Interviste immaginarie: Oreste Lionello

Ho passato in rassegna i miei libri che, non avendo trovato uno spazio negli scaffali della biblioteca (sono ormai più di cento), ho sistemato sopra il pianoforte che si trova nel salotto, proprio di fronte al mio studio. Fra tutte le copertine campeggia, per l’originalità e la professionalità del grafico, quella di Oreste Lionello, al quale ho dedicato un poemetto. E mi è venuta spontanea questa domanda: “Perché non scrivere anche su di lui un’intervista immaginaria?”. Così, preso in mano il libro, sono andato a sedermi sulla poltrona e dopo averlo sfogliato qua e là, ho buttato giù questa intervista, immedesimandomi in lui, anche nel linguaggio.

Come nell’amicizia, quella vera, eravamo un’anima sola in due persone. Ci conoscemmo nel settembre del 1945 a Reggio Calabria, dove la mia famiglia, che si trovava al Nord, si era rifugiata, dopo una fuga allucinante più unica che rara (eravamo undici figli), per sottrarsi, come ha scritto Giampaolo Pansa, alla “mattanza dei rossi”. Abitava a pochi passi dalla mia casa e in quel periodo cominciava la sua scalata alla celebrità, esibendosi al Caffè del Lido, ma anche al Puntorieri, il cui titolare, soprannominato “u Canazzu” (il Cagnaccio), era imparentato con la famiglia di Marina Ripa di Meana.

“Oreste, fratello mio!”, ho esclamato dentro di me, e inconsapevolmente ho allargato le braccia per stringerlo al mio cuore, ma “tre volte intorno all’ombra sua le mani avvinsi e tante mi tornai con esse al petto”.

“Che cosa vuoi?”, mi ha detto lui, con tono di rimprovero. “Stavo a parla’ con Andreotti!”.

Voglio scambiare quattro chiacchiere con te per ricavarne un’intervista”.

“Sbrigate, però, che ciò da fa’”.

Ma dove sei?”.

“Che domande! Dove vuoi che sia? Sulla Terra ho portato Al Paradise, l’ho presentato al Teatro delle Vittorie di Roma e agli studi Dear per la terza rete della Rai, e tu mi chiedi dove sto?”.

Sì, ma lì indossavi una giacca rossa, una bombetta e un papillon dello stesso colore, e successivamente una giacca azzurra, un cilindro e un papillon, sempre dello stesso colore. Adesso penso che lassù le tue metamorfosi siano finite”.

“Domani! Avevi ragione tu quando mi dicevi che quella di Dio non è una Creazione, tanto meno “dal nulla”, ma una trasformazione della sua stessa essenza, l’energia, che dal suo stato sottile ed invisibile passa a quello concreto e manifesto. Quassù mica ce ne stiamo con le mani in mano! Pure nell’aldilà, che mo’ per me è diventato l’aldiquà, tutti ci trasformiamo: come le maschere pirandelliane, semo uno, nisciuno e centomila, anzi, miliardi di miliardi, tutti uniti nell’Uno, er Padreterno, altro che Trinità! Tre persone “distinte” e “divise” fra di loro: er Padre, er Fijo e lo Spirito Santo, “coeterni”, per di più, quando padre e figlio si addiventa, ner tempo, non ne l’eternità”.

Sei sempre in vena di scherzare”.

“No, è la verità: pure quassù la vita è tutta un filme. O per meglio dire un tiatro, in cui gli attori se stanno sempre a trasformà, come le maschere. È tutta ’na continua metamorfosi, come quelle d’Ovidio, in cui puro gli dèi se trasformeno. Qui ognuno se trasforma a suo piacere, sperimentando in sé, personalmente, Andreotti, De Mita, Berlusconi… e adesso Mario Draghi. Semo tutti dei maghi. Mo’ vedremo presto, all’atto pratico, icché farà (pe’ dillo in fiorentino) ’sto novo drago a capo d’un Governo, che de draghi ne ha avuti centomila, senz’alcun risultato. Boccaccia mia statte zitta, perché si parlo…”.

Cosa intendi dire?”.

“C’è stata solamente una eccezione. Ma nun se po’ di’”.

Cominciamo l’intervista. Tu non sei stato un comico…”.

“Allora perché alle mie battute ti sganasciavi dalle risate?”.

Non m’hai fatto finire. Stavo dicendo che più che un comico tu sei stato un artista, che riusciva a far sorridere e nello stesso tempo a far riflettere e meditare, un maestro, che dispensava perle di saggezza, e lo facevi sempre, in ogni occasione, con un garbo e una semplicità davvero singolari”.

“Che d’è, un elogio funebre?”.

No, è la verità. Col tuo fare elegante, raffinato e discreto, hai nobilitato il varietà, offrendo nel panorama della satira, oggi così scaduta e faziosa, un esempio raro di equilibrio e di moralità. Tu hai fatto della satira una risata, anagrammando la parola stessa. Non però come quella di Lucilio, che la faceva contro le persone, sottintendendo o citandone i nomi, ma come Orazio, che se la prendeva con i vizi dell’uomo in generale”.

“Non mi attribuisca dei meriti che non avevo”.

Perché ora mi dai del lei?”.

“Stamo a fa’ l’intervista, no? Io nel lavoro ho sempre dato del lei a chi stava con me, non ho mai fatto sconti a nisciuno, nemmeno ai figli miei”.

Lo so: quando mi chiamavi al doppiaggio per qualche battuta mi davi del lei, e mi dicevi pure le parolacce. Un giorno, poiché avevo sbagliato i tempi nel mettere le parole in bocca a un attore, mi dicesti addirittura Lei è licenziato!”.

“Lei doveva fare solo il professore! Mi scusi, sa, si glielo lo dico schietto. Di fronte a me sembrava n’imbranato, non ner senso di goffo, d’impacciato, per incapacità, per timidezza, perché la sua parola era assai sciolta, bensì ner senso ch’er pensiero suo s’intignava, cioè s’intestardiva su concetti magari originali ma poco convincenti, per i più. T’eri fissato, pe’ fatte un esempio, su certi brani, appunto, de la Bibbia, che interpretavi a modo tuo, non come sosteneva la Santa Madre Chiesa, per la quale la Bibbia è Parola di Dio, che l’ha dettata personalmente a tutti i suoi profeti come un capo d’azienda va dettando una lettera a la sua segretaria. M’aricordo che questa frase tu la dicevi pure ai figli miei, quando venivano a lezione da te. Eri bravo, anzi bravissimo, come er barbiere de la città. Ma in Religione nun filavi dritto, secondo i cannoni de la Santa Chiesa”.

Volevi dire cànoni. Lo vedi? Pur essendo lassù nel Paradiso, tu trasformi, anzi, storpi le parole, come facevi sempre nei tuoi sketch”.

“Parlamo d’altro, va’!”.

Ricordi quante volte a Reggio Calabria, all’ora di pranzo, vista la fame che faceva la mia famiglia, ti autoinvitavi presentandoti con dei pacchetti infiocchettati che sembravano confezionati in una pasticceria? La prima volta mia madre fece per metterli nel frigorifero, credendo che fossero dei pasticcini, e tu le dicesti no, deve aprirli subito! E in uno c’erano dei pezzi di pollo, in un altro le patatine fritte, in un altro l’insalata russa, e così via. E tu, per non umiliarci, porgendoli con l’indice infilato nel foro del cordoncino che li avvolgeva, dicevi questa è la mia razione. E ti sedevi a tavola con noi?”.

“Erano tempi brutti per tutti, quelli là”.

Anch’io spesso venivo a casa tua. E tu dalla tua stanza, dove stavi sdraiato sul letto con la matita in bocca in attesa dell’ispirazione, gridavi chi è? E tua madre Pilade, l’amico tuo. Al che tu, forte, per farti sentire sempre qui quel rompiscatole! Eri molto generoso. Con tutti. Come quando distribuivi agli amici le ricevute delle giocate che avevi fatto al lotto perché se fossero usciti i numeri la vincita se la prendessero loro”.

“Ci avessi azzeccato ’na vorta! Ci ho speso una montagna di soldi”.

Ti rimpiangono tutti. Anche per chi non ti conosceva personalmente tu eri solo Oreste. Come Dante, come Napoleone. Crozza mica lo chiamano Maurizio. Essere chiamati per nome, a certi livelli, è segno di grandezza. E tu eri veramente grande”.

“Non esageriamo: sarò stato un metro e sessantacinque”.

Eri la mia metà”.

“Ammappelo che complimento!”.

Volevo dire la metà della mia anima: animae dimidium meae, come diceva Orazio di Virgilio. Fratello mio, con la tua scomparsa la mia vita è diminuita di valore. Senza di te non ho più quell’oasi confortevole e rassicurante in cui rifugiarmi dal diluvio di satiri e di guitti che non sanno più che cosa siano la vera satira e la vera comicità. Heu, miser indigne frater adempte mihi!”.

Canto in questo prezioso poemetto

(l’ultimo forse della vita mia)

le gesta di un artista arguto e schietto,

l’eroe supremo della fantasia.

Regnò per più di cinquant’anni,

offrendo di sé un ineguagliabile spettacolo

dovunque si esibisse, divenendo

nel campo della satira un miracolo.

Aggiornato il 08 marzo 2021 alle ore 12:32