Adam Smith e l’industrializzazione capitalistica

Dal diciottesimo secolo avviene una rivoluzione in tutti i campi sociali, e sebbene le rivoluzioni politiche appaiono più rumorose e visibili, in realtà la rivoluzione economica non lo è da meno, tutt’altro; del resto vi è connessione tra le rivoluzioni in campi distinti. Occorre premettere che esiste una diversità degli strumenti dalle macchine. Prima del Settecento si adoperavano strumenti non macchine. Gli strumenti sono usati dalla mano e dalla forza dell’uomo oltre che dalla mente, le macchine hanno impulso dall’uomo ma detengono una loro capacità operativa e moltiplicano potentemente l’efficacia dei risultati.

Adam Smith

Come altri economisti del tempo; e anche sociologi; Adam Smith è scozzese. Di certo l’essere parte della Gran Bretagna, con l’Inghilterra avanzata rispetto ad ogni altro paese, favorì la capacità analitica degli scozzesi; i quali compresero in modo assoluto che entravamo in una nuova Era, l’Era dei commerci e dell’ industrializzazione. Smith fu docente di morale, la morale studia il bene, l’utile ma anche le disposizioni umane, simpatia, odio. Smith scrisse a riguardo Teoria dei sentimenti morali, 1759, ma l’opera che lo definisce eternamente e lo rende il teorizzatore essenziale del capitalismo o dell’industrializzazione capitalistica fu Ricerche sopra la natura e la causa della ricchezza delle nazioni, 1776. Vengono precisati e percepiti gli aspetti del capitalismo immettendoli in una filosofia morale che da quel momento rivaleggerà con la morale cristiana. È opportuno chiarire per prima tale caratteristica delle concezioni di Smith, perché fu e rimane il fondamento della mentalità capitalista, la giustificazione etica oltre che economica.

Partiamo dall’antichità. Già Aristotele aveva opposto a Platone di non negare la proprietà privata, la quale era preferibile alla proprietà collettiva, in quanto, affermava Aristotele, il proprietario aveva maggior interesse a occuparsi del suo. Nel Cristianesimo, in linea di massima, la proprietà è svalutata, arricchisce il proprietario e non fornisce beneficio agli altri, il “prossimo”; è, quindi, giudicata peccaminosa. Smith, invece, determina una concezione che rappresenta, ancora oggi, la spina dorsale del Capitalismo. In Smith non c’è contrapposizione del vantaggio personale rispetto al vantaggio sociale: colui il quale lavora, inventa, per il proprio utile inevitabilmente suscita attività che diventano benefiche per gli altri anche se colui che si indaffara ha in mente esclusivamente l’utile proprio. Per essere espliciti: un individuo investe i capitali per utilizzare un brevetto ed arricchirsi, ma nell’agire in questo modo crea occupazione, fornisce salario, giova agli altri anche se il suo scopo è quella di arricchirsi. È questo, per Smith, il grandissimo pregio dell’iniziativa privata, dell’imprenditorialità. Mancando lo stimolo al proprio bene, nessuno agisce. Il capitalismo ,nel suo presupposto psicologico, morale, economico si erge appunto su tale certezza: chi fa il proprio bene fa il bene degli altri. La ragione di questo convincimento lo ribadiamo: se un individuo ha interesse a fare il proprio bene diventa operoso, ha iniziativa, quindi mette in movimento una impresa che necessariamente coinvolge gli altri. Insomma: fa impresa in quanto è intraprendente. Ma facendo impresa deve assumere operai, collaboratori, deve ricevere e fornire merci. Non c’è miglior fondamento al bene sociale di quello che passa per il bene personale. Se non vi è un interesse personale, l’uomo non si muove. Accusare pertanto l’individuo che intende ricavare vantaggio dal suo operare di “egoismo” è, per Smith, dissennato, tutt’altro, è chi vuole il proprio utile che, se pure involontariamente, provoca l’utile altrui. Questa la radice psicologica, etica, economica del capitalismo. Ne conseguono una molteplicità di elementi che costituiscono la mentalità capitalistica.

Innanzi tutto l’imprenditorialità personale, quindi l’esclusione totale dello Stato dall’economia, in quanto mancherebbe lo scopo dell’utile personale, non soltanto, il proprietario, l’imprenditore ha migliore conoscenza della sua impresa; la concorrenza, che stabilisce una gara, un confronto e fa vincere il più valente, secondo Smith, pertanto il mercato deve essere libero, con molti soggetti in gara, e deve essere aperto, persino mondiale, così ciascun soggetto può acquistare ovunque e al prezzo conveniente, il che non avverrebbe se esistessero monopoli e chiusure di mercato; chi investe e rischia il capitale deve ottenere una ricompensa (profitto) rispetto al capitale impiegato come premio dell’avere rischiato, appunto, il capitale... Importantissime sono le considerazioni di Smith sul nuovo modo di lavorare con le macchine. Prima dell’avvento delle macchine l’economia era artigianale, un individuo faceva tutta quanta l’attività per compiere un prodotto. Con l’avvento delle macchine un prodotto viene suddiviso in tante operazioni e chi lavora fa una sola operazione per l’intera giornata (la cosi detta “parcellarizzazione”). Indubbiamente questa forma produttiva rendeva assai veloce la produzione, le macchine e la suddivisione (parcellarizzazione) del lavoro fecero aumentare la produzione grandiosamente, e furono necessari mercati vasti, il che determinò la fine totale dell’economia locale, chiusa, “feudale”. Questo il movente della rivoluzione antiaristocratica, e della dominazione borghese, e lo svincolo dei lavoratori dalla strettoie territoriali, essi potevano spostarsi e diventavano salariati a bassissimo costo permettendo al capitalista di guadagnare in maniera esorbitante, reinvestire, ampliarsi, creare nuova occupazione, come teorizzava Smith.

La classe borghese era quella che possedeva il capitale (macchine, edifici, denaro investito) e suscitava la fabbrica; il proletariato era costituito da quanti possedevano soltanto la forza delle loro braccia (forza lavoro) ed ottenevano un salario (paga) appena sufficiente per sopravvivere e riprodursi (fare la prole, proletario). In Smith non è prevista una condizione migliore per il proletariato. Che un individuo non faccia altro che ripetere un atto (pacellarizzazione) fino a rincretinire non veniva mal giudicato, anzi preferibile che i lavoratori stessero nell’ignoranza, sempre per Smith. Il capitalista aveva diritto, come accennato, ad ottenere un profitto dal suo capitale, ed ovviamente doveva contenere i salari per non spendere troppo e perdere nella concorrenza, se avesse dato salari maggiori degli altri. A parte gli aristocratici, furono gli artigiani a scatenare guerra alla borghesia e all’introduzione delle macchine. Gli artigiani possedevano ed utilizzavano strumenti non macchine e il loro prodotto veniva fatto interamente da una persona, in linea generale, comunque nel lavoro artigianale non esisteva la divisione dei compimenti lavorativi come nel prodotto industriale, la parcellarizzazione di cui si è detto. Quando cominciarono ad introdursi le macchine, il prodotto artigianale non resse la concorrenza con il prodotto industriale. Si che i lavoratori artigianali risultarono disoccupati. Inizia quel fenomeno che sarà devastante, in bene ed in male, nelle vicende del capitalismo, ad ogni immissione tecnologica nuova coloro che lavoravano con tecnologie superate perdono lavoro, e ci vorrà del tempo perché vi sia, se vi sarà, occupazione con le nuove tecnologie. Per dire, se le ferrovie sostituiscono i cavalli , gli allevatori, gli addetti ai cavalli sono sul lastrico. Si che coloro che vennero danneggiati dalla introduzione delle macchine ritennero necessario distruggere le macchine. Questo avvenne in Inghilterra, ed il fenomeno fu chiamato “luddismo”, prendendo nome da Ned Ludd.

Ma non era concepibile distruggere le macchine. Le invenzioni tecnologiche che superano per convenienza le precedenti tecnologie si affermano necessariamente, in breve tempo la rivolta luddista fu perdente, anche perché le macchine fecero crescere estremamente la produttività e la produzione, e nacque un fenomeno che noi conosciamo: il consumo, il consumismo. Le macchine permisero una produzione gigantesca rispetto al passato, inoltre alle macchine vanno aggiunte le energie, il calore, il carbone, successivamente il petrolio, l’elettricità, non solo, anche i mezzi di trasporto. Questo insieme rivoluzionò i sistemi produttivi. La ristretta economia locale venne sgominata, si passò a economie nazionali ed internazionali, i lavoratori non furono più confinati in territori limitati ed in corporazioni, come detto, e i loro spostamenti fornivano enorme mano d’opera a basso costo. L’allevamento delle pecore dava lana che tessuta, specie in Inghilterra, potenziò l’industria tessile avvantaggiata da ritrovati tecnologici, la spoletta meccanica, la Mula Jenny. La navigazione a vapore, la colonizzazione che importava materie prime, tutto questo, specialmente in Inghilterra, dicevo, impresse, ripetiamo, una poderosissima espansione industriale, occupazione, salari, consumi. Il fenomeno si manifestava negli Stati Uniti in misura grandiosa, dopo la guerra di Indipendenza e la iniziale unione di alcuni Stati, in Francia, in Germania. L’industrializzazione ed il capitalismo e l’affermazione della Borghesia diventavano mondiali, le frontiere interne si spezzavamo, si formavano stati nazionali, si incrementava il commercio internazionale, avveniva un nuovo colonialismo per ottenere materie prime (cotone, metalli preziosi). Anche l’agricoltura riceve le macchine. Le città si espandono. Si forma la classe operaia. Ne parleremo.

Nella visione di Smith tutto è positivo. Il vantaggio personale stabilisce il vantaggio anche degli altri, come se una mano invisibile, dice Smith, agisse in modo da combinare i vicendevoli scopi, lo stesso per la concorrenza che fa prevalere il migliore e assicura beneficio al consumatore, lo stesso l’iniziativa privata che garantisce l’oculata operatività del proprietario, anche i salari misurati giovano al profitto e al reinvestimento, perfino il lavoro monotono e ripetuto e la scarsa conoscenza degli operai permettono di avere lavoratori semidioti, obbedienti. Insomma, tutto va bene, per Smith, nel sistema delle macchine e della divisione del lavoro. Questa concezione, che tutto va bene e gli inciampi, i difetti, le negatività vengono scavalcate o servono al bene o non esistono, dominò quel momento storico. Da Goethe a Hegel, da Leibnitz a Manzoni, in vari modi, ci fu la convinzione che il male è a fin di bene, o non esiste, o viene superato dal bene. Soltanto Leopardi e Schopenhauer, contraddissero questa convinzione.

Di certo il cambiamento causato dal capitalismo e dell’industrializzazione fu estremo. Ne vedremo la complessità discutendo di Karl Marx e di altri pensatori. Gli effetti furono così grandiosi che taluni, Saint-Simon, Comte, pervennero alla formulazione di una estinzione della guerra e della casta militare oltre che dei sacerdoti e l’avvento di nuovi reggitori della Società, gli scienziati, gli imprenditori. L’idea che con i commerci mondiali non vi sarebbero state più guerre l’aveva dichiarate anche Adam Smith. Al dunque, l’industrializzazione capitalistica veniva ritenuta inizio di un’epoca di pace, di commerci mondiali, di vantaggi sociali mediante il vantaggio personale o con forme associative. Quanto di illusionistico e di realistico vi fosse in queste formulazioni lo si vedrà nel corso del tempo. Ma è indiscutibile che la scienza, la tecnologia, la razionalizzazione del lavoro reso più produttivo hanno moltiplicato la conoscenza, i commerci, la quantità di merci, e nella medicina, nei trasporti, nella chimica, nella indagine fisica abbiamo in qualche secolo superato millenni passati. Restano però campi nei quali il vantaggio sociale è inesistente o perfino peggiora il passato. Si che si pone il drammatico interrogativo: vale ancora la concezione di Adam Smith che il vantaggio personale è la propulsione che indirettamente, involontariamente provoca il vantaggio sociale? E inoltre: che è, chi è oggi la Borghesia, è la classe che onestamente intraprende o ha cambiato aspetto?

Aggiornato il 24 settembre 2021 alle ore 11:44