Alessandra Mortelliti, “Famosa” per Dna

Se Alessandra Mortelliti fosse andata come “personaggio ignoto” al programma di Rai Uno I soliti ignoti e con lei “il parente misterioso” suo nonno, il drammaturgo Andrea Camilleri, il concorrente di turno si sarebbe portato a casa il bottino più ghiotto, indovinandone subito la parentela attraverso l’enorme somiglianza nel volto. Nata appunto dalla figlia di Camilleri e dal regista Rocco Mortelliti, Alessandra dopo la maturità classica si diploma come attrice presso l’Accademia nazionale d’arte drammatica Silvio D’Amico”. Lavora indistintamente nel teatro e nel cinema, prima come attrice poi come regista. Nel 2010 scrive e interpreta il monologo Famosa che si classifica terzo al concorso letterario “Per voce sola”.

Due anni fa trasforma il monologo in un lungometraggio (la sua opera prima) prodotto da Palomar. Presenta al Festival dei due mondi di Spoleto, edizione 2012, La vertigine del drago di cui è autrice ed interprete insieme a Michele Riondino, curandone anche la regia. Allo spettacolo segue una fortunata tournée. Nello stesso anno realizza per la Palomar il documentario Andrea Camilleri, io e la Rai, andato in onda sulla rete ammiraglia della Rai. Alessandra non si ferma un istante, nonostante fosse da poco nata la sua prima figlia, il lavoro non ha mai avuto una battuta d’arresto. È autrice e interprete insieme a David Coco dello spettacolo Crollasse il mondo per la regia di Massimiliano Farau. A seguire è autrice di due episodi della serie Donne tratti dal romanzo di Camilleri per la regia di Emanuele Imbucci, trasmessa su Rai Uno. Ancora un siciliano accanto a lei, il geniale Nino Frassica, nel testo teatrale Sibilla e Dino di cui è autrice ed interprete. In piena era pandemica Alessandra non si è fermata e assieme al marito, l’attore Massimilano Rodi ha fondato la casa di produzione cinematografica Paint Film Srl. La raggiungo telefonicamente, mentre in sottofondo sento le risate dei bambini mescolate ai versi degli amici a quattro zampe di cui la casa della Mortelliti è davvero piena.

Togliamoci subito il dente: sei la nipote di Andrea Camilleri, ti dà fastidio quando ti accostano a tuo nonno?

No, generalmente no. Oltre ad essere una gran bella cosa è anche un onore per me. L’accostamento può essere però un’arma a doppio taglio quando si strumentalizza, quando nascono i luoghi comuni: figlio o nipote d’arte per forza raccomandato o peggio, raccomandato incapace. A volte si fatica il doppio per dimostrare la propria capacità o per avere quello che gli altri hanno senza grossi sforzi.

Come succede alle donne belle: bellezza sinonimo di stupidità?

Esatto. Spesso alla parola bellezza attribuiscono erroneamente il sinonimo di stupidità. Avendo avuto una educazione rigida, ho studiato tantissimo per trovare la mia strada, una mia identità, che prescindesse dal mondo di mio nonno, pur amandolo. E con gli anni ho imparato a gestire meglio anche le critiche di chi non sa guardare oltre il proprio naso.

Che infanzia è stata quella della piccola Alessandra?

Non posso dirti un’infanzia completamente felice. Sono stata una bambina complessa, non facile. Ho dimostrato da subito una personalità cupa, non spensierata, non comune. Direi singolare. Mi chiudevo nel mio mondo dark, fatto di amici immaginari al limite del paradossale. Una fantasia dissociata dalla realtà che mi ha accompagnato per tutta l’adolescenza e oltre.

Hai ancora a che fare con questi amici immaginari?

Ho traslato le mie creature immaginarie nella realtà dei mie personaggi sulle scene. Prima in teatro e poi al cinema. Avevo l’esigenza di portarle con me e dare loro una identità, così le ho fatte imparentare. Sono personaggi di contesti sociali diversi dal mio. Mi hanno sempre attratto le vite degli emarginati, dei borderline, quelli che fanno fatica ad essere catalogati in qualche stereotipo. I difficili, gli incompresi.

Possiamo dire che esorcizzi il tuo “io” più intimo?

In qualche modo sì. Il mio humus è quello della strada e forse questo mi ha portato ad incontrare mio marito, che viene da un contesto diverso dal mio. Amo le contraddizioni, non amo le banalità e mi piace mettere in scena i paradossi. L’ultima storia che sto scrivendo parla di una donna di etnia rom e un ragazzo naziskin. Così facendo smonto i cliché e mi rappacifico con il mondo.

Sei attrice, regista e produttrice: in quale ruolo ti senti più a tuo agio?

Sin da piccola, essendo cresciuta a pane, cinema e teatro, ho sognato il mondo dell’arte ma ancora non avevo ben chiaro in quale veste precisa. La recitazione è stata sempre la mia passione. A un certo punto è accaduto qualcosa: avevo delle difficoltà sul palco, non mi piaceva più, non stavo più a mio agio. Allora mi sono messa a scrivere, anche come sfogo personale, poi, sono passata alla macchina da presa.

Un’evoluzione?

Assolutamente sì. Sul set ho portato i 20 anni di esperienza maturata in teatro.

Assieme al tuo compagno (da poco marito) l’attore Massimiliano Rodi hai messo su una famiglia fatta di figli, cani, gatti e un cavallo. Massimiliano, oltre ad essere socio della vostra casa di produzione, è molto presente in casa con i bambini: Matilda (avuta da una tua precedente unione) e Andrea nato dal vostro amore. Quanto conta per te la sua presenza a 360 gradi?

Con Massimiliano abbiamo creato una grande squadra e lui mi appoggia in tutto quello che faccio. Quando ho girato Famosa si è preso cura di Andrea, che allora aveva solo sei mesi. Una cosa rara per un papà. Abbiamo un confronto su tutto. Forse perché lui arriva da Tor Bella Monaca, ha una estrazione diretta e testarda. Pochi fronzoli, va al dunque con aria fiera e decisa. Mi ha insegnato ad avere il coraggio delle mie idee, senza compromessi né censure, nessun politically correct. Mi dà la forza per andare avanti, spronandomi a fare sempre meglio. È fantastico con i bambini, con i cani, i gatti e il cavallo.

Vogliamo dire pure che è un gran figo?

Sì, diciamolo. Infatti, è stato un colpo di fulmine, da parte mia intendo, e spero anche da parte sua. Poi, proprio per uscire fuori dagli schemi, abbiamo fatto quello che forse nessuno si aspettava, ci siamo anche sposati.

Vi siete sposati in nero, giusto?

Io vesto di nero dalla pancia da mia madre. Quando qualche volta mi sono presentata in teatro senza la mia divisa di ordinanza total black ma con i jeans, i miei colleghi si sono seriamente preoccupati. Come ha scritto Massimiliano nel post di Facebook per annunciare il matrimonio, sembravamo due bacarozzi. Io avevo uno smoking perché ho sempre amato i tagli maschili. L’unica vestita di bianco era Matilda, almeno lei.

Come concili tutto questo con l’essere madre?

Non lo so, è un casino. Vorrei farti dei discorsi da grande mamma saggia. Invece ho i capelli dritti. Ma avendo un marito che mi aiuta molto e una figlia buonissima, riesco a uscirne fuori. Oggi è un ingranaggio perfetto, nonostante la confusione. Invece quando partorii Matilda ero in tournèe in veste di attrice, autrice e regista con La vertigine del drago insieme a Michele Riondino. Ricordo una tale confusione per allattare prima di andare in scena, tra pannolini e colichette. Che fatica!

Stai vivendo un bel successo cinematografico con Famosa la tua opera prima tratta dall’omonimo monologo teatrale: come nasce l’idea di portarlo sul grande schermo?

Ho scritto e interpretato Rocco Fiorella a teatro, un personaggio che mi era rimasto addosso. Lì c’era gran parte del mio mondo, le mie ossessioni, le passioni. È avvenuto tutto in maniera naturale, tanto che quando ho sentito il primo “ciak” mi sono sentita centrata su me stessa. Ero al posto giusto, al momento giusto. Un momento perfetto da tenere tra i ricordi indelebili della vita.

Perché Rocco Fiorella? Nel nome c’è già un’indicazione?

Il monologo è contestualizzato in Ciociaria. Il nome Rocco è molto diffuso da quelle parti e il mio personaggio gioca molto sull’ambiguità. Spesso inverte il nome con il cognome, per affermare il suo lato femminile. In teatro era più esasperato, anche più urlato. Al cinema tutto questo è una introspezione. Accade tutto nella mente del protagonista.

Spesso nelle tue interviste televisive racconti di quanto fossi introversa e silenziosa da bambina, ma poi parli a mitraglietta senza lasciare spazio all’interlocutore. È un modo per non far cadere il silenzio?

Non ci ho mai pensato, forse è la mia voglia di fare la maestrina. Evidentemente una mia enorme esigenza di raccontarmi. Il mio entusiasmo mi appassiona, anche perché come tutti gli artisti ho un bisogno compulsivo di fare, altrimenti mi annoio facilmente.

Come stai affrontando questo periodo pandemico?

Guarda, non c’è cosa peggiore che mi potesse capitare: la pandemia! Io sono una ipocondriaca. All’inizio ho reagito male e cercavo di avere il controllo della situazione su tutti i fronti. Poi, entrando nel vivo della cosa, ho mollato la presa. Non si può avere il controllo assoluto in una casa come la nostra, per giunta con due bimbi piccoli, soprattutto con il maschio. Invidio da morire le mamme, che si ingegnano con torte e pane fatto in casa. Odio cucinare, sono una frana! Ad un certo punto, ho capito che il compito principale era quello di non far pesare ai bimbi questa situazione. Fortunatamente, vivendo nell’era del digitale, ci siamo potuti organizzare anche per quanto riguarda il lavoro.

Quali i progetti in cantiere?

Con Massimiliano abbiamo aperto la Paint Film, una casa di produzione cinematografica, attraverso la quale cercheremo di realizzare tutte le nostre idee, in primis la mia opera seconda, scritta insieme a lui, dal titolo La principessa e il drago e poi una serie con protagonista un commissario, ma di questa non posso ancora dire niente. Le nostre produzioni saranno improntate su personaggi, che hanno avuto una vita difficile, bisognosi di riscatto di una dignità e identità.

La riscossa degli ultimi?

Esattamente: la riscossa degli ultimi è la mia ossessione.

Aggiornato il 26 marzo 2021 alle ore 12:58