Follia e poesia al Teatro Eliseo

Chi e che cosa semina follia? I geni, certo. Questi ultimi e l’ambiente, assieme alle condizioni sociali, e anche allo stato affettivo del soggetto. Le cause, quindi, della follia sono come la polvere di stelle: merce ordinaria della fantasia, ma impossibile da reperire e falsificare in senso popperiano. Su quell’essenza, infatti, non si può condurre nessun esperimento in nessun luogo. Genio e follia si legano come l’acqua e la farina; s’impastano indissolubilmente, dalla nascita in poi.

Questo e molto altro ci racconta nella sua intensa drammaticità lo spettacolo in scena all’Eliseo (fino all’11 dicembre) “La pazza della porta accanto”, scritto da Claudio Fava, per la regia di Alessandro Gassmann. Lei, Alda Merini, la protagonista, è magistralmente interpretata da Anna Foglietta, alla quale si affianca un altro pazzo strepitoso, Pierre (un Liborio Natali attento esecutore delle mimiche della follia), che pur non avendo mai conosciuto ventre di donna le darà un figlio, tolto quasi immediatamente alla madre per decisione dei responsabili della struttura.

Molto penetrante e di sicuro effetto è la scenografia (Alessandro Chiti e Alessandro Gassmann), animata da monumentali pareti mobili che si scompongono e ricompongono per generare ora l’architettura pesante dell’esterno del “carcere” (detto eufemisticamente “casa di cura”), ora gli ampi spazi interni, in cui cinque altre recluse sono ingabbiate come animali da zoo dietro altissime grate d’acciaio che separano gli spazi comuni dai reparti di terapia. L’illusione del fantasmagorico (vero suggeritore del pubblico per immagini luminose) è assicurata dal velo retinato e sottile che separa la rappresentazione dalla quarta parete, proiettando talvolta il retro delle figure in scena, oppure giganti fiocchi di neve e fogli - tanti fogli bianchi - allegoria dei giorni della vita in cui gli occhi della parola hanno lasciato il posto a quelli dell’orrore e del dolore a seguito di elettroshock erogati senza risparmio di energia, per vibrazioni innaturali dei corpi, nell’inutile tentativo di “purificare” la mente dalle sue scorie.

La follia è sciagura e quest’ultima, quando non provocata da eventi naturali, è molto spesso figlia della pazzia degli uomini. Anche i sapienti (medici psichiatri, in particolare. Perfetto e umanissimo nel ruolo Angelo Tosto) possono vestire gli abiti del sacerdote che somministra durissime pene, credendole necessarie e indispensabili per il bene del torturato. Molto interessanti sono i reticolati e i diagrammi immaginari, controcorrente, non linearizzabili, che costruiscono il telaio dei rapporti sociali e umani tra le recluse e tra queste ultime e le loro badanti-kapò, talvolta colte nei momenti di pausa, lontano dalle loro “assistite”, pronte a spogliarsi delle austere divise per indossare i sentimenti delle donne semplici, normali, innamorate di uomini sposati o di marpioni che chiedono loro ipocritamente la famosa “prova d’amore”.

Tra questi flagelli, che ora allacciano ora fustigano le sfortunate donne provocando dolore fisico e psichico, come farebbero i tentacoli velenosi di una medusa gigante, svetta il rapporto filiale e commovente che si instaura tra Alda e il suo psichiatra, che sa cogliere - pur senza convertirlo in energia positiva e ricostruttiva - lo sconfinato talento della poetessa per le parole: un misterioso filato che ricama da solo le allegorie, le impunture dei caratteri, i colori della natura e le infinite sfumature dell’animo umano. Poi, la libertà che la Legge Basaglia dona a tutte costoro, affidandole alla pietà del sentimento di amici e congiunti.

Vale la pena non perderlo, questo spettacolo. Se non altro per capire bene che il Fool di Re Lear non solo dorme dentro di noi ma che, all’improvviso, può risvegliarsi e impadronirsi, proprio lui, del timone della nostra vita.

Per info e biglietti: Teatro Eliseo

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:31