“Vicini”... ma non troppo

Quanto sono lontani i... vicini? A volte, anche anni luce. Come un altro pianeta, che fa la ruota attorno ad un sole lontano, confinato in un’altra galassia. Ecco, “I Vicini”, commedia farsesca, illusionista e surreale di Fausto Paravidino (autore, regista e attore protagonista), che va in scena al Piccolo Eliseo di Roma fino al 24 aprile, è - diciamo così - una felice rappresentazione dell’universo parallelo dell’inconscio. Di uomini e donne, cioè, intrappolati in una sorta di adolescenza malata, aliena e avulsa dalle responsabilità dell’età adulta, malgrado che l’anagrafe, in realtà, reclami da loro esattamente l’opposto. L’Altrove, minaccioso, misterioso e stregato è lì, appena fuori dalla porta, spalmato sul calpestio del pianerottolo di casa. Un coppia giovane, convivente e senza figli assiste all’insediamento di un’altra coppia di vicini più o meno coetanei, subentrati nell’appartamento accanto a un vecchia proprietaria, morta sola, claustrofobica e barricata per tutta la sua vita in quella casa, che nessuno aveva mai visitato o visto.

Perfino quando “Lui” (Paravidino) si era azzardato una tantum a chiederle del sale, bussando ripetutamente alla sua porta, aveva ottenuto in cambio lunghi silenzi e un eloquente giro di chiavi multiplo, che doveva porre la parola “fine” a qualunque altra aspettativa o ipotesi di buon vicinato. Cambieranno ora le cose, visto che i nuovi venuti sembrano una coppia normale, anch’essa senza figli? Ma com’è inquietante quella prima presentazione di “Lei”, Greta, che va a trovare da sola i nuovi venuti, restando in quella casa molto più del previsto; mentre l’Altra, Chiara, la nuova vicina, si affaccia in sottoveste e bacia alla sprovvista Lui, perennemente avvolto in un pigiama raffazzonato, un po’ da reminiscenze carcerarie, un po’ da abbigliamento di una casa di cura per malattie mentali. Ma anche gli altri, i subentranti all’anziana vicina, hanno la stessa tendenza a mostrarsi senza veli.

Anzi: il primo trittico a quattro vede le due donne carezzarsi amorevolmente su un divano a tre posti, di cui il terzo laterale è saldamente presidiato dal vicino, uomo rozzo e di notevole stazza, mentre Lui si aggira smarrito per il salotto, non sapendo bene che cosa fare e dire. Poi, è tutto un uscire e tornare di Lei, Greta, di cui nessuno saprà bene che cosa faccia e di che cosa vivano i due conviventi protagonisti, frugati a frugarsi nell’animo (e mai nelle tasche) di un rapporto involuto, inceppato in cui i ruoli sono confusi, poco chiari. Lui, che prepara in cucina e che fa la spesa; Lei che si assenta a lungo, tornando a sera inoltrata. E l’altra coppia? Si contraddistingue per un rapporto altrettanto ambiguo tra i due, con l’uomo che cerca lo scontro verbale e fisico con “Lui” (Paravidino. Qui si noti simbolicamente come le figure femminili abbiano un nome, al contrario di quelle maschili), per far riaffiorare lo spirito del maschio, di colui che fa, decide e prende, piuttosto che girare a vuoto e lasciarsi guidare per mano da Greta, vittima e carnefice come tutte le donne forti, che poi si rivelano debolissime.

Affrante e atterrite, come in questo caso, dal fantasma della vicina scomparsa, che crea angosce anteriori e viene proiettata di notte e di giorno come un’entità misteriosa che sta dentro le mura confinanti: di lei scomparsa, della sua vita ignota nulla si conosce eppure qualcosa, o molto, traspira attraverso le pareti; riecheggia nel vuoto esistenziale di una giovane donna che non sa, o non trova la chiave giusta, per costruirsi un futuro con il suo uomo, lasciandosi coinvolgere nei meccanismi a sfondo erotico di Chiara e di suo marito. Paravidino prova a far ridere con la sua recitazione approssimativa, quasi casuale e una voce profonda, sincopata da marziano: un folletto imprevedibile che sembra volerci dire, nel suo modo un po’ ellittico, che gli estranei a noi stessi siamo proprio Noi! E lo fa mischiando le carte di due coppie di vicini coetanei e senza figli (molto sintomatico, quest’ultimo aspetto!), per cui la tendenza è proprio quella di restare infantili ben oltre l’età dell’adolescenza. 

Come si è Lui? E come si è Lei? Il problema, forse, è divenire genitori di se stessi, al fine di mettere fine a quell’allattamento artificiale cui sembra averci abituato per tutta la vita una modernità malvissuta e male interpretata! Insomma, spettacolo un po’ complicato ma di certo molto interessante.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:32