Gli “anticlassici” al Piccolo e Grande Eliseo

Gli “anticlassici”? Visti a Teatro. Più precisamente, al Piccolo e al “grande” Eliseo. Da un lato “La Dodicesima Notte” di William Shakespeare (all’Eliseo fino al 20 marzo), con Carlo Cecchi regista e protagonista nel ruolo di Malvolio. Dall’altro “Edipus” di Testori, monologo in “grammelot” (dialetto ibrido italo-francese, reso celebre da Dario Fo) per la recitazione di Eugenio Allegri e la regia di Leo Muscato, in cartellone al Piccolo fino al 20 marzo. Perché - mi direte voi - mettere nello stesso paniere due opere così diverse e molto lontane nel tempo tra di loro? Per la semplice ragione che entrambe hanno risonanze che violano i loro rispettivi canoni classici. Nel caso di Cecchi- Malvolio, gli attori sono trattati alla stregua di altrettante figurine di un carillon immaginario, le cui reminiscenze si concentrano in una piattaforma rotante; nei costumi e, soprattutto, in una recitazione decisamente “anti-shakespeariana”, dove il pathos svanisce per lasciare spazio a una dizione semi-meccanica e parallelamente burlesca, sul modello rodato delle maschere veneziane e napoletane.

In questo senso, Sir Andrew, spasimante della contessina Olivia, interpretato da uno scatenato Loris Fabiani, ha l’impronta macchiettistica per eccellenza, così come i suoi due sodali, che si prodigano in ogni modo, con la complicità delle servetta Maria, per far cadere in trappola lo smisurato Ego di Malvolio, il responsabile della servitù della casa. Ed è soprattutto lo steso Cecchi a imprigionare il protagonista, presuntuoso e arrogante, in un corpetto ingessato, muovendosi sulla scena con movimenti lenti, fino all’esasperazione, contrapposti a quelli frenetici dei due gemelli (fratello e sorella) sui quali ruota l’impianto e la trama dell’intera commedia. Flemmaticità con la quale collimano i gesti misurati, nobili del Duca Orsino e della contessa Olivia. E non importa che così facendo il racconto si faccia confuso, la trama quasi illeggibile (ed ecco qui la chiave “anticlassica” di cui si diceva): come nel Teatro Popolare dei Pupi ciò che conta è l’ensemble ritmico.

La stessa cadenza di Malvolio contraddistingue la comicità della voce stentorea, improbabile (un po’ alla Carmelo Bene, per chi è meno giovane) del “fool”, il buffone di corte, paradosso e paradigma della concezione teatrale shakespeariana, per cui la verità può essere pronunciata soltanto da chi è folle. L’anticlassicità di Cecchi, però, riesce a rendere piuttosto bene l’ambiguità sessuale, incardinata nei personaggi dei due gemelli: lei, che si traveste da paggio eunuco a servizio di Orsino di cui è teneramente innamorata ma della quale, a sua volta, si innamora perdutamente Olivia, che rifiuta sdegnosamente la corte di Orsino. Lui, il gemello, che prova sentimenti un po’ oltre la pura amicizia maschile per il capitano della nave che lo ha salvato dal naufragio.

L’anticlassicità di Edipo, invece, è addirittura gridata, senza infingimenti di sorta, nello spettacolo dal titolo omonimo. Trascinata, addirittura, questa violazione dello schema, nella scia della decadenza di un carrozzone di guitti, di cui è sopravvissuto il solo capocomico in là con l’età, provvisto di un ventre batraciano piuttosto pronunciato e costretto a interpretare i tre ruoli principali (la madre, il padre ed Edipo, il loro figlio), parlando con altrettanti manichini vestiti in modo molto approssimativo da re, regina e eroe. Nonostante l’atmosfera burlesque, che un grammelot spassoso e irriverente impone all’intera rappresentazione monologante, il dramma vero dell’incesto si fa folgore quando Allegri-Edipo arriva a possedere il manichino di sua madre, momento in cui l’atto della penetrazione e del coito è descritto nel modo più crudo possibile, pur nell’esoticità di parole semi-onomatopeiche, colorate da una recitazione incalzante, come un sudario del piacere dove il godimento precede solo di qualche istante la morte violenta di entrambi gli amanti contro natura. Particolarmente divertenti sono le prime fasi di un giudizio, in cui un papa-re amministra la giustizia e punisce con la decapitazione i reati contro la religione e la buona decenza commessi da tre personaggi del popolo. Lodevole è la capacità trasformistica di Allegri che spoglia, riveste, fa agire come marionette i suoi manichini-attori, addobbati con i soli vestiti, cappelli e parrucche che il loro ventriloquo indosserà in scena, quando verrà il loro turno a parlare.

Insomma, come si dice: provare per credere! Si ride di cuore, questo sì, in entrambi i casi.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:28