La verità? Una formula chimica che s’inventa lì sul momento. La sua potenza è tale che attraverso i mulinelli dei flussi neuronali i fantasmi divengono realtà e i sogni sono come ologrammi, coincidendo così con quelle che la scienza moderna definisce le ”Near death experiences” (“esperienze di pre-morte”), o Nde, che cambiano radicalmente la personalità di chi le ha vissute. Neurofisiologia e fisica quantistica suggeriscono come, forse, la nostra coscienza sia un’onda di materia non esattamente localizzabile nello spazio-tempo (Principio di Indeterminazione di Heisenberg). Chi ha avuto un’esperienza “Nde” descrive come in quegli istanti tutto ciò che riguardi il passato o il futuro sia istantaneamente disponibile grazie a una sorta di “coscienza non locale”. E questo in fondo è ciò che viene narrato nella formidabile, complessa e chiaroveggente ultima opera teatrale di Luigi Pirandello “I Giganti della Montagna”, in scena al Teatro Eliseo di Roma fino al 31 marzo per la regia e l’interpretazione del maestro Gabriele Lavia.
Secondo la terribile (e purtroppo oggi avveratasi!) profezia di Pirandello, La Bellezza, La Poesia e L’Arte in genere sono morte e appartengono soltanto a viventi “veri” che abitano in una dimensione a noi sconosciuta, magica ed estranea ai cinque sensi, mentre in quella terrena stanno tutti coloro che sono e vivono “di” e “nella” sostanza materica: quella dei Palazzi, del Potere, del Denaro, dei Corpi fisici. Pirandello è una sorta di Alain Touring, un matematico illusionista dello spazio scenico che sperimenta i livelli superiori della complessità razionale e onirica: dal teatro nel teatro (di complessità due, quindi) al teatro che contiene in sé un teatro di complessità due. Come “I Giganti” che implicano al loro interno il mito della “Favola del figlio cambiato” e quest’ultimo genera dentro di se l’archetipo delle “Donne” streghe che impersonano il Maleficio in Natura, ovvero l’Imponderabile e l’Inverosimile, la Paura aspecifica che rimane tale finché un Mago (Cotrone-Lavia) non dà al tutto forma e vita apparente fatta della sostanza delle spirali di fumo. Solo i fantasmi sono veri poiché intimamente nostri: loro sono i soli a scalare le varie dimensioni: transitando per il ponticello (finestra temporale) immaginario emergono dalla dimensione più profonda affiorando nella vasca della prima, la più superficiale, e si reimmergono al risveglio del sognatore.
Così i fantocci nella Dimensione Uno diventano soggetti poetici autonomi e senza peccato nella Due e dialogano con gli spettri della Tre cui fanno da “pontieri”. Bellissime e perfette in piena sintonia con il testo originale le rappresentazioni gruppali dei (bravissimi) fantocci che vestono i Fantasmi. Quelli, cioè, che la nostra Mente è in grado di evocare con efficienza ed efficacia davvero straordinarie. La materia dei sogni è l’unica realtà possibile per l’Anima. La Montagna dei Giganti, invece, è il luogo dei superuomini-macchine dove si produce il terribile rumore assordante dei complessi industriali, degli ingranaggi mostruosi delle città meccanizzate, entità senza cuore dove il Poeta è scacciato, reso miserabile e perfino trucidato. Solo nei luoghi magici “al limite, fra la favola e la realtà, nella Villa, detta “La Scalogna”, dove abita Cotrone coi suoi Scalognati” si evoca la verità dell’Immaginazione Pura dove gli incubi e i sogni si liberano da noi come ambre e recitano il dramma nel dramma, la commedia nella commedia. Per amore dell’Arte come di una Donna si possono perdere grandi ricchezze in denaro, perché il Poeta e la sua poetica trionfino: “Sei tutto e sei niente… e sei niente e sei tutto”! Scenografia e costumi fantastici. Compagnia entusiasmante. Teatro perfetto.
Aggiornato il 15 marzo 2019 alle ore 15:20