Papa Francesco, autore del libro “Io credo, noi crediamo uscito questi giorni nelle librerie sotto forma di colloquio-intervista con don Marco Pozza, cappellano del carcere di Padova, nel capitolo dedicato al populismo cita Napoleone quale “peccatore che ha provato il piacere perverso di costringere un Papa alla prigionia”.... al quale “il Signore ha avuto la misericordia di fargli sentire le umiliazioni e farlo morire come un poveraccio confinato su un’isola”.

A parte la collocazione nella stessa pagina in cui è citato Hitler con pari stigmatizzazione, Napoleone è liquidato con tre righe molto severe integrate da una nota in calce al libro.

Permetterà il Santo Padre qualche perplessità in quanto, volendo addentrarsi a parlare di uno dei periodi più controversi della Chiesa e dei rapporti con l’uomo che comunque ne risollevò le sorti in Francia prendendo le distanze da una politica di scristanizzazione condotta sotto il Terrore, sarebbe stata preferibile maggior prudenza nel giudizio e anche una valutazione più approfondita.

Papa Pio VII, infatti, salito al pontificato trovò la Chiesa francese in uno stato di totale anarchia, travagliata dallo scisma che aveva portato alla costituzione civile del clero, con gran parte delle chiese chiuse e la possibilità per gli ecclesiastici di contrarre matrimonio.  Napoleone, desideroso di ristabilire il prestigio della Chiesa cattolica, negoziò con il Papa il Concordato del 1801 che sostanzialmente ridava al Pontefice la perduta autorità, introduceva un meccanismo codecisionale per la nomina dei vescovi e ripristinava il celibato per i preti.

E questo è stato l’unico momento di distensione tra il pontefice e il futuro imperatore, la cui incoronazione segnò l’inizio di una progressiva conflittualità sul piano temporale che portò al decreto che aboliva, appunto, il potere temporale dei Papi –  qui avrebbe dovuto trovare concorde Papa Francesco -  e poi all’arresto, con tutti i riguardi, del Pontefice.

Più che uno scontro tra due persone si trattò di un confronto tra due modelli di Stato, uno improntato a liberalismo e modernizzazione in possesso di una Costituzione e di un codice civile con scuole pubbliche accessibili a molti, l’altro tra i più retrogradi d’Europa con una Costituzione che avrebbe visto la luce solo qualche decennio dopo.

Mentre in Francia era stato introdotto un sistema giuridico che prevedeva tribunali penali e civili, a Roma esisteva l’Inquisizione che indagava e talvolta giustiziava gli eretici, poco essendo cambiato dai tempi di Giordano Bruno.   

Vostra Santità è sovrano di Roma, io ne sono l’Imperatore e avrà per me nel temporale gli stessi riguardi che io le porto per lo spirituale” è la frase che dimostra come il conflitto esulasse dalla religione, tant’è che il Papa durante il periodo di detenzione poté sovrintendere un Concilio e sottoscrivere un ulteriore Concordato a Fontainebleau.     

Una volta liberato dallo stesso Napoleone a seguito della disfatta di Lipsia, Pio VII tornò a Roma prima del Congresso di Vienna e vide nella Restaurazione l’occasione per porre le basi di una organizzazione amministrativa dello Stato Pontificio sul modello napoleonico, abolendo i diritti feudali e riorganizzando i tribunali. Il nuovo corso liberale preoccupò proprio il clero più tradizionalista che tirò un sospiro di sollievo quando l’illuminato pontefice morì nel 1823. Anche il Ghetto le cui porte erano state aperte dai francesi, che tra l’altro consentirono agli ebrei di gettare lo sciamanno, venne richiuso.

Dovranno passare molti altri anni affinché quella ventata di democrazia riprendesse dimora nello Stato. Chi erano quindi i peccatori visti con i parametri di giudizio attuali?

E il Napoleone che molti biografi descrivono difensore della Chiesa cattolica solo per una precisa strategia politica aveva fede o era “un peccatore condannato dal Signore  a finire i propri anni in un’isoletta”?

Probabilmente un peccatore lo sarà stato ma il fatto che abbia laicizzato lo Stato e che volesse tenere ben separati i poteri non è sufficiente a configurarlo senza appello come tale, tanto più che riteneva il Cristianesimo quale fondamento etico dell’Europa, principio per cui si  mise contro i politici imbevuti di idee illuministiche.

A Sant’Elena, nel corso delle conversazioni con i più stretti collaboratori esiliati assieme a lui, non manca di criticare gli atei di cui sostiene di avere orrore e ama dialogare su Dio, Gesù e il Vangelo che riteneva contenesse la morale più pura. Nel tentativo di convincere il  generale Bertrand, non credente, spiegava che “né la storia né gli uomini hanno niente che possa essere comparabile a Gesù”.  

Su Napoleone sono stati scritti più di tremila libri e, ovviamente, il giudizio sulla sua condotta e sulla persona non può essere univoco neppure sul momento della sua convinta conversione ma una cosa è certa: in una prossima edizione del libro preghiamo il Santo Padre di non riservargli le stesse riflessioni rivolte a Hitler.

Aggiornato il 06 marzo 2020 alle ore 12:13