“Un giorno di pioggia a New York”: quando il tempo è scandito da un orologio di musica

L’elisir d’eterna giovinezza? Per la Cina imperiale e confuciana (Deng fu l’ultimo discendente comunista di quella dinastia), come per i super ricchi moderni, quel nettare mitologico era distillato dall’intenso piacere del potere assoluto che, per di più, consentiva al semidio di giacere in un grande letto tra stuoli verginali di giovanissime fanciulle in fiore, rinvigorendosi alle loro carezze per assorbire così la linfa vitale della vita che perpetua se stessa. Da sempre, in fondo, i piaceri della sessualità appena sbocciata o in fiore costituiscono un rimedio ben più potente e afrodisiaco dell’oppio! Tranne oggi, però, al tempo del MeToo, dove è sufficiente sfiorare un avambraccio di donna per finire in Procura!

Ma quell’irresistibile tentazione dell’Elisir verginale inquina i rapporti e si infiltra subdola nel mondo patinato, irreale e surreale di Hollywood (dove oggi il digitale ha sostituito la pellicola!), con i suoi déi corrotti dell’Olimpo dello star system, come registi, attori, sceneggiatori: tutti ricchi, famosi, pervertiti, alcolizzati e perdutamente corrotti dal demone sempre transeunte del successo. Quell’Apollo, insomma, tiranno spietato di vite che passano sopra i grattacieli come folate di vento, e che rimangono prigioniere dei loro vizi rinchiusi nel sarcofago di Tutankhamon delle suite sontuose degli hotel a sei stelle e dei loft newyorkesi da dieci milioni di dollari!

L’ultimo film di Woody Allen,Un giorno di pioggia a New York”, è un po’ tutto questo. L’impronta è decisamente autobiografica venata da forti tratti di profonda, disarmante autoironia. La costruzione dei personaggi e il climax che pervade tutta la narrazione hanno un che di magico e di surreale al tempo stesso, e la storia è praticamente perfetta, una spina avvelenata nel fianco dell’alta borghesia ebraica newyorkese, con i suoi vizi, i suoi riti da jet set, le sue paranoie e, soprattutto, le sue noie tutte concentrate nelle sontuose e mondanissime feste all’interno di dimore sontuose prive di pathos. Ci sono, nell’ordine: Ashleigh (Elle Fanning), studentessa ventunenne del college che dimostra otto anni di meno (ed è per questo che gli uomini maturi si accertano prima della sua vera età, sbirciando la sua patente di guida!), coltissima in filmografia americana ed europea, aspirante giornalista cinematografica; il regista introverso Roland Pollard (Liev Schreiber) in crisi esistenziale ma che si riaccende come fiamma sotto la brace al primo contatto con l’ingenuità e la freschezza innocente di Ashleigh; lo sceneggiatore famoso, ombra e anima di Pollard, Ted Davidoff (Jude Law), che gigioneggia con tutte le attricette che gli passano tra le mani, salvo ad andare su tutte le furie per il tradimento della moglie con il suo miglior amico; l’attore famoso predatore seriale di femmine navigate e soprattutto inesperte, Francisco Vega (Diego Luna).

Infine c’è lui, Gatsby (Timothée Chalamet), il giocatore d’azzardo super fortunato, fidanzatino alla Woody Allen di Ashleigh, anticonformista, intellettuale, raffinatissimo e fuori dagli schemi per la sua età, appassionato dei luoghi più artistici e affascinanti della Grande Mela, nonché pianista dilettante di piano bar. Poiché il luogo geometrico degli affetti è il triangolo, non può mancare per ogni protagonista il terzo elemento. Per gli adulti, ormai marciti e irrecuperabili, il nuovo vertice è proprio Ashleigh, mentre per Gatsby è la giovane Chan (Selena Gomez) che viene dal suo passato quando ancora bambina raccoglieva tutte le confessioni della sorella, girlfriend di Gatsby all’epoca.

Sarà proprio l’orologio di musica di Delacorte in Central Park la chiave di volta del film, che risulta un’opera molto matura, spietatamente introspettiva e autobiografica di Woody Allen, in cui non solo si progetta e si realizza una sorta di Blow-up del mondo artificiale hollywoodiano e dei suoi stereotipi, ma si crocifigge con grande sapienza letteraria (qui le battute sono sintesi molto raffinate dell’ironia alla Oscar Wilde) il mondo dei super ricchi newyorkesi e americani, in generale, mentre il rapporto di odio-amore tra madre e figlio inverte all’improvviso le sua forza centrifuga distruttiva, per portarsi con moto opposto verso un centro massivo insospettabile.

Aggiornato il 18 novembre 2019 alle ore 18:46