Lo sapevano bene i nostri avi, che in quelle muliebri ed erotiche sembianze, sin dalla più remota antichità hanno identificato le loro passioni più tormentate e i loro timori ancestrali, ma anche il loro ardente desiderio. Dai lunghi capelli rossi come il fuoco è infatti la prima, mitica, moglie di Adamo. Quella Lilith che il Genesi chiama con altri nomi e che secondo la Qabbalah pur di non soggiacere al proprio sposo, essendo ella creata dalla stessa terra di lui, sceglie di lasciare l’Eden e mutarsi in demone notturno, a sua volta generatrice di una stirpe di creature oscure, i Lilìm. Lilith che in Mesopotamia sarà venerata e temuta come la prima vampira continuerà a muoversi nelle notti dei secoli a venire, succube ed incubo al tempo stesso, musa oscura di artisti e di poeti. Ancora presso i greci ed i romani, si crederà che le lamie ed i vampiri avessero i capelli rossi. È fatto noto dalle cronache egizie che il faraone Ramses fosse di pelo rosso e il dio Seth, l’assassino di Osiride, veniva raffigurato con capelli e occhi rossi, così come il biblico Esaù e soprattutto il misterioso figlio d’Adamo ed Eva, Caino, il primo omicida. Lo stesso nome “Adam” significa “Il rosso”. E se Re Davide danzava davanti all’arca dell’alleanza scuotendo al vento la sua chioma rubizza, secondo alcuni studiosi non solo Achille ma anche Ulisse avrebbe avuto lo stesso colore di capelli tendente al fulvo. Infatti, il suo nome Odisseo deriverebbe dal verbo odýssomai, ovvero “essere irato” dal momento che un’altra delle caratteristiche tipiche di coloro che avevano i capelli ramati sarebbe stata quella d’esser facilmente prede della furia.
Durante l’impero romano, nell’Urbe, saranno le prostitute ad aver spesso i capelli rossi, tanto che per questo fu tra loro molto frequente l’appellativo di “rufa” ovvero di “rossa”, quello stesso fulvo attribuito alla misteriosa seguace del Cristo, a Miriam di Magdala e all’esecrando Giuda l’Iscariota. Lo stesso Gesù verrà spesso rappresentato di rame crinito, mentre lo storico latino Cassio Dione, ci racconta nelle sue cronache della conquista in Britannia, di come la regina guerriera Baudicca possedesse una “gran massa di capelli rossi lunghi sino ai fianchi”. E sempre nelle isole d’Albione ritroveremo a lungo la credenza che coloro che fossero dotati di rosse chiome, avessero poteri straordinari o fossero comunque legati alle creature del Mondo Intermedio, al Regno di Faerie, agli Elfi e alle Fate. In Irlanda, rosso di pelo e di barba è il folletto per eccellenza, il ciabattino ricchissimo e sghembo chiamato Leprecauno. Ma dai capelli biondo rossi sono anche molti dei Tuatha de Danaan, sia maschi sia femmine e Rosso era definito il tonante Thor, il dio del tuono e delle tempeste degli Asi. Erik il Rosso, condottiero e navigatore norreno, venne chiamato così sempre per il suo colore di capelli. Lucrezia Borgia nel XV secolo e La regina Elisabetta I d’Inghilterra sul finire di quello successivo avevano entrambe i capelli rossi, e durante l’era elisabettiana, in Inghilterra, i capelli di tale colore divennero di gran moda presso il mondo femminile.
Tralasciando volutamente qualsiasi indagine scientifica e dunque biologica e genetica sul rutilismo – come viene tecnicamente definito l’avere i capelli rossi – desidero invece soffermarmi sull’aspetto simbolico di questo, soprattutto nell’arte occidentale, dove le fulve chiome assurgono ad elemento igneo, oltre che erotico, di non trascurabile importanza. Per gli alchimisti rinascimentali il rosso era il colore dello zolfo e la Rubedo, lo stadio finale della Grande Opera, il complesso processo di trasmutazione del piombo in oro o dell’ottenimento della Pietra filosofale che avveniva sotto l’azione dell’elemento Fuoco, ovvero dello Spirito, era simboleggiata spesso dalla Fenice o dalla Salamandra. La Rubedo rappresentava inoltre il ricongiungimento degli opposti, la chiusura del cerchio, l’unione di Spirito e Materia, di maschile e femminile, del Sole e della Luna. Così tale stato si lega ai capelli rossi che trascendendo la mera sessualità e sensualità transumanando verso la passione dell’anima e nel Fuoco superiore dello Spirito. Fu Jonathan Swift nel suo I viaggi di Gulliver a scrivere che “Si è osservato che le persone coi capelli rossi di entrambi i sessi siano più libidinosi e voluttuosi degli altri, ove eccedono in resistenza ed attività” mentre più curiosa e commendevole di interesse arcano, è quella frase di Mark Twain che così dice: “…mentre il resto della specie umana si sviluppò dalle scimmie, i rossi di capelli si svilupparono dai gatti. O li ami o li odi, ma sono unici. A volte li desideriamo, a volte ne abbiamo paura, queste creature incomprese sono speciali”. Coloro che hanno i capelli rossi dunque non apparterrebbero alla specie umana bensì a quella felina… con buona pace di Charles Darwin.
Una curiosità sempre legata al rutilismo, è che in Italia il cognome più diffuso sarebbe Rossi (ovviamente derivante dal colore dei capelli) seguito a ruota – secondo altri studi più recenti invece da quest’ultimo superato – da Russo, che altro non sarebbe se non la variante meridionale di “rosso”. Si dice che i rossi abbiano sentore di “Cannella e terra bagnata dopo la pioggia”, forse quindi profumano di spezie, arancia e cinnamomo, mentre esse per il compianto storico dell’arte Federico Zeri rappresentavano “un inno alla bellezza”. Ma giungiamo alfine all’arte e soprattutto alla pittura, in quanto molti furono i pittori che lungo i secoli hanno mostrato la loro predilezione per le donne dai capelli rossi in ogni loro gradazione.
Se vogliamo cominciare da Tiziano Vecellio, non possiamo dimenticare che egli fu preceduto da Sandro Botticelli, ma anche da Albrecht Dürer, da Jacopo del Sellaio, da Giovanni Bellini e da Agnolo di Cosimo e persino da Michelangelo Buonarroti per tacere di Jan van Eyck e dei suoi angeli cantori presenti nella grande pala del Trittico di Gand, L’Agnello Mistico. Michelangelo Merisi, meglio noto come Caravaggio, non si sottrarrà a questa passione che secoli dopo rinascerà prepotente nell’Ottocento con le opere di Tolouse Lautrec, e poi nel Novecento con Gustav Klimt e Amedeo Modigliani. Ma l’apoteosi della bellezza femminile in senso assoluto, mistico e sovrannaturale, sarà nell’Età Vittoriana, in Inghilterra, ad opera di quella particolare e una formazione artistica che venne chiamata e conosciuta come Confraternita dei Preraffaellliti. Tra le modelle, muse, amanti, sorelle e mogli di questa unica e singolare adunanza artistica, furono molte quelle sfoggianti una straordinaria capigliatura dai colori rosso dorati o ramati, ma tra tutte loro emerse per rutilante bellezza e passionale splendore Elizabeth Siddall. La sua chioma di lucenti capelli rossi come la fiamma, fece invaghire la gran parte dei pittori preraffaelliti, ma tra tutti fu Dante Gabriel Rossetti a legare a sé Elizabeth oltre la vita. Di umili origini, con scarsi studi, Lizzie– come veniva comunemente chiamata – era nata a Londra nel 1829 in una famiglia piccolo borghese, ma nutriva in sé forti velleità artistiche, sia come pittrice sia nel campo della poesia.
Dante Gabriel Rossetti, geniale e giovane pittore figlio d’un esule italiano, rimase subito affascinato da questa ragazza così lontana dai canoni di bellezza della sua epoca. Lizzie era alta, sottile e dai grandi occhi di giada grigia. Portava con elegante naturalezza una fluente chioma color del rame insieme con una sua dolce malinconia, insomma era la perfetta incarnazione dell’ideale estetico preraffaellita. La Confraternita, fondata da Rossetti, era composta da sette giovani amici e artisti che frantumarono culturalmente la pittura accademica dell’Ottocento vittoriano per riscoprire, ispirandosi ad esso, il Medio Evo ed il primo Rinascimento. Scelsero come soggetti per le loro opere spesso figure femminili tratte dalle opere dell’Alighieri o di William Shakespeare, presentandole sempre immerse in un’atmosfera sognante, incantata ed erotica al tempo stesso. Subito la giovane Elizabeth divenne la modella più amata, venerata e ricercata dagli artisti della Confraternita, che a lei si rivolgevano come se fosse una creatura sovrannaturale, portatrice di un’incantevole bellezza.
John Everett Millais nel1852, la ritrasse nei panni di Ofelia dalla tragedia dell’Amleto. Per riprodurre con realismo la morte per annegamento della fanciulla, Lizzie fu costretta a stare lungamente immersa in una vasca d’acqua, riscaldata soltanto da numerose candele. A causa di questo la giovane contrarrà una grave bronchite cronica che la minerà fisicamente per il resto della sua breve vita, perché da allora in poi non avrà mai più serenità alcuna. Anche la straziante, struggente e fortissima passione amorosa che la legherà a Dante Gabriel sarà per lei soprattutto dolore e sofferenza. Innamoratasi perdutamente dell’artista nel 1852, conosciuto in casa di amici, follemente ricambiata da questo pittore dotato di uno straordinario carisma, letteralmente stregato dalla eterea, rarefatta bellezza, dai suoi capelli come fiamme ardenti. Lizzie ne divenne subito l’amante oltre che la musa ispiratrice, in un rapporto passionale ed esclusivo tanto che lei prese a posare soltanto per lui, che cominciò a ritrarla in maniera ossessiva e forsennata in moltissimi suoi dipinti oltre che in un numero incalcolabile di bozzetti e di disegni.
Lei, dal proprio canto, ne divenne anche discepola e sebbene affetta da violente emicranie, perseguì con discreto successo le vie della pittura e della poesia. Tuttavia la salute di Elizabeth peggiorava divenendo sempre più cagionevole, frequenti erano le crisi depressive, a tal punto che i forti dolori e la sua fragilità psicologica la spinsero ad abusare del laudano. Rossetti, che la vedeva indebolirsi sempre più, si fece alfine convincere dall’amico Ruskin a sposarla. Il matrimonio venne infine celebrato nel 1860 e Lizzie sembrò riprendersi tanto bene da restare incinta. Purtroppo la bambina che ella darà alla luce nascerà morta. Il dolore sarà straziante e così intollerabile per la giovane donna che ella cadrà in una tristezza catatonica. Per cercare di farla riprendere, venne condotta a trascorrere un periodo di riposo nella lussuosa dimora di William Morris, un altro della Confraternita che operava a fianco di Edward Burne Jones, nella Red House, una villa creata nello stile tipico preraffaellita, immersa in un giardino dai grandi alberi di tiglio, colmo di fiori odorosi. Il cambiamento d’ambiente sembrò giovare ad Elizabeth, che in quell’atmosfera fiabesca lentamente cominciò a riprendersi trascorrendo però gran parte del proprio tempo a riflettere sull’epigrafe che Morris aveva fatto incidere sull’architrave del grande camino: “Ars longa, Vita brevis”. Terminata però quell’estate incantata, Lizzie dovette far ritorno a Londra dove ricadde nella depressione catatonica, restando quasi sempre a letto tranne quando Dante Gabriel la doveva ritrarre. In attesa di un nuovo figlio, nel 1862, la donna è ormai divenuta dipendente dall’estratto di oppio. Una sera di febbraio, Dante Gabriel la rinvenne distesa nel suo letto in preda a un profondo ed innaturale sonno, evidentemente dovuto all’eccesiva dose di laudano assunta, testimoniata dalla boccetta vuota e dalla lettera d’addio appuntata sul vestito. Da parte del medico legale venne dichiarata la morte accidentale a causa appunto d’una overdose della sostanza usata come analgesico e non come suicidio, cosa che altrimenti avrebbe gettato il discredito sull’intera famiglia. Elizabeth aveva soltanto trentadue anni.
Durante la veglia funebre, prima che il feretro venisse chiuso, Rossetti depose tra quei morbidi capelli di rame ardente, l’unica copia del suo manoscritto contenente tutti i versi d’amore che le aveva dedicato. Negli anni che giungeranno, il poeta e pittore dalla vita inquieta e tormentata, non riuscirà a trovar pace, sostenendo di vedere ogni notte lo spettro della defunta moglie e, ossessionato dalle presenze sovrannaturali, cominciò a fare abbondante uso d’Idrato di cloralio. In quel periodo tuttavia, Dante Gabriel Rossetti riprese a dipingere il suo defunto amore utilizzando i numerosi bozzetti ancora in suo possesso sino a quando, al culmine della propria ossessione, spintovi anche dall’amico poeta Algernon Charles Swinburne, volle far riesumare il corpo per recuperare le poesie sepolte con Elizabeth. Tutta l’operazione avvenne in una notte illune d’ottobre e in gran segreto, soltanto alla luce di alcune lanterne.
All’apertura della bara, attonito, il pittore vide il corpo dell’amata ancora intatto e bellissimo e i suoi capelli, cresciuti a dismisura, colmavano l’intera cassa, fiammeggiando in quella flebile luce. Questa visione turbò profondamente e a tal punto Dante Gabriel Rossetti, che egli si convinse di trovarsi dinanzi al caso sovrannaturale di una morta vivente e lo accompagnerà per tutto il resto della sua vita, sin quando anch’egli si ricongiungerà con la sua Elizabeth, minato nel fisico dall’eccessivo consumo di droghe e di alcol. Dante Gabriel Rossetti morirà nell’aprile del 1882. Ancora oggi si dice che Elizabeth, dai capelli rossi come fiamme, lunghi come un mantello splendente, si aggiri come un vampiro tra le lapidi del cimitero di Highgate. Il rosso, anche nel colore delle chiome, da sempre è dunque simbolo d’amore sovrumano, di passione assoluta e di un vitalità che trascenda il naturale nonché della sensualità erotica che accompagna tutto questo. Simbolo d’un fuoco animico, d’azione e di volontà senza freni, i capelli rossi sono l’aura fiammeggiante dell’anima stessa di coloro che li possiedono, come un manto di porpora naturale, come un nimbo di fiamma eterna nel quale risplendere per sempre.
(*) Tratto da paginefilosofali.it
Aggiornato il 06 ottobre 2021 alle ore 12:24