Don Chisciotte

Sarebbe ingiusto ritenere la cavalleria ed i tempi cavallereschi ridicoli e fare di Don Chisciotte soltanto un folle che rimpiange epoche assurde. La maestà del romanzo che vaglieremo sta nel contrario, quei meravigliosi tempi sono esistiti, e non esistono più. Che siano esistiti al modo così nobile come vengono narrati nella figura di Don Chisciotte non è rilevante, oltretutto impossibile mostrarlo, ma Don Chisciotte li riteneva quali egli concepiva nel volerne essere parte. Intende riviverne le gesta e gli ideali. In ciò non è pazzo, la sua follia è un’altra, che li vuole vivere in un’epoca non più cavalleresca. E il romanzo si innalza oltre se stesso, è il romanzo di un cavaliere che intende vivere da cavaliere in un’epoca non cavalleresca e ha di fronte villani, donne allegre, mercanti che egli trasfigura pur di mantenere la convinzione che tutto intorno a lui è cavalleresco, ma è anche il romanzo di ogni individuo che deve affrontare il terraterra mentre sogna una realtà superiore. Don Chiscotte è ridicolo anche perchè gli altri sono persone da poco. Egli vede cavalieri, nobile, dame, giganti che invece sono sciagurati i quali si barcamenano di scialba realtà e non guardano oltre. Si che il ridicolo di Don Chiosciotte viene anche dallo scontro della superiorità con la bassezza, e quest’ultima vince il più della volte perchè usa modi spicci e violenza.

Il Romanzo

Ad Alonzo Chisciano la realtà comune non basta, esige che sia elevata da un ideale, vuole vivere eroicamente, mantenendo qualcosa che la mente fermi in se stessa impedendo di scadere nella realtà reale, all’opposto, inventa una realtà mutata secondo gli ideali. Il dramma di Don Chisciotte è che la realtà ideale è nella sua mente, la realtà reale fuori di lui, ma egli non è capace di trasformare secondo i disegni della sua mente la realtà esterna. Perchè? Perchè la cavalleria è finita, come accennato. Egli non è un idealista incapace, egli vive un’epoca che non è la sua. E diventa donchisciottesco sopratutto per tale disarmonia tra la sua mente e la realtà. Fosse un’incapace sarebbe soltanto ridicolo.

Miguel Cervantes de Saavedra fu alla battaglia di Lepanto, tornando, sostò a Messina, al seguito di Giovanni D’Austria, ferito, ebbe accoglienza all’Ospedale Maggiore di Messina, appunto, ed in quella città concepi ed inizio a scrivere il Don Chisciotte fingendo di aver trovato un manoscritto di Cidi Amede Benengeli, moresco. Il romanzo è insiene romanzo cavalleresco e romanzo picaresco, il romanzo picaresco era intarsiato di storie popolari vivacissime, avventurose, mentre il romanzo cavallesco aveva soprattutto personaggi nobili. Il Don Chisciotte ha due parti. Cervantes ne aveva scritta soltanto una, la seconda parte venne dalla reazione di Cervantes alla prosecuzione del testo da parte di un autore estraneo. Il romanzo aveva ricevuto un’accoglienza fantastica, riassumeva la civiltà spagnola. Ma la seconda parte ebbe una conclusione mirabile, come diremo, e sarebbe stata un’amputazione all’arte mondiale se quel finale non fosse stato scritto.

Ciascuno vive obbligato ad una scelta, se ne ha coscienza: che fare della propria vita. Alonzo Chisciano, abbiamo accennato, prima di proclamarsi Don Chisciotte, legge e legge romanzi di cavalieri e dame elette, amori, avventure, duelli, il tutto sospeso nell’eroismo, la devozione, l’onore. È un nobilotto, ha qualche possesso che gli consente di non lavorare, non ha consorte, non figli, una nipote, solerte e premurosa, una governante, qualche amico sincero e soprattutto libri. Raduna nella sua casa tutti i cavalieri e le nobili dame che tutti gli scrittori di cavalieri e dame hanno raccontato ed egli vi si immedesima da concepirsi con loro invece che nella sua casa o facendo della sua casa l’abitazione di quei fantasmi. Ad un certo grado di temperie mentale, i libri gli diventano realtà, si che messe in lustro le armi di suoi antenati, preso il ronzino che chiamerà Ronzinante per collocarlo innanzi agli altri ronzini, nerboruto, magro, sui cinquantanni, parte furtivo da casa, si fa cavaliere errante e destinato a essere Imperatore di Trebisonda ma soprattutto colui che stabilirà giustizia e tutela degli ultimi. Esce furtivo di casa ma è necessaria l’investitura. Un oste scambiato per castellano, donne allegre prese per donzelle, è nominato da costoro, che se la ridono, Cavaliere. Veglia la notte, e inizia la “missione”.

Libera un ragazzo legato, è la sua prima risultanza, quindi, incontrando mercanti, che Don Chisciotte prende per Cavalieri, impone che riconoscano Dulcinea del Toboso come la più eletta delle donne. Questa Dulcinea è Alonza Lorenzo una contadina di un paesi prossimo a Don Chiscotte, anche lei trasfigurata. È chiaro, niente di reale viene inteso da Don Chisciotte per quel che è. I mercanti considerati cavalieri invece di proclamare la eccellenza di Dulcinea maltrattano il Cavaliere, che torna a casa batostato. Per farlo guarire gli rovinano i libri, i quali, però, ormai stanno nella mente di Don Chisciotte. Infatti riparte, e stavolta, come si conviene ad un Cavaliere, cerca uno scudiero, Sancio Panza, un contadinone, pure lui trasfigurato. A Sancio è promesso un Govenatorato. Ed è con Sancio che Don Chisciotte affronterà i mulini a vento che egli considera giganti nemici, venendone mulinato, quindi incontra dei viaggiatori, si imbatte in greggi di pecore, ma tali li consideriamo noi che vediamo la realtà come realtà, Don Chisciotte che ha lo sguardo ulteriore vede eserciti, altri nemici e sono botte da orbi, al punto dall’avere denti spezzati, si che Don Chisciotte si proclama Cavaliere dalla Triste Figura. Libera dei galeotti. Infine si ritira perchè deve concentrare il suo pensiero a Dulcinea. Amici e parenti riescono a portarlo a casa.

Ma non ha requie Don Chisciotte, oltretutto un autore diverso da Cervantes, ne ha scritto, come accennato, un seguito, si che Cervantes si obbliga, e sente di farne, lui, una nuova parte. Torna in viaggio anzi tornano in viagglo, Lui e Sancio. Don Chiosciotte vuole, stavolta, la benedizione di Dulcinea, ma nel paesino dove abita Alonza, per Don Chisciotte, Dulcinea, non vi sono castelli. Inconcepibile. Una Dulcinea senza castelli! Sancio si reca nel paesino e cerca di far presentare delle contadine al Cavaliere Don Chisciotte fingendo che una di esse sia Dulcinea. Così avviene, ma Don Chisciotte vede soltanto contadine, chi è Dulcinea? Sancio astutamente si inginocchia ad una vantandola quale Dulcinea e pure Don Chisciotte si inginocchia. Le contadine se ne vanno e Don Chisciotte si dispera che gli incantatori lo perseguitano tanto da fargli perdere la gioia di poter vedere Dulcinea come Principessa del Toboso. Gli incanttatori sono personaggi illusori fondamentali nell’opera, sono essi che mutano la realtà in odio a Don Chisciotte, mutano la straordinaria realtà in realtà vile. Mentre è l’opposto, è Don Chisciotte che trasfigura in meravigliosa realtà la vile realtà.

 Viaggiando Don Chisciotte discute di arte con dei comici, divergendo nelle opinioni, combatte con il Cavaliere degli specchi, sconfiggendolo (costui è un baccelliere di Salamanca, Sansone Carrasco, che vuole riportarlo a casa), cerca di combattere con dei leoni, ma essi gli voltano la schiena, consentendogli però di nominarsi Cavaliere dei Leoni, è ospite di un Don Diego, presso il quale, disceso in una grotta, vede cose strabilianti, è ospite di un duca e una duchessa che si prendono gioco di Don Chisciotte e di Sancio, nominato Governatore, carica che Sancio rifiuta; infine si scontra di nuovo con Sansone Carrasco, stavolta nei panni di Cavaliere della Bianca Luna, il quale gli aveva chiesto l’impossibile: di proclamare la sua donna più bella di Dulcinea del Toboso. Il duello è assoluto. La condizione: chi è sconfitto obbedirà al vincitore, il quale è, nascosto, l’amico Sansone Carrasco, che, vincendo, impone a Don Chisciotte di tornare a casa.

Ritorno e morte di Don Chisciotte

Sta morendo, Don Chisciotte e rinsavisce, ma rinsavendo, muore. La vita vissuta senza un sogno da vivere è morire. Nel suo lettuccio, smagrito, febbroso, tra farneticazione e cognizione, ripensando viaggi, incontri, in cerca di un’esistenza nobile, cavalleresca, con persone nobili, cavalleresche, una vita nella quale fosse esclusa la disonestà, la volgarità, l’inganno e soprattutto gli scopi al basso e i non scopi di uomini che stanno al mondo ignorando perchè vi stanno e non si curano di una meta, buoni soltanto a osteggiare a peso morto chi vuole compiere sogni striminzito, pelle ossa e nulla più, la realtà desolata ha avuto la meglio, Don Chisciotte rinsavisce, torna Alonzo Chisciano, non sarà preso ancora dai racconti di coloro che l’ìnvasarono, non vivrà tra castelli, castellani e castellane, non sarà il cavaliere consacrato a Dulcinea, non diverrà Imperatore di Trebisonda,vivrà con la devota nipote, la governante, l’amico Sansone Carrasco. Ma no, questa non sarebbe, non è vita. E Alonzo Chisciano, muore. Sancio Panza, che ha sempre presentato se stesso come uomo privo di fantasticherie volendo riportare Don Chisciotte alla sensatezza, adesso disperatamente implora il rinsavito Don Chisciotte di restare nei sogni, e ancora immaginarsi Imperatore di Trebisonda e Sancio e la moglie Sancia governatori, e i mulini, giganti,e Alonza, Dulcinea. Sancio comprende che possiamo dare addosso a chi vaneggia ma se viviamo la realtà senza forzarla a qualche idealità l’esistenza è un passare quotidiano del tempo che ripete se stesso inerte.

Don Chisciotte e il donchisciottismo

Don Chisciotte è Don Chisciotte ma vi è in Lui o proviene da Lui il donchisciottismo. Don Chisciotte come Don Chisciotte è un nobile di nascita e di spirito, crede e sente aristocraticamente i comportamenti, è difensore dei deboli maltrattati, delle donne, di chiunque subisce ingiustizia, violenza, crede nella venerazione che l’uomo deve volgere alla donna amata, vuole eccellere, ammira l’arte Il donchisciottismo è manifestare energie a sproposito, per darsi vento e sembianza di eroe, o per cause errate pur di rendersi combattente Cervantes forgia un Don Chisciotte che è insieme Don Chisciotte e donchisciottesco Non perchè Don Chisciotte voglia far mostra di sé a sproposito per cause sbagliate e vane, ma perchè l’epoca non ha altri Don Chisciotte ed Egli si ostina a trovarli e quindi inventa, rende superiore la feccia. Don Chisciotte diventa donchisciottesco senza perdere la sua nobiltà e semplicità d’animo. Esiste, però, un donchisciottismo senza don Chisciotte, l’esibizionista della nobiltà d’animo, delle buone cause artificiali, per darsi scopi appariscenti, per vacua volontà di fare. Per incapacità attiva. Perchè Don Chisciotte ebbe e ha e avrà una sorte a tal grado monumentale? Oltre l’aspetto letterario, avventure, linguaggio variopinto, mastodontico, presenza del popolo e degli ambienti di quell’epoca spagnola, personaggi che le parole rendono persone, vi è in Don Chisciotte un tratto universalmente umano della condizione umana, il bisogno di una seconda realtà, di una realtà meno prosaica della realtà vera, di una realtà nella quale effettivamente vi sono castellani e castellane, cavalieri, anime nobili, se Don Chisciotte li avesse incontrati non vi sarebbe stato delirio, Don Chisciotte delira perchè ha bisogno di questa seconda realtà e tale realtà non c’è. Allora la concepisce sognandola. Egli non sa che sogna, e questo è uno stato di follia, ma il sogno è sogno di nobiltà e cavalleria e questo sarebbe un bel vivere.

La sconfitta di Don Chisciotte significa che l’uomo è inesorabilmente deluso perchè una nobile e cavalleresca realtà non esiste? O Don Chisciotte fallisce perchè non sa imporre alla realtà il suo sogno, vivere comunque nobilmente e cavallerescamente? Vi è una doppia realtà, il mondo è volgare e terraterra,e Don Chisciotte non riesce a elevarlo se non delirando, non lo trae ai suoi fini. Perchè? È non capace o un’epoca tramontata non può tornare? Quest’ultima è la condizione di Don Chisciotte, l’epoca cavalleresca non può tornare, esiste soltanto nella fantasia di Don Chisciotte. Ma come altre figure letterarie consistenti Don Chisciotte è un personaggio fuori epoca ed è anche l’uomo che sempre o spesso sogna una realtà che non esiste angariato dalla realtà esistente, e scorge la via di scampo nel sogno.         

Chi sa, è possibile, o non è né possibile né concepibile, un Don Chisciotte che sul punto di morire invece di considerarsi vaneggiante in passato non abbia nel suo intimo detto a se stesso: “Almeno ho sognato. La vita non distratta dal sogno è soltanto coscienza di morte!”. O non abbia invidiato il suo contemporaneo Don Giovanni che si distraeva con le avventure d’amore. Che Don Chisciotte muoia appena riconosce di aver fantasticato significaSignifica che priva di fantasie l’esistenza è coscienza del nudo morire. Certo, doveva, avrebbe dovuto ricostrire il mondo cavalleresco, rendere realtà il suo pensiero. Non ne aveva la forza o era impossibile. Gli restava sognare credendo realtà i sogni. Miguel Cervantes de Saavedra , spagnolo, visse dal 1547 al 1616, scrisse racconti e testi teatrali, ma resterà eterno per Le avventure del Cavaliere Don Chisciotte della Mancia.

Aggiornato il 21 settembre 2021 alle ore 11:06