1984-2019: Amadeus e i suoi trentacinque anni portati benissimo. Dal cinema al teatro, la assai poco divina Mediocritas di Salieri, maestro di Corte, si contrappone all’onnipotenza del genius di Mozart. Al Teatro Quirino va in scena fino al 1° dicembre la riduzione teatrale dell’indimenticabile capolavoro di Miloš Forman. Nei rispettivi ruoli del carnefice e della vittima recitano padre e figlio, Geppy e Lorenzo Gleijeses, per la regia di Andrei Konchalovsky. La perfidia e il complotto sono portati, un po’ come la calunnia, dai “venticelli”, sorta di maschere veneziane o di elfi provvisti di grandi mantelli che compaiono da dietro le quinte facendo escursioni e leggiadre evoluzioni sulla scena, per presentare come un suggeritore collettivo il tessuto della trama e tracciare i profili segreti dei suoi personaggi.
E l’apice del pathos ancora una volta si presenta con l’atto sacrilego della croce data alle fiamme da Salieri, massimo disconoscimento, insulto e disprezzo nei confronti dell’Onnipotente per aver messo gli immensi tesori della sua divina musica in un corpo sgraziato, infantile e terribilmente scostumato fino al massimo dell’indecenza. L’indegno beneficiario? Mozart, proprio lui, che dice incredibili fesserie alle sue amanti e alla moglie, giocando con le sottane delle femmine come farebbe un qualsiasi depravato decerebrato.
Anche qui, la guerra a Dio dichiarata da Salieri per distruggere Amadeus, la sua creatura prediletta, finirà solo con la sua stessa morte nel reparto di geriatria di un ospite dell’epoca. Così il Demone della vendetta e dell’odio si travestirà da talpa, strumentalizzando il Potere e le défaillance di imperatori facili allo sbadiglio quando la musica salirà sino alle sue più difficili e inaccessibili vette che solo lui, il Diavolo, è in grado di apprezzare fino all’ultima goccia di quel veleno che fa strame dell’autostima mortale del suo adepto. Salieri-Gleijeses si spoglia sotto l’influsso del suo demone di tutto il perbenismo appreso in decenni di amor servile per la corona e i suoi cortigiani, gustando tutti i frutti proibiti, come l’adulterio; il desiderare senza remore né pudore la donna d’altri; il rubare le opere d’arte di musica, in quei modi indecenti che la sua educazione puritana e chiesastica gli avevano interdetto per tutta la vita, fino al momento dell’abiura. Amadeus al Quirino, come in Forman, si riprende la sua statura di gigante steso su un tavolo di biliardo in preda a una febbre senza scampo, mentre detta al suo mortale rivale le note del Requiem che la mente di Salieri fa una fatica di Sisifo a recepire fino a che il suo demonio interiore, sempre lui, non gli porge la chiave e lo fa estasiare godendo dell’estasi di una creazione che lui, il Maestro stimatissimo di Corte, non avrebbe mai lontanamente immaginato.
La sua massima umiliazione, che giustamente grida vendetta contro Dio al cospetto di Satana, è quella di accorgersi, mentre scruta tra gli originali delle composizioni scritte di suo pugno da Mozart, dell’assenza di una qualsivoglia correzione. Dimostrazione ultima dell’ispirazione divina che scende direttamente dal cielo come scienza infusa nell’uomo, ideale a scatenare la ritorsione mortale da parte dei figli prediletti della Dea Mediocritas! Poi c’è lei, la moglie musicalmente ben educata Constanze, nata Weber e prescelta da Mozart dopo che la sorella Aloysia si era sottratta al suo corteggiamento, preferendo al grande genio squattrinato un ben più solido impresario teatrale! Ma, poiché Mozart preferiva non chiudere mai con le sue fiamme pregresse, Aloysia come soprano di grande talento continuò a interpretare diversi ruoli nelle opere scritte dallo stesso Amadeus. La figura di Constanze, devota al marito tanto da arrivare perfino a concedersi a Salieri pur di trovare lavoro a Mozart, assume un ruolo chiave nella vicenda: è durante la sua assenza infatti, dopo aver abbandonato la casa coniugale per l’ennesimo litigio sulla mancanza di denaro e sulle condizioni miserrime in cui la famiglia Mozart era costretta a vivere, anche a causa delle perfide persecuzioni di Salieri, che Mozart cade gravemente malato, ossessionato dalla gigantesca figura minacciosa (paterna) del Don Giovanni. Ed è sempre lei che, nel racconto popolare dell’ultima scena, si riprende con veemenza dalle mani avide di Salieri il manoscritto del Requiem, sottraendogli così il piacere estremo del grande plagio. Spettacolo imperdibile!
Aggiornato il 28 novembre 2019 alle ore 12:50