Le “belle notti” del '68 al Teatro della Cometa

Avete mai avuto, da giovani, delle “belle notti”? Spero di sì e spero anche che siano state molte. Quelle raccontate da un gruppo nutrito e scatenato di bravissimi attori in erba sono state, invece, essenzialmente due. A distanza di 32 anni l’una dall’altra. Nello spettacolo omonimo, in scena al Teatro Cometa di Roma fino al 3 aprile, per la regia di Claudio Boccaccini e testi (davvero esilaranti e commoventi!) di Gianni Clementi, si parla di Movimento Studentesco. Quello vero (e io lo conosco bene, dato che nel 1968 ero al primo anno della Facoltà di Architettura!) dell’occupazione dura e pura di uno dei licei più rinomati di Roma, frequentato dai rampolli della buona borghesia, è raccontato con un’inconsueta ricchezza di particolari e di figure stereotipate nella prima parte dello spettacolo, in cui si gioca a fare la rivoluzione e si agitano in aria i libretti rossi di Mao. Bellissimi sono i vari trittici e gruppi, come quello delle sentinelle, dei musici, dei pensatori e dei manovali tuttofare.

Studenti che si improvvisano cuochi, svolgono a turno le corvée per la pulizia degli ambienti e stampano manifestini al ciclostile. Ma la gioventù non è solo marxismo appreso male e in fretta, per mettersi al passo dei tempi, o l’identificazione con l’eroe mitico, come fu per molti milioni di giovani “il Che”. Al quale il gruppo intona (con grande perizia e convinzione) la sua canzone storica “Hasta siempre, Comandante”, composta da Carlos Puebla e nata come una risposta alla lettera di addio a Cuba scritta a Fidel Castro da Ernesto Che Guevara nel 1965, in cui il mitico Comandante dichiarava la sua intenzione di abbandonare l’isola e di andare a combattere altrove per la Rivoluzione. Dicevo che la “rivoluzione” del 1968 non è solo ideologica, se fosse mai stata veramente tale. Piuttosto, è lo scatenarsi libero delle passioni, il primo serio tentativo di emanciparsi dal modello tradizionale della famiglia e, soprattutto, di liberarsi della autoritas, quella irragionevole dei padri-padroni e quella oppressiva di un potere sordo ai cambiamenti e molto tardivo nel riconoscere nella gioventù il sale della terra.

Stare stretti in pochi metri quadrati di spazi dedicati ai collettivi e alle attività tematiche, dall’arte alla politica, agli approfondimenti sul sociale, rende turbinante la rotazione degli innamoramenti, che si fanno quasi circolari, intrisi di sano umorismo, di tentativi grossolani di approccio e tanta sessualità (soprattutto maschile, epidermica ed esplosiva), puntualmente respinta dalle “compagne”, scandalizzate da un maschio che tiene duro sulle sue posizioni ancestrali che lo vogliono prima conquistatore e poi riflessivo, solo apparentemente piegato alla necessità dei pari diritti uomo-donna, scarsamente e insufficientemente elaborati all’epoca. Poi ci sono i genitori, lontani e discreti, tranne naturalmente qualcuno un po’ troppo nostalgico del Ventennio. E non mancano momenti di autentica commozione, alternati a battute fulminanti, in cui ciascuno si fa nodo di una rete intricatissima, interagendo con tutti gli altri. Poi vennero Piazza Fontana e la “Strategia della Tensione”, che decapitarono quell’entusiasmo giovanile.

La seconda parte, invece, è decisamente spenta. La tristezza e la melanconia riecheggiano nelle luci notturne della scena (i giovani sono tutti coricati tentando un impossibile sonno comune), che denota la perdita quasi totale di valori, di profondità politica delle scelte. Sono proprio i telefonini, troppi, a portare di continuo l’esterno all’interno, mettendo in relazione costante le problematiche familiari che vanno a inquinare e intristire un momento che dovrebbe essere di pura felicità collettiva. Geniale la trovata della figlia mai nata, che illustra alla perfezione i cambiamenti generazionali e chi è figlio di chi. Di coloro, cioè, che abitavano la prima scena, che si sono sposati, separati, odiati, o che hanno fallito, sono passati dalla parte del nemico di classe, o si sono venduti intellettualmente ai padroni dell’informazione.

Bellissimo spettacolo. Giovani tutti da abbracciare forte. Fortissimo. E che dispiacere quando si chiude il sipario!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:35