Il Marchese De Sade, le astuzie del male

Personaggi della civiltà

Abbiamo parlato di personalità criminali distinguendo il male dalla malvagità, la malvagità è una maniera specifica di fare il male, persone che cagionano il massimo di sofferenze agli altri, godendone. La persona e il personaggio di cui scriveremo, De Sade, fu un pratico e teorico di questa concezione, vecchia quanto l’uomo, almeno dell’uomo civilizzato. De Sade è riconosciuto come rappresentativo della malvagità, al punto che da lui viene la denominazione, il sadismo. Il personaggio in questione è precisamente il Marchese Alfonso, Donato, Francesco De Sade (1740-1814). La sua famiglia, di antica nobiltà, figlio unico, gli altri nati morti precocemente. Non fu educato in casa propria, il padre si spostava per compiti diplomatici, di certo uno zio, abate assai spregiudicato, influisce nella formazione di De Sade. Era l’epoca illuminista, De Sade vuole vivere a suo modo, fin da giovanissimo, libero, non timorato, ciò era specifico di taluni aristocratici e degli intellettuali, in forma diversa, gli aristocratici per affermare la loro voglia di dominio e di piacere, gli intellettuale per l’uso della loro ragione non condizionata dalla religione.

De Sade prende dagli uni e dagli altri in maniera del tutto personale, degli aristocratici ha il senso del dominio, il presunto “diritto” al dominio, degli intellettuali illuministi l’autonomia della ragione che però in De Sade è la “sua” ragione, ed in quanto la sua ragione serviva per i suoi desideri, non è asservito alla ragione ma si serve della ragione per dominare, ripeto. Non vi è autorità superiore alle passioni dell’individuo, in De Sade, non le leggi, non il sovrano, non Dio, l’uomo regola sé da sé in vista dei suoi desideri. In De Sade la prepotenza aristocratica e l’indipendenza della ragione illuminista ma soggettiva si coniugano vertiginosamente, all’estremo, egli si reputa non dipendente né da una superiore sovranità, né da una Ragione al di sopra della sua ragione, come invece era negli Illuministi. Questa mentalità la mise in atto fin da giovane. Dicevo, fu un libertino, non nel senso banale del termine cioè di avere avventure sessuali ma avventure particolari, la persona con cui veniva in contatto doveva soffrire, essere schiavizzata, seviziata.

Gli atti del Marchese De Sade non sono eccezionalmente sadici, cominciò con una prostituta, Jeanne Testard, altre donne a cui fornì una sorta di veleno non mortale, fu sodomita, anche, sposò una donna che non amava per imposizione del padre, la abbandonò per una amante che amava, trasse la sorella della consorte nella sua scatenata sessualità irregolare, con lei fuggì in Italia, usciva ed entrava dal carcere come in un albergo ad ore, la consorte rimase a lui devota, persino contro la madre, la vera nemica di De Sade, ostinatissima a volerlo in galera o in manicomio, da raggiungere lo scopo, De Sade finì in galera ed in manicomio. Fu in galera ed in manicomio che De Sade espresse il sadismo, non tanto nella vita ma nella vita immaginata, nei libri, costruendo una propria filosofia ed è questa filosofia che stabilisce il sadismo, De Sade è l’inventore del sadismo più in letteratura che nella vita, lo è in maniera ampia ed altamente problematica, giacché riesamina il bene ed il male, il valore dell’uno e dell’altro, con dubbi sulla morale corrente, divenendo teorico di una morale alternativa, alterativa.

A differenza degli Illuministi De Sade crede che l’uomo per natura è assolutamente disposto al male, differenziandosi da correnti illuministe che lo avevano appena preceduto fiduciose nella bontà naturale, fino a spingersi a ritenere che la Natura è buona, e l’uomo deve osservarne, rispettarne le regole, per De Sade, come per il Barone D’Holbach e per Giacomo Leopardi la Natura è atrocemente cattiva, guerrafondaia, cannibalica, fare apprendere che la vita è una guerra di sopraffazione è il compito pedagogico che De Sade si propone in modo paradossale, sostenere che il male domina nella natura e nella società per De Sade non vale dire che bisogna lottare il male, anzi compierlo, mettersi in armi, difendersi, attaccare, scorpionizzarsi tra gli scorpioni, a pungiglione irto. E il dominio deve essere radicale, completo, fisico oltre che mentale, a godere della sofferenza altrui, sentire piacere facendo soffrire, ed ancor più: eliminazione assoluta di ogni colpa e di ogni compassione. Tale il nucleo ferreo della concezione di De Sade, godimento della sofferenza altrui, De Sade ritiene che per sopravvivere, per vivere bisogna essere malvagi, tanto malvagi da far credere all’altro, alla vittima, di essere colpevole, che colpevole è la vittima, che la vittima “merita” di essere dominata, svilita, non addossare la responsabilità del male ai seviziatori ma a se stessa, la vittima, che si rende vittima e colpevole, lo scopo raffinato e spietatissimo del sadico è che la vittima si disponga ad essere sbranata sentendosi colpevole dello scempio, meritando lo scempio, al dunque, chi è spregiato viene spregiato al punto da giudicarsi spregevole, degno di ricevere ogni oltraggio.

Possibile anche che chi fa il male inganni illudendo la vittima di agire per il bene della vittima. Sia come sia, ogni scelta purché al fine di dominio e sofferenza altrui e colpevolizzazione della vittima, per De Sade è a proposito, per De Sade il “buono” è rovinato. Colui che è stretto nella convinzione che non occorre reagire al male con il male, anzi si incolpa di rispondere al male con il male, insomma, ripeto, il “buono” è destinata, per De Sade, alla perdizione, diverrà soggetto dell’assoggettamento del sadico, del malvagio. Bisogna essere assassini, crudeli, sopraffattori e soprattutto capaci di convincere il prossimo che resti “buono” così verrà dominato, e crederà perfino di meritarlo perché se replicasse sarebbe “cattivo”, non più “buono” ossia vittima. Il capolavoro del sadico è suscitare nell’altro la morale della colpa e della bontà, in tal modo sarà una vittima che crede di meritare le sofferenze. Quanto De Sade scrisse, molto, Justine, La filosofia nel Boudoir, Le centoventi giornate di Sodoma, tra le sterminate, dichiara narrativamente o saggisticamente queste concezioni in maniera estrema, con una diffusiva elencazione di incombenti sevizie alle quali le vittime non scampano, anzi trascorrono da una spietatezza all’altra, da una tortura ad una svillegiata abominante in radicale disparità tra torturatori e torturati, i quali ultimi, insisto, spesso si ritengono colpevoli e non condannano i torturatori ma se stessi. Il vertice del sadismo sta nel rendere la vittima convinta di meritare la crudeltà e che il sadico ne voglia il bene, sopra tutto che non è giusto ribellarsi al sadico. L’effetto è chiaro, il sadico domina, il “buono” subisce e poiché sarebbe male non essere buono, continua a subire.

Ma torniamo alla biografia, abbiamo da narrare di un uomo non soltanto delle idee di quest’uomo. De Sade amava molto il teatro, da sempre, aveva addirittura fatto costruire un teatro nel suo castello, e a Parigi, nella casa della famiglia della consorte. Quando fu recluso nel manicomio creò una compagnia, recitando e facendo recitare testi suoi o di altri autori. In quanto alla consorte, che, accennavo, lo difese, De Sade non pare l’amasse, era innamorato di un’altra donna, in ogni caso la tradì immediatamente, abbandonandola. Forse la imposizione del matrimonio con una donna che egli non amava lo rese rivoltoso maggiormente. Contrastare le consuetudini e regole sociali riconosciute fu il suo scopo. E tuttavia, gli aristocratici erano abituati al dominio di classe, De Sade forse non faceva più di quanto facessero altri personaggi. È il punto cruciale della “filosofia” di De Sade, Egli mette a nudo questa mentalità dominante degli uomini e la ingenua sudditanza dei “buoni” che si colpevolizzano ricevendo il dominio senza rivoltarsi. Inteso in questo modo, De Sade diventa uno dei maggiori scrittori “morali” di ogni tempo: svelare la ferocia dell’uomo sull’uomo che si spinge a rendere la vittima colpevole senza ribellione, di meritare la sofferenza per potersi considerare buona. Se reagisce è malvagia. De Sade travolge questa concezione, educa a non subire, se il Potere cerca di asservire, addomesticare, farti credere che se ti opponi sei cattivo, non farti ingannare, comprendi che se “tu” obbedisci, il Potere ti annienta e ti suscita colpa se non resti vittima. Lo ripeto, il genio sadico è far credere che venire annientato non esige reazione anzi sottomissione colpevole. Se il mondo naturale e sociale è un groviglio di serpenti e scorpioni, guai a chi non ha veleno ed aculei! Se Justine, per dire, invece di ricevere le malefatte altrui rimproverando se stessa avesse reagito non sarebbe stata la “disgraziata” vittima come rappresentata nel romanzo di De Sade. Insomma, la “virtù”, per De Sade, incorre nella disgrazia, è sconfitta. Occorre prepararsi a fare il male ed a difendersi dal male, sempre per De Sade. Forse, chi ci farebbe del male non oserebbe se trovasse resistenza, renitenza. Individui e popoli indotti a sentirsi colpevoli, accusati di esserlo, finiscono con l’autoaccusarsi, e il dominio sadico infierisce indefinitamente. Al dunque, De Sade ci rende consapevoli del sadismo.

Proprio nell’esistenza di De Sade questo scontro avvenne ma vinse la “virtù”, quella che socialmente è considerata “virtù”, incarnata dalla madre della moglie di De Sade, una nemica accanitissima, la quale lo perseguitò infine ottenendo la carcerazione e il ricovero in manicomio. Ma era una “virtù” spietata. Durante la Rivoluzione De Sade si strappò la nobiltà, divenne un semplice “cittadino”, ai nobili tagliavano la testa, nell’Era di Napoleone ne fu aspro avversario, e sembra che Napoleone personalmente lo volesse ai ferri. Era di statura media, ben fatto, occhi azzurri, nel tempo pare ingrassasse. Anche se il sadismo è una perversione sessuale e Le centoventi giornate di Sodoma descrivono le più nefande trovate sadiche nell’erotismo la concezione di De Sade va oltre l’erotismo, è la visione di una Terra, naturale e sociale, dove il Male regge le fila e chi non sa compiere il male o difendersene e crede che virtù e bontà, colpa e sacrifici trionferanno è destinato alla soggezione. Dove la più raffinata astuzia dei malvagi sta nel fare credere agli altri che è giusto essere buoni, non reagire al male, anzi sentirsi colpevoli di non subire il male. In fondo De Sade non fa che esprimere una elementare, decisiva realtà: il male è male sopra tutto quando vuole che “tu” devi riceverlo senza ritenerlo male.

Il dominio mai fa l’uomo più schiavo di chi viene convinto che subire sia per l’altrui bene. Quando la vittima riesce a dire: mi stai facendo soffrire, il sadico è scoperto, e sconfitto. Al dunque, De Sade svela il male. Sembra la scoperta dell’evidenza, Errato. Niente è più travestito ed occultato quanto il male. Dire male al male lo hanno pronunciato rarissimi uomini. E quando non determiniamo male il male non ce ne difendiamo. De Sade? Un sadico che avvisa i “buoni”: no siate “buoni” con i sadici che vi elogiano la bontà, Vogliono le pecore, il gregge. Attenzione. Come i moralisti De Sade va inteso al contrario, oltre l’apparenza. “Svela” il male che ama compiere!

Aggiornato il 23 dicembre 2021 alle ore 10:12