Raffaella Carrà lives forever

Carrà in arte ha due principali incarnazioni: le pitture di Carlo Carrà, da un lato e dall’altro le coreografie, le canzoni, la musica e le eccezionali capacità di intrattenimento di Raffaella Carrà, scomparsa solo pochi giorni fa. Ed è di lei che occorrerà parlare, avendo accompagnato per tutta la vita le generazioni nate nel Secondo dopoguerra che, pertanto, hanno un obbligo di riconoscenza nei confronti della più grande e più nota showgirl italiana a livello internazionale.

Nel suo caso, è quanto mai opportuno farci guidare da un insospettabile Virgilio anglosassone, come il quotidiano inglese The Guardian che, nella sezione “musica” del novembre 2020, le dedicava un lungo reportage dal titolo: “Raffaella Carrà: the Italian pop star who taught Europe the joy of sex”. Raffaella è stata una grande artista pluridotata: ottima ballerina, cantante showgirl, mattatrice protagonista di innumerevoli show televisivi di lunga durata nel tempo, e che hanno esercitato un’influenza senza pari sulla musica italiana.

Osserva il The Guardian: “L’Italia ha avuto interpreti musicali di altissimo livello, come Mina (una sorta di virtuoso mezzo soprano); Milva detta La Rossa per il suo netto orientamento di sinistra, molto nota per le interpretazioni di Brecht e di Weill; Patty Pravo un soprano androgino; e Giuni Russo che ha sublimato nel pop la tecnica operistica, arrivando a toni fino a cinque ottave. La Carrà, però, le ha superate tutte!”.

Quando nel 1968 la cultura giovanile divenne politicamente impegnata e i suoi coetanei scendevano nelle piazze per protestare, la Carrà andava in America assistendo per trenta serate di fila alle repliche di Hair! Ritornata in Italia, pensò bene che il modello nazionale di intrattenimento avesse bisogno di una sferzata di energia. Di lei così scrisse nel 2008 Anna Maria Scalise: “La Carrà era un’autentica icona pop, amata persino dalle casalinghe: una artista che ha rivoluzionato i programmi dell’intrattenimento televisivo”.

Disse di se stessa la Carrà nel 1974: “Non prendo ispirazione da nessuno, per quanto mi riguarda: parlo ai bambini come agli adulti che amano il calcio, alle loro mogli, a tutte le famiglie italiane che guardano la Tv!”. Il suo posto preferito fu il varietà televisivo italiano, ispirato a quello di Broadway nella scelta delle canzoni e nelle coreografie di ballo. Divenne famosa nel 1970 come conduttrice accanto a Corrado nello show di Canzonissima, in cui fece direttamente convivere le sue canzoni originali con la danza e le altre trovate musicali. Si presentò sul palcoscenico mentre in corrispondenza dei titoli di apertura ballava, al ritmo di fanfara, Ma che musica maestro, indossando un discinto due pezzi con un crop corto che fece scalpore all’epoca, in quanto per la prima volta qualcuno osava esporre il proprio ombelico in tv! Il Vaticano e il management conservatore della Rai si mostrano scandalizzati e Maurizio Costanzo la dipinse all'epoca come “La regina del pressapochismo”.

L’anno seguente venne di nuovo scritturata, danzando in pose osé con il ballerino Enzo Paolo Turchi la famosa canzone a ritmo jazz del Tuca Tuca, in cui i danzatori si sfiorano in più parti del corpo man mano che la canzone va avanti. Per non turbare le famiglie italiane che seguivano lo show, la coppia guardava sistematicamente verso la telecamera, in modo che non vi fossero malintesi o interpretazioni lascive di quel loro sfiorarsi e accarezzarsi in scena.

La canzone all’epoca era davvero notevole per quel suo focus sul ruolo attivo della femminilità evidenziato dalle parole Ti voglio! Ti ho inventato io!”. Il pubblico ordinario si mostrò ben felice di avere a sua disposizione una coreografia così popolare, ma la censura intervenne dopo la terza rappresentazione per mettere fine alla performance. Fu il grande attore Alberto Sordi a pretendere il ripristino dello show come condizione sine qua non per la sua partecipazione a Canzonissima. A quel punto la stampa riconobbe alla Carrà di aver fatto colpo sul pubblico, equiparando la sua prestazione alle bollicine di champagne. Da lì in poi Raffaella non smise mai di esser… frizzante!

Di lei sono rimasti famosi i suoi abiti di scena: tutine aderenti tipo proto-glam con ritagli, mantelle, strass, piume e cinture a vita stretta (che di recente hanno formato oggetto di una esposizione museale), sormontate da un caschetto biondo e corto – tanto da far sembrare mediocre il look di Anna Wintour, la direttrice di Vogue – che fanno della Carrà e delle sue tre caratteristiche (cantante, ballerina e showgirl) una combinazione ineguagliabile di sex appeal e di facilità di approccio.

È stata lei a insegnare alle donne che la femminilità in camera da letto non è una cosa scandalosa; che era lecito innamorarsi di un gay; e che non tutte le relazioni sentimentali erano gratificanti. Franco Vezzoli, che ha curato nel 2017 la mostra TV70 sui programmi televisivi di intrattenimento degli anni Settanta ha dichiarato che la Carrà “per la liberazione delle donne ha fatto di più di molte femministe!”. Nel 1976 esce la sua canzone più famosa A far l’amore comincia tu, una sorta di invito alle donne a passare all’azione per far capire agli uomini che cosa loro stesse vogliono a letto. Nella versione inglese il suggerimento è “Do it, do it again”, mentre in spagnolo suona come “In amore, l’inizio è tutto!”, mentre in tedesco la versione “Schlager singer” è ancora più esplicita.

Tony Holiday trasformò il testo osé in un analogo invito alla danza. Jep Gambardella, il protagonista del film di Paolo Sorrentino La Grande Bellezza, danza a ritmo sfrenato la canzone della Carrà, in occasione della sua festa di compleanno. Curiosamente, il 45 giri di A far l’amore comincia tu aveva nel retro la canzone Forte Forte che recava un messaggio opposto, con lei che mostra remissività in una relazione di puro sesso. Raffaella chiarì all’epoca che il piacere deriva sia nel prendere l’iniziativa che nell’assecondare quella del partner.

Sempre nel 1976, dopo la morte del dittatore Francisco Franco, arriva il suo successo in Spagna con La Hora de Raffaella, in cui la Carrà canta e balla in Tv come aveva fatto nei suoi show italiani. Nel 2018, in un’intervista al Corriere della Sera, Raffaella commentava con grande modestia il suo successo di allora: “Sono stata fortunata: il mio show andava in onda subito dopo partite di calcio di altissimo livello, come Real Madrid-Barcellona”.

In realtà, il suo impatto sulla cultura pop spagnola fu davvero enorme, tanto è vero che lo stesso Re di Spagna la nominò grande dama “al orden del mérito civil”, per essere stata un’icona della libertà. Al suo ritorno in Italia, nel 1978, l’arrivo della televisione a colori le offrì un notevole ventaglio di scelte artistiche, apparendo in qualità di ospite al varietà Ma che sera in cui la sua canzone di apertura Tanti Auguri divenne un’icona di sessualità e sensualità, in cui cantava a squarciagola “ma girando la mia terra io mi sono convinta che non c’è odio non c’è guerra quando a letto l’amore c’è”, o “com’è bello far l’amore da Trieste in giù”.

Commenta in proposito The Guardian, citando il critico televisivo Francesco Vezzoli: “Vi riuscite a immaginare questa donna bionda che canta questa canzone alle 8,30 di sera davanti a 30 milioni di spettatori? Quale atto innovativo e liberatorio fu! Immaginatevi che cosa ne potessero pensare certe donne della periferia romana o della provincia di Brescia, convinte che fare all’amore era lecito soltanto con il proprio marito, anche se il tutto avveniva per loro in modo non proprio soddisfacente?”.

Un’altra provocazione di Ma che sera la vedeva indossare sensuali abiti da suora cantando i più grandi successi dei Beatles dall’alto di una mela, mentre uomini nudi volteggiano sotto di lei: l’intera sequenza rappresenta una carrellata di effetti speciali prima maniera. Nel suo disco single Luca racconta la delusione di una donna innamorata di un gay dai capelli d’oro che lei dalla finestra aveva visto flirtare con un altro ragazzo biondo. Un modo per aggiornare sociologicamente l’immagine dei ragazzi gay, allontanandola da quella tradizionale e svalutativa di coloro che molestano gli spettatori maschi al cinema. Parlare di omosessualità in modo così esplicito fu una vera rivoluzione. E fu così che la Carrà divenne un’icona internazionale dei diritti dei gay, al punto che le venne conferito nel 2017 a Madrid il premio del World Pride.

Solo dodici giorni dopo la prima messa in onda di Ma che sera, il 16 marzo 1978 venne rapito l’onorevole Aldo Moro e alla sua morte la Carrà chiese senza successo alla Rai di sospendere in segno di lutto la sua trasmissione. Al che, Raffaella lasciò l’Italia nel 1979 per farvi rientro solo molto tempo dopo, diventando una pop star e un’attrice in Sudamerica. Tornata in Europa negli anni Ottanta, fino all’età di 77 anni fece frequenti apparizioni come ospite nei talk show nazionali. L’Espresso la descrive nel 1984 come “la più applaudita del presidente Pertini, più cara di Michel Platini, e più miracolosa di Padre Pio”. Forse un po’ esagerato, ma ci sta tutto. Riposa in pace, dolce Raffaella!

Aggiornato il 14 luglio 2021 alle ore 12:58