Un “non luogo”? La vita, per esempio. Soprattutto quando si presenta come una sorta di “bungee jumping”, ovvero di salto nel vuoto con l’elastico: scendi a picco poi, bruscamente, risali con uguale controspinta finché gradualmente le oscillazioni si spengono. Allora, guardando in basso una volta fermo pensi che potrai ancora avere una chance di amare la vita. A meno che… Quando i salti nel vuoto si fanno troppo frequenti a causa dei morsi di una depressione irreversibile e totalizzante che lamina l’anima, a quel punto la tentazione di tagliare l’elastico diviene molto più cogente dello stesso istinto di sopravvivenza. Il personaggio (certamente una sorta di Avatar, un “Soi-méme” dello stesso Autore) del nuovo libro di Michel Houellebecq, “Serotonine” (edizione Flammarion 2019), tradotto in Italia da “La Nave di Teseo”, è un agronomo stanco della vita e del suo lavoro inutile che vede un mondo agricolo tradizionale completamente eradicato dai suoi valori plurimillenari legati alla terra, svenduto e distrutto dalla globalizzazione delle multinazionali e dalle folli politiche di libero scambio praticate dall’Europa di Bruxelles.
Da questa immensa frustrazione contadina nasce dal basso una rivolta violenta, com’era accaduto per “Soumission”, preludio drammatico dei “Gilets Jaunes” che vede protagonisti agricoltori disperati e in via di estinzione, perché le nuove forze del mercato con i loro Ogm e le colture intensive rendono insostenibili i costi di produzione dell’agricoltura biologica. Il profitto non contempla nemmeno un po’ di amore per le attività umane di semina, raccolto e allevamento rispettoso del bestiame. Al contrario, si assiste a una forma di crudeltà mentale inaudita come quella che, concentrando in batterie malsane e orribili un numero spropositato di esemplari in spazi vitali inesistenti, li tratta con la stessa indifferenza con la quale i nazisti sterminavano le loro vittime nei campi di concentramento. Come quelli consideravano “pezzi” i cadaveri delle persone gasate che dovevano essere smaltiti da altri internati ebrei nei forni crematori, così la vita e il benessere animale è priva di qualsiasi valore non venale. Ma uccidere la tradizione significa sopprimere una civiltà contadina nella sua interezza. E lui, l’agronomo che ne intuisce la fine imminente, decide di interessarsi alle vicende di quei senza speranza conosciuti in gioventù, mentre continua ad annegare nel suo paradiso artificiale del Captorix, un antidepressivo che causa la scomparsa di qualsiasi stimolo sessuale.
Il sesso è così inseguito nostalgicamente nel lontano passato; ricordato con uno struggimento fuori dell’ordinario, che esce dalle orbite frontali per allungarsi nei corridoi dei passi perduti e dei rimpianti senza perdono. Donne amate e perdute, all’interno di un paesaggio terribilmente tormentato delle relazioni di coppia, degli ambienti di lavoro e della convivenza urbana. Emergono con grande potenza espressiva i fattori alienanti dei nuovi quartieri e delle immense torri verticali residenziali sperdute nella sconfinata banlieue parigina. Dappertutto si avverte immanente e minaccioso un drammatico vuoto esistenziale, da cui sorge prepotente l’esigenza di scomparire, fuggendo da tutto e da tutti estraniandosi in modo totalizzante da se e dal resto dell’umanità. Le armi da fuoco diventano l’unico sussulto di una vitalità ormai del tutto spenta: il dramma precipita quando l’uso non è più limitato a poligoni improvvisati e il collimatore inquadra nel mirino persone vere e perfino l’infanzia indifesa per fare spazio al desiderio spento.
Un libro intensamente drammatico, denso di Eros malato e di umor nero, con venature di pedofilia e tantissima passione per la tavola e il buon bere (un chiodo fisso in Houellebecq), descritta in mille raffinatissimi particolari da vero intenditore.
Aggiornato il 01 febbraio 2019 alle ore 19:32