Guzzanti futuristica  al Teatro Vittoria

Ne verremo mai fuori? Da “Merdolandia”, intendo. Abitata, un’Era politica fa (il monologo si svolge intorno all’anno 2041), dai “merdolani”, di cui l’autrice-regista Sabina Guzzanti esamina (per modo di dire) le vestigia digitali nel suo “one-woman-show”, dal titolo “Come ne venimmo fuori”: spettacolo satirico che va in scena al Teatro Vittoria di Roma fino al prossimo 18 dicembre. La nostra mattatrice parte (ma forse lei stessa non lo sa...) dal “pensiero lungo” di Achille Occhetto, ultimo disperato segretario del Partito Comunista Italiano. Proprio lui, l’artefice di quella “gioiosa macchina da guerra”, poi asfaltata dal successo berlusconiano del 1994, che oggi - più che ottuagenario - invita una sinistra divisa, litigiosa e frammentata (lasciata sempre più sola in questa nostra valle di lacrime maleodoranti, dopo Brexit, Donald Trump e la disfatta referendaria di Matteo Renzi) a sviluppare una riflessione quasi escatologica su quello che deve essere il suo ruolo unitario e diffuso in una società globalizzata. Il tutto, per non consegnare ai populismi di destra e di sinistra un popolo inferocito, guarda caso, proprio dall’incapacità dei governi socialisti di gestire i fenomeni emergenti della sicurezza, dell’immigrazione illegale e della disoccupazione giovanile dilagante.

Missione impossibile, evidentemente. Perché all’orizzonte mancano i padri rifondatori. Cosicché, nel suo buffo costume di scena e muovendo le labbra al riparo di una capigliatura elettrizzata e coloratissima, Sabina si limita a fare l’archeologa digitale, riesumando soprattutto le immagini di milioni di gattini pubblicati su Facebook e scorrazzando lungo l’allucinante messaggistica di WhatsApp che gli utenti di tutto il mondo si scambiano oggi con frenetica incoscienza e coazione a ripetere. Il nulla sotto forma di centinaia di miliardi di inutili bytes! Perché, com’è evidente, al potenziamento stratosferico della capacità comunicativa umana si accompagna l’assoluto inaridimento della capacità di pensiero - sia analitico che critico - dell’homo sapiens coevo. Ed è, in tal senso, piuttosto interessante il taglio dato dalla Guzzanti alla realtà della comunicazione-incomunicante, dove un certo giornalismo a sensazione si appropria di brani e ghiotte porzioni di post facebookiani, chiaramente disinformanti, a contenuto affabulatorio e antiscientifico, per farne oggetto di articolesse di prima pagina.

Si tratta, cioè, del noto loop della falsa informazione dominante, che si chiude involutivamente su sé stessa attraverso autocitazioni che costituiscono il dato di partenza e il risultato finale dell’analisi, in cui emerge l’obiettiva incapacità di percepire correttamente le cose del mondo reale. Così, domani come oggi, nella “brucovia” della mobilità futura sulla quale viaggia la Guzzanti, o nei vagoni lerci e maleodoranti delle odierne metropolitane urbane, i giovani sono quelli del disimpegno e del disinteresse per la politica. A ben ragione, vedendo le tracce confuse della civiltà dei merdolani, in cui il lavoro e un posto sicuro divengono miraggi per tutti e realtà per pochi. Lo spettacolo, però, ha una sua robusta matrice ideologica: la denuncia esplicita delle malefatte storiche del neo-liberismo. La Guzzanti procede in tal senso a una ricostruzione a tutto campo, tallonando le strategie capitaliste che vanno dai primi del Novecento a oggi, passando per ben due guerre mondiali.

Il tutto sarebbe stato folgorante, se alle battute fulminanti alle quali ci ha abituati Sabina con il suo recente “Tgporco” non si fosse dato uno spazio eccessivamente didascalico (uno “spiegone” eccessivo, insomma) al racconto scolastico di episodi paradossali e documentati. Come, ad esempio, quello del vecchio Milton Friedman, premio Nobel per l’economia, che nel 2005, dopo il passaggio dell’uragano Katrina (non per nulla questi terribili eventi atmosferici portano nomi di donna!), che ha allagato e distrutto gran parte dei quartieri popolari di New Orleans, propose al governo degli Stati Uniti di non ricostruire le scuole pubbliche della città, ma di risparmiare su quel tipo di costi elevati della ricostruzione, distribuendo “voucher” (vi ricorda nulla? Per esempio, il Jobs Act poletti-renziano?) alle famiglie colpite, per mandare i propri figli a scuole private. Morale della favola? Gli studenti della scuola dell’obbligo, già assai somari in tempi ordinari, divennero ancora più ignoranti, una volta affidati al circuito della formazione privata.

Quindi, l’argomentazione ironica della Guzzanti converge progressivamente e inesorabilmente verso la denuncia dell’espropriazione dei diritti democratici (quello di voto in particolare) dei “merdolani”, da parte delle élite di illuminati che fanno attualmente capo a Goldman Sachs e alle maggiori agenzie di rating del mondo. Il loro più acerrimo nemico? La sovranità popolare, così come fu consacrata dalle rivoluzioni francese e russa. Ma, chiediamoci, il pensiero unico del “politically correct”, molto praticato e mitizzato a sinistra, non è, forse, il vero cavallo di Troia di quella stessa Spectre della finanza speculativa mondiale?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:27