“Promises”: l’eterna lotta tra eros e thanatos

Cos’è una congiunzione astrale tra Eros e Thanatos? Un film, per esempio, dove l’incontro tra i due è al contempo coup-de-théâtre e puro dramma esistenziale. Così la macchina da presa della regista, scrittrice e sceneggiatrice, Amanda Sthers, è la penna d’oca nelle mani di Proust, o in quelle più scarne di Italo Calvino. Sullo sfondo si legge in controluce il movimento frenetico di un infaticabile pennino, che vibra sulla pergamena logora del non detto e del non-vissuto. Un riferimento nemmeno tanto velato al mito delle Sliding Doors che, scorrendo sui loro binari immaginari, sovrappongono presente e passato nel futuro di uomo tormentato, aprendosi contemporaneamente su più finestre dello spazio-tempo come un fantastico caleidoscopio.

Come Se una notte d'inverno un viaggiatore il libro cambia a ogni scambio di binario: ed ecco un uomo immobile al centro della strada sotto una pioggia battente, incantato da una visione che lo perseguiterà come un demone nell’inverno solitario della sua vita, per aver solo e soltanto una volta girato l’angolo nel punto sbagliato. Promises (tratto dall’omonimo romanzo Les promesses della stessa Sthers e in uscita nelle sale italiane dal 18 novembre), con Pierfrancesco Savino e Kelly Reilly, è un film intenso, concepito come un quadro ipercubista, in cui tutti i tempi del verbo essere, dal passato remoto, al futuro anteriore sono coniugati all’interno di un’unica vita, quella di Alexander, raffinato bibliografo con un nonno troppo ricco (Jean Reno), in buona salute e quasi immortale che sta sullo sfondo della sua esistenza come la figura terribile e incombente della statua del Commendatore nel Don Giovanni mozartiano.

Ma, il più ricco di sorprese è Thanatos, che cadenza con i suoi lutti prima l’infanzia di Alexander, con un padre che annega, poi ne tormenta l’adolescenza con un’incantevole fidanzatina che si suicida e, infine, ne sprofonda l’età senile con la morte per il morso di un feroce coccodrillo (il tumore) di Laura, la donna amata disperatamente per tutta vita e mai avuta. Nel frammezzo di tanta tragedia, Eros insegue in eterno affanno il protagonista, consolandolo con le partite della squadra del cuore e della nazionale inglese, vinte e perdute, ma sempre vissute nella spensieratezza delle solenni ubriacature con i due inseparabili amici di sempre, sempre gli stessi per sessanta anni, nell’infanzia come nella vecchiaia. Eros, che agisce sempre con deplorevole ritardo, schiavo di un tempo perennemente asincronico, si comporta come farebbe un calzolaio maldestro con delle scarpe troppe volte risuolate, perché lo spago impregnato di grasso possa entrare senza far danni nella pelle logora di un’esistenza infelice, destinata a scoprire che anche una bellissima e giovane madre vedova è dotata di sesso.

Poi c’è l’erotismo della danza che passa dal twist ai ritmi infernali delle feste private, consumate in discoteca o nelle ville di conoscenti facoltosi, con tante belle donne e gli amici che fanno la ruota come code di pavoni. Una moglie bella e una figlia deliziosa che l’incantesimo dell’amor fuggito scioglie e slega. E la stessa cosa farà con la seconda replica, di un bellissimo colore ambra rivestito dei profumi intensi d’Africa. Perché Eros è, in fondo, talvolta più perfido di Hermès: scaglia direttamente nel futuro la freccia d’amore scoccata dal messaggero alato, cosicché non raggiunga mai l’amata nel presente, nemmeno quando i rintocchi della cerimonia funebre si faranno sempre più vicini, insistenti negli occhi coniugati ma per sempre divisi dei due mancati amanti.

È possibile ridare le carte Post mortem per giocare tutte le mani mancate sul tavolo della vita? Si può strappare il passato allungando le forbici dal futuro? Chi eravamo noi, prima di divenire noi stessi? Cosa ci porteremo dietro Dopo? Perché non bastano i figli che abbiamo avuto, le donne che abbiamo amato di fronte a quell’unico amore che non abbiamo colto per tempo? E quante vite, in fondo, bisognerebbe poter vivere per non incorrere nello stesso errore? Perché, poi, Eros è davvero il mastro Ciliegia delle bolle di sapone: anche quelle che ci appaiono gigantesche seguono il loro inesorabile destino e appassiscono in un solo istante, condensandosi in una stilla d’acqua. Come accade a una fonte che ritenevamo inesauribile e che, all’improvviso, troviamo prosciugata, per colpe quasi sempre anche, se non soltanto nostre. Allora vale la pena immergere le gambe in un simulacro di quel liquido amniotico defluito via alla nascita, che sia un tratto di mare a pochi metri dalla costa, o un’acqua profonda di cui non si vede la luce in superficie, oppure il bacino artificiale di una piscina.

Come in quadro astratto, sopra di noi solo liquido, ovvero un cielo al morire del tramonto o, in alternativa, il tetto di cristallo di una vasca olimpionica. Il tutto vissuto come la riedizione di un battesimo senza rinascita, anche quando l’amico di più di mezzo secolo ti incontra in un giardino di un verde fiabesco e lussureggiante, dicendoti che la strada è quella che abbiamo percorso e non ce ne poteva essere un’altra. L’Amore al termine della vita è quello che si è già vissuto e non quello, l’unico che si è sempre desiderato, ma che è rimasto irraggiungibile, per disgrazia o per fortuna. Chissà?

(*) Nella foto in alto, sono ritratti Pierfrancesco Savino e Amanda Sthers sul red carpet della Festa del cinema di Roma 2021.

(**) Nella foto in basso, una scena del film in cui sono ritratti Pierfrancesco Savino e Kelly Reilly

Aggiornato il 13 novembre 2021 alle ore 11:40