Un “classico” di Miller al Teatro Argentina

Ancora Arthur Miller al Teatro Argentina di Roma. Fino al 20 dicembre va in scena “Morte di un commesso viaggiatore”, per la regia e la recitazione da protagonista di Elio De Capitani. Non breve, né banale, direi. Forte sì, come può esserlo un ramo di quercia aggredito da funghi parassiti, che mette fuori solo foglie ingiallite, malate. Senza più frutti. Quel ramo, nella famiglia del commesso Willy Loman, è una parte di lui ma molto di più quella dei suoi due figli maschi, Biff e Happy. Tutti minati dallo stesso male americano: la voglia di successo, di... “sfondare”. Perché, in fondo, i “sorrisi valgono quanto i diamanti”. Un grande atleta di successo, con un bel sorriso (come Willy si illude che sia Biff) vale un conto in banca milionario. In nome e nel mito dello zio, fratello di Willy, arricchitosi con i diamanti dopo una vita avventurosa e il cui fantasma perseguiterà il commesso in quegli ultimi due suoi giorni di vita.

Perché tutto, ma proprio tutto nella famiglia Loman deve e può funzionare a meraviglia. Il rapporto tra marito e moglie ad esempio. Lei (interpretata dalla moglie vera di De Capitani, la bravissima Cristina Crippa, nel ruolo di Linda) è all’apparenza idilliaco: si amano teneramente e lei, dolce e remissiva, lo consola di tutte le delusioni e dei fallimenti, tenuti ben nascosti, questi ultimi, soprattutto agli occhi dei figli. Che, però, ci vedono benissimo. Ambedue, falliti come il padre. Biff cleptomane e nevrotico, si adatta a umili lavori, mentre il fratello è un impiegatuccio di una piccola ditta locale. Ma tutti devono fingere di essere qualcos’altro. Finché, a due giorni dalla morte del commesso, tutto precipita. Il ramo marcito cede di schianto, e i protagonisti, nessuno escluso, si trovano con le scarpe nel fango, che le piogge e le intemperie della vita hanno accumulato ai loro piedi.

Willy, per conto suo, scopre quanto sia cambiato il mondo, in quegli anni post-crollo di Wall Street del 1929. Non è più la legge non scritta della stretta di mano, della parola data (senza notaio e avvocati agguerriti per il rispetto delle clausole contrattuali), come accadeva “prima”, quando a gestire l’azienda c’era il padre dell’attuale titolare. Ora, contano solo gli... “affari”. E un commesso un po’ attempato, con scarso fatturato, stanco di partire per qualsiasi destinazione, con macchine da guidare sempre in bilico - causa invecchiamento - tra l’officina di riparazioni e i pezzi di ricambio, non produce reddito per l’impresa. È, in fondo, un assistito. Così Willy viene messo fuori, senza tanti complimenti. E deve chiedere aiuto all’unico amico vero, con il quale si è sempre scontrato, litigando furiosamente.

Ma il vero, terribile dramma è giocato nel rapporto confuso, equivoco e malsano tra padri e figli. Perché i primi puntano sui secondi, come si farebbe con un purosangue alle corse dei cavalli, ben sapendo quanto le scommesse siano tutte truccate! Come in milioni di famiglie, il successo, il mito del danaro è messo costantemente dinnanzi al carro dei buoi, perché gli adulti vogliono, in fondo, vivere anche le vite di chi è nato da loro. Ma non si può e non si “deve” fare, grida Miller, attraverso i suoi personaggi! Perché se ne distruggono anzitempo le speranze. Non si lascia il tempo, lo spazio e l’intuizione affinché i loro talenti vengano scoperti, da loro stessi o da chi ha la funzione privilegiata di educatore. Ma ancora peggio, molto peggio, in quelle milioni di monadi familistiche, incooperative, edonistiche ed egoistiche, viene a mancare il sale della vita. Il sapersi dire, cioè, semplicemente, banalmente: “Papà; figlio mio, ti voglio bene!”.

Così i piani del falso prevalgono e soffocano quelli del vero. Perché, in fondo, tutti sanno che un commesso, che passa il 90 per cento del suo tempo lontano da casa e da sua moglie, qualche avventura femminile (fissa o variabile) è normale che l’abbia. Linda, grandiosa, lo sa. E tace. Sa fare la cernita e la tara. Quell’uomo l’ama e lei lo ricambia. Si spezza la schiena per portare il pane in famiglia. Lei lo sa e lo stima per questo. Ma, un figlio che scopre il padre adultero, lui non lo capisce. Lo giudica come un traditore per il resto della sua vita. E così il ramo di quercia vien giù, fragorosamente.

Grandissimi complimenti a tutta la compagnia e ai due attori protagonisti. Da non perdere. Tre ore e un quarto di spettacolo passano presto, grazie a loro!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:30