In un suo saggio un grande scrittore del Novecento, Raffaele La Capria, parlò in modo indimenticabile dei vari stili che la scrittura letteraria è capace di assumere. Nello stesso scritto, delineò la nozione dello stile dell’anatra, per designare con tale felice immagine una scrittura lieve e sintetica, immune e scevra, però, dalla superficialità e dalla vacuità concettuale. Leggendo il libro di Georges Simenon, intitolato I superstiti del Télémaque, pubblicato da poco dall’editore Adelphi, è inevitabile associare la scrittura leggera e limpida di questo grande scrittore allo stile dell’anatra, secondo la accezione che gli ha attribuito Raffaele La Capria. Il libro, un classico nel genere noir psicologico, ha un inizio che difficilmente il lettore dimenticherà. Appena sbarcata nel porto di Fécamp, una città della profonda provincia francese, una barca con il carico della aringhe, il cui nome è Centaure, accade un fatto stupefacente. Il suo capitano, Pierre Canut, viene tratto in arresto da un commissario di polizia. Sia l’armatore della barca, Pissart, sia i marinai, avendo grande considerazione del capitano Pierre Canut, appreso che questi è in procinto di finire in prigione con l’accusa di avere ucciso il vecchio Nostromo Fevrier, iniziano di fronte al comune di Fécamp a protestare, chiedendone la liberazione.

È memorabile la capacità di Simenon di descrivere la reazione di una intera comunità, al cospetto di un evento, l’arresto di un Capitano di una barca, considerato nel piccolo ambiente, una città di provincia, integerrimo ed onesto. Nella narrazione, il fratello gemello di Pierre, Charles Canut, appare come la persona che sia per la sua intelligenza sia per il suo carattere caparbio si è sempre occupato di Pierre, fino ad aiutarlo nei suoi studi per farlo divenire capitano di marina. Infatti, sconvolto per l’arresto di suo fratello, giacché lo considera innocente, Charles Canut decide di lasciare il suo impiego alle ferrovie di Fécamp e seguire l’inchiesta giudiziaria, che si svolge nella città di Rouen. Interrogato dal giudice istruttore Laroche, che gli chiede se sia stato la notte del 2 febbraio nella villa dei Gabbiani, posta al di sotto delle scogliere e di fronte al mare, Pierre Canut ammette di avere incontrato la vittima dell’omicidio, il nostromo Fevirier. Gli chiede, il giudice Laroche, se insieme a sua fratello Charles, lui, Pierre Canut, provasse odio verso Fevrier, che era sopravvissuto al naufragio della nave, avvenuto al largo di Rio De Janeiro nel 1906, in seguito al quale su di una scialuppa, mentre Fevrier e altri quattro marinai erano riusciti a sopravvivere, suo padre era morto dissanguato con il polso reciso. Pierre Canut tace e rimane in silenzio, facendo credere al giudice istruttore che la motivazione del delitto sia da porre in relazione con i fatti che riguardavano il naufragio della nave Télémaque. In questa parte della narrazione, ed è l’aspetto intellettuale che coinvolge di più il lettore, emerge la distinzione tra la verità e le supposizioni ragionevoli e l’intimo legame esistente tra l’accertamento della verità e la giustizia. Charles, inquieto e in preda ad un dolore inconsolabile, dovuto alla detenzione di suo fratello in carcere, inizia le sue indagini personali, per dimostrarne la innocenza. Nella narrazione è descritto in modo straordinario sia la reazione provocata dalla vicenda sui giornali e il mondo della informazione, sia quanto accade nella vita sociale di Fécamp.

La vedova di Pierre Canut, madre del capitano accusato del delitto, dopo che Fevrier era rientrato a Fécamp, per ricevere in eredità la villa dei Gabbiani, ogni volta che lo incontrava, lo additava come l’Anticristo, ritenendolo responsabile della morte di suo marito. Per la morte del marito, avvenuta prima che nascessero i suoi figli gemelli, la vedova Canut era sovente in preda a crisi isteriche, che negli anni ne avevano minato l’equilibrio mentale. Interrogandola nella sua abitazione, sotto il ritratto del marito, il giudice Laroche si impietosisce. In effetti, a causa delle aggressioni da parte della vedova Canut, Fevrier aveva scritto una lettera al capitano Pierre Canut. Il capitano, prima che avvenisse il delitto, la notte del 2 febbraio incontrò Fevrier nella sua villa dei Gabbiani. Charles Canut, mosso dalla volontà di dimostrare la innocenza di suo fratello, scopre che, in un luogo non distante dalla villa dei gabbiani, vi è una osteria, di proprietà di una donna, il cui nome è Emma, di nazionalità fiamminga, frequentata da un balordo, il giovane Paumelle. Charles, seguendo questo giovane, che non si capiva con quali mezzi riuscisse a vivere, si accorge che vive in una baracca, di proprietà di Clovis Robin. Questo imprenditore edile era il cognato della vittima, visto che sua sorella Georgette aveva sposato in sud America, in Ecuador, Emile Fevrier, da cui in seguito si era separata. Commentando a teatro la vicenda, che vede imputato per omicidio Pierre Canut, il suo avvocato, Abeille, senza provare dubbi intorno alle conclusioni delle indagini, dichiara in presenza della borghesia di Rouen che, in base alle sue convinzioni, la istruttoria verrà chiusa in pochi giorni e il processo si terrà in corte di Assise.

Inoltre, aggiunge l’avvocato Abeille, che nell’esercizio della sua professione mai aveva conosciuto un dramma umano di queste proporzioni, una tragedia accaduta in mare tanti anni addietro, che aveva privato i figli, prima che nascessero, del genitore e fatto precipitare la vedova del nostromo, scomparso in mare con il naufragio della nave Télémaque, nella follia provocata dal dolore irrimediabile. Sono memorabili e dal punto di vista letterario perfette e indimenticabili le scene rappresentate nel caffe de l’Amiral di Fécamp, in cui Charles, in preda alla angoscia, conversa con la donna che ama, Babette, e con il proprietario Jules. Jules informa, di notte mentre conversa con Charles nel caffè de l’Amiral deserto che, prima del 2 febbraio, e quindi del delitto, a Le Havre qualcuno aveva visto Georgette con il suo nuovo compagno. Questa rivelazione lascia stupefatto Charles Canut, che, recandosi nella città di Le Havre, spera di conoscere fatti nuovi da cui ricavare una concatenazione di ipotesi investigative tale da dimostrare la innocenza di suo fratello. Il colpevole del delitto, il responsabile della uccisione di Emile Fevrier, verrà smascherato. Alla conclusione di questa drammatica vicenda, Charles Canut osserva che nulla si poteva cambiare, poiché quello era l’ordine naturale delle cose, giacché il delitto ed il male sono una presenza costante nella vita degli uomini. Libro notevole.

Aggiornato il 06 agosto 2020 alle ore 12:23