno stravolgendo la vita con le loro armi, gli incendi, le violenze gratuite e i saccheggi a scopo di terrorismo. Ed è lo sconfinato amore per la sua famiglia a motivare e spingere Pa (un po’ mentitore e accanito scommettitore sulle corse dei cavalli) a lunghe, avvilenti e penose separazioni, per lavorare in patria (UK) come migrante carpentiere, ospite sgradito in quella così poco amata Inghilterra, fagocitato dalla sua megalopoli, autentica fabbrica di anomia, così tanto estranea da sembrare molto più ostile della lontanissima Sidney australiana, portatrice di speranza di una vita migliore e pacifica, e di un lavoro finalmente ben pagato. Il pensiero di Pa, venato di rimorso per i tempi lunghi e numerosi dell’assenza, è costantemente rivolto idealmente alla cura per i suoi due figli maschi, mentre la sua visione politica rifiuta qualunque omologazione e settarismo, ponendosi al di sopra e al di fuori delle passioni malate e delle minacce dei suoi amici rivoluzionari.

Questi ultimi i soli responsabili nell’aver scatenato una guerra civile che sta per strappare definitivamente dalla sua piccola comunità le bandiere della pace e della tolleranza, in cui appena un istante prima erano avvolte le due anime d’Irlanda. Ma Pa ha il dono più prezioso che esista nella vita di un uomo: la sua Ma, una bellissima moglie di gran carattere, intenzionata a non mollare di un millimetro le sue radici rimanendo a tutti i costi nella sua collettività originaria di Belfast, dove tutti conoscono tutti e in cui, prima di quel feroce 1968, le famiglie vivevano in pace e si tendevano la mano. Ed è Ma il vero pilastro della sua famiglia: lei che fa economie e di continuo costruisce ponti, tira su con fatica e sacrifici solidi edifici educativi nei quali riparare e offrire certezze al figlio maggiore e, soprattutto, al minore, dato che, incautamente, Buddy è portato nella sua ingenuità a vedere come uno strano e divertente gioco i saccheggi e i piccoli furti, organizzati come prova di coraggio dalla sua banda di ragazzini, di fronte alle quali Ma si oppone e si indigna. Ma, a volte, non è sufficiente il motto siciliano di flettersi quando arriva l’onda di piena perché eventi tragici hanno il potere di cancellare la speranza di futuro e, così, quando è ancora possibile, si fugge sempre dalla Morte per andare incontro alla Vita. Da non perdere.

Aggiornato il 03 marzo 2022 alle ore 12:34