San Galgano, la spada nella roccia e i Templari

Non lontano dalla celebre Abbazia di San Galgano sorge l’eremo di Montesiepi, dove il nobile cavaliere Galgano Guidotti di Chiusdino, dopo essersi convertito, si ritirò a vita eremitica, fino all’anno della morte avvenuta nel 1180. Secondo la narrazione agiografica, gli apparve l’Arcangelo Michele che lo sostenne nella fede, tanto che il cavaliere infilò la propria spada nella roccia per trasformarla da arma in croce.

Più tardi i Cistercensi dell’Abbazia di Casamari decisero di costruire, poco lontano dal luogo ove il santo era vissuto, un grande complesso monastico. Sorse così San Galgano, un vero e proprio gioiello che l’incuria e le devastazioni, dovute alla storia, hanno ridotto a uno scheletro di pietra, ma proprio per questo ha assunto un fascino fuori dall’ordinario; la mancanza del tetto, ad esempio, sembra che apra un canale per mettere in comunicazione la terra con il cielo e far sì che la creatura colga la presenza del Creatore.

Tuttavia, ciò che attira la nostra attenzione, è l’eremo di Montesiepi, anch’esso realizzato dai frati dove prima sorgeva la capanna del Santo. L’originaria costruzione, dalla singolare pianta circolare e dal paramento bicromico a fasce di travertino e di cotto, fu edificata nel 1185 e in seguito ingrandita e modificata. All’interno vi sono importanti affreschi e sinopie di Ambrogio Lorenzetti e una Maestà dai notevoli significati simbolici. Vi è poi una curiosità: dietro l’altare si possono vedere due mani mozzate, secondo la tradizione furono strappate da un lupo a uno dei tre uomini neri che nel 1181 distrussero la capanna del Santo, la cui testa è conservata in un prezioso reliquario posto nella Sala del tesoro dell’opera metropolitana di Siena.

Al centro della cappella vi è poi il masso con la spada infissa. L’arma attuale è stata posta in sostituzione dell’originale, rotta nel tentativo di estrarla dalla roccia. La storia di San Galgano richiama alla memoria la leggenda arturiana che narra come re Uther morì senza lasciare eredi, tanto che il suo successore sarebbe stato colui che, a Londra, sarebbe riuscito a liberare dalla pietra una spada che miracolosamente vi era rimasta conficcata. Va, inoltre, notato come il nome Galgano riecheggi quello di Galvano, uno dei protagonisti dell’epopea arturiana e che i fatti inerenti il Santo di Montesiepi avvennero nel periodo di diffusione del ciclo narrativo del Graal e della Tavola rotonda.

A questo punto sorge una domanda: è possibile che i Templari abbiano contribuito a diffondere e a rafforzare la storia di Galgano Guidotti? È probabile, egli era, in effetti, una figura emblematica per i cavalieri-monaci: il Santo di Chiusdino era, come loro, un nobile combattente che poi consacrò la propria esistenza alla croce. I Templari erano particolarmente presenti in Toscana e le loro magioni erano ubicate in prossimità della via Francigena, la grande arteria comunicativa del Medioevo, la strada per eccellenza dei pellegrinaggi. Questo itinerario, creato dei Longobardi e potenziato dai Franchi, dopo aver attraversato tutta la parte centrale della regione giungeva a uno snodo cruciale: Siena. La città era cresciuta proprio in virtù di questa via e aveva acquisito la tipica planimetria a “Y”, dovuta probabilmente all’incrocio della Francigena con un’altra arteria, di probabile origine etrusca, con andamento Est-Ovest.

La città era celebre per l’ottima ospitalità, aveva un gran numero di ostelli e di “spedali”, di cui uno specializzato per la cura dei tignosi. Siena era la sede, fra l’altro, della più importante magione templare della Toscana, oggi San Pietro alla Magione che come tutte le chiese del pellegrinaggio aveva due portali gemelli (se ne vedono sempre le tracce nella facciata). Da Siena la via per i pellegrini scendeva verso sud, passando da Cuna, in origine “spedale” poi divenuto grancia, era una grande fattoria fortificata, costruita, nel 1224 da Siena e dall’Ospedale di Santa Maria della Scala. Fuori dal recinto fortificato di Cuna vi è sempre una chiesetta in cotto, con all’interno, una significativa testimonianza del “cammino compostelliano”, si tratta di un affresco del XV secolo, raffigurante il miracolo dei fedeli itineranti impiccati.

Da Cuna la Francigena giungeva a Monteroni d’Arbia, una località segnalata per l’esistenza di diversi alberghi e per la presenza di un imponente mulino fortificato a torrione con base scarpata, realizzato in laterizio nel XIV secolo. Quindi, toccando Ponte d’Arbia, la via giungeva a Buonconvento, un mercatale, poi protetto da mura per la sua importanza strategica. Proseguendo, la Francigena entrava nella Val d’Orcia e arrivava a San Quirico, un borgo murato appartenente agli Aldobrandeschi, era chiamato “Malintoppo”, per i frequenti episodi banditeschi. Ancora nel Quattrocento in una relazione di viaggio si leggeva: “Or chi passa da San Quirico facciasi il segno della croce e raccomandasi a Dio”. Splendida è la sua pieve, un vero e proprio capolavoro romanico, il cui portale ricorda il Duomo di Modena. Da san Quirico la via giungeva a Sant’Antimo, altro capolavoro architettonico medievale. L’edificio attuale risale al XII secolo, quando fu realizzata una grandiosa costruzione ecclesiale, grazie alla donazione di Bernardo degli Ardengheschi. Il luogo era celebre fin dal IX secolo ed era uno dei principali santuari del pellegrinaggio, perché vi si trovavano le spoglie di Sant’Antimo Martire che si dice fossero state donate agli Aldobrandeschi da Carlo Magno in persona.

Infine, la Francigena giungeva a Bagno Vignoni, località termale conosciuta fin dal periodo romano. L’impianto attuale risale al 1334, ma già in precedenza era un luogo apprezzato, perché i pellegrini potevano trovar sollievo se erano afflitti da scabbia, tigna, rogna da altre ulcerazioni della pelle. Da qui la grande via di comunicazione proseguiva verso il sud e a Radicofani lasciava la Toscana per entrare nel Lazio. La vicinanza degli stanziamenti templari a Montesiepi e a San Galgano è, dunque, evidente ed è altrettanto evidente che i cavalieri proteggessero i frati e diffondessero la storia del Santo di Chiusdino che aveva trasformato la spada in Croce, due elementi che davano un senso alla loro storia e alla loro missione. Tant’è vero che quando i Templari sparirono dalla scena, per il cupido volere di Filippo il Bello, l’abbazia di San Galgano fu oggetto di attacchi e razzie a iniziare da quella perpetrata da uno dei primi capitani di ventura, l’inglese John Hawkwood, meglio conosciuto col nome italianizzato di Giovanni Acuto.

Aggiornato il 21 maggio 2021 alle ore 13:26