“Ostaggi”, un apologo  sulla crisi di oggi

Sei un fallito? Allora spara pure al prossimo tuo, anziché a te stesso. Paradossale, ma accade nella vita. E non di rado, purtroppo. L’ostaggio della follia è come un granello allarmato che si muove o resta immobile sovrastato da una grande macina di pietra. Lui, la vittima incolpevole, non può controllare nulla di quanto gli sta accadendo tutt’intorno, divorato da una energia irragionevole, dopata spesso da anfetamine e disperazione e mai lucida nell’immediatezza delle sue orribili pulsioni distruttive.

Ricondotta sulla scena teatrale la si può riconoscere (in una commedia a lieto fine) nello spettacolo “Ostaggi”, che va in scena alla Sala Umberto di Roma fino al 20 novembre, scritto e diretto da Angelo Longoni. I personaggi contano assai più delle parole e delle situazioni, in questo caso. Perché ognuno di essi è portatore di storie particolari, costruttore approssimativo e improvvisato delle proprie emozioni mai sperimentate prima. Passiamoli in rivista, innanzitutto. Quattro hanno la divisa provvisoria dei carcerati in abiti borghesi: un Panettiere (Pietro Genuardi) ipocrita e vigliacco, padre di famiglia e pronto a sacrificare gli altri, pur di salvarsi. La sua, in fondo, sembra proprio farina del diavolo. Una “Signorina” (l’incontenibile ed esuberante Michela Andreozzi) che pratica il mestiere più antico del mondo, guadagnando in un giorno quanto il suo ex stipendio mensile di infermiera, votata con passione, un tempo, ad alleviare le sofferenze di persone non autosufficienti. Un singolare “vu’ cumprà” (Jonis Bascir), privo di permesso di soggiorno e appena sfuggito ai massacri siriani avventurandosi in mare con uno di quei barconi fatiscenti della speranza: un arabo, quindi, che trascina come una chiocciolina, o una Befana etnica, il suo sacco ricolmo di proverbi arabi, buoni per tutte le stagioni dello spirito e del tempo degli uomini. Infine, una adorabile “Ottuagenaria” (una Silvana Bosi perfetta nella parte), dolcissima, coraggiosa e delicata che riverbera su tutti la folgorante luce della sua saggezza e del pensiero maturo, umanissimo, benché afflitta da seri problemi cardiocircolatori e tiranneggiata con levità dalla propria figlia. Infine, il Bandito (Gabriele Pignotta): imprenditore fallito, distrutto da Equitalia e dalla burocrazia cieca e demente, che ha appena rapinato una banca e non è riuscito a farla franca, precipitandosi come una furia nella panetteria cercando di barattare la vita dei suoi ostaggi con la propria libertà. Ma la sua scarsa esperienza di bandito improvvisato alla sua prima uscita assoluta sulla strada del crimine lo rende simile (come la Signorina impietosamente glielo più volte farà notare, oltraggiandolo e dileggiandolo con audace temerarietà) a un povero guitto, che cerca di imitare le battute e la grinta da cinematografo degli attori cult della sua specialità criminale.

I tempi scenici scorrono tra farsa, dramma e ironia: gli attacchi di angina dell’anziana donna; un tentativo di crudeltà riuscito malamente (il Panettiere verrà gambizzato riportando solo una ferita molto superficiale); le battute fulminati della Signorina e le solite manifestazioni di impotenza di un sequestratore che la polizia, fuori dal negozio, si giocherà come un innocuo principiante incapace di contrattare e giocare fino in fondo la partita del duro a morire. Ma, in fondo, la stessa storia che ci raccontano spesso le carte giudiziarie di persone giudicate per sequestro di ostaggi, dove i rivoli sottili di umanità penetrano capillarmente e impercettibilmente negli strati più duri della minaccia letale, inquinandola e diluendola, per cui dall’atmosfera lugubre e plumbea si passa al respiro e ai battiti normali, con progressive concessioni al rilascio degli ostaggi più indifesi come anziani e bambini. Belli e spontanei sono poi i gesti di solidarietà e generosità che le persone sequestrate riescono a esprimere tra di loro, superando il terrore e la paura incombenti. Come pure gli sgradevoli e deplorevoli tentativi di chi, pur di salvarsi e di ingraziarsi il proprio carceriere, accetta di degradarsi svendendo all’ira e alla furia di quel nemico occasionale le persone più deboli e indifese.

Male e Bene, come sempre, imbastiscono la loro social dance di caratteri e di umori muovendosi all’interno di una bellissima e pacifica scenografia d’interni, impreziosita dal contenuto degli scaffali e dall’arredo del bancone di una fornitissima e ariosa panetteria artigianale. Adatto a un pubblico che vuole divertirsi senza mai smettere di pensare.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:29