“Tempeste solari”   al Teatro Eliseo

Siete i nuovi "connected-addicted"? Sì, insomma, dico proprio a Voi, quelli ammalati gravi di.. connettività, che state decine di ore sui social, whatsapp, e-mail, etc.: presto una tempesta solare prossima ventura vi sterminerà! Per giorni e giorni, infatti tutti i vostri gioielli tecnologici saranno ciechi, muti e sordi. Chi si salverà, dunque? Quelli che ancora vanno a perdere tempo e giornate intere nelle biblioteche. Come il protagonista (il padre, interpretato dal bravissimo Ugo Pagliai), illustre professore di storia, scrittore di libri tanto voluminosi quanto indigesti, che avrebbe potuto campare altri cento anni, se un male incurabile non l'avesse già condannato. Di che cosa sto parlando? Ah, già.. Dimenticavo. Al Teatro Eliseo di Roma va in scena uno spettacolo davvero molto bello, "Tempeste Solari", intenso e commovente, scritto e diretto da Luca De Bei. I testi, finalmente, sono pieni di significati e di energia intellettuale che contamina tutti per semplice.. induzione. I mali comuni e gravissimi di una società occidentale -sempre più in disfacimento- sono serviti in un braciere ardente, piuttosto che su di un piatto freddo.

Ma, il vero regista occulto è "Kronos". Il "Tempo". Tiranno e boia pietoso. Che seppellisce, vanga e rivanga, giocando dispoticamente con uomini, pensieri, cose e ricordi. Sì, anche quei ricordi "da morire". Quelli che, per esempio, non si cancellano, come la morte di una giovinetta bella e amata profondamente, che si acconcia da Virgilio per accompagnarti oltre la vita terrena. Lei, che cerchi di raggiungere, al culmine della tua demenza, prima che il suo destino l'adagi in un sarcofago di acqua salata. Tu, che hai tentato di dimenticarla per tutta vita, nascondendo la sua fotografia nel libro per te più prezioso. Sempre Tu, che a quel ricordo sovrapponevi un amore che non poteva mai nascere per una moglie fattrice, di cui per puro disinteresse non solo ne ignoravi -pur conoscendoli benissimo- tutti i tradimenti, ma alla quale hai lasciato amministrare un'educazione malata ai tuoi due figli. E soprattutto al maschio, Alessandro (Mauro Conte), cresciuto immaturo e affettivamente instabile a causa della ferocia e della profonda insoddisfazione materna. Lui, che si sente ora da adulto un "diverso" in tutti i sensi. Che va con uomini maturi, pur amando i giovani maschi della sua età. E lei, la figlia femmina, Giulia (Pia Lanciotti), instabile psicanalista, vera mamma premurosa di un fratello disadattato, che regala a se stessa un uomo, un marito, proprio quel Carlo (David Sebasti) che scopre di amarla dopo mille tradimenti e un divorzio doloroso, che in nulla recide il loro legame profondo.

Lo scenario è una particolarissima realizzazione del regno di Kronos: da due grandi finestre appaiate, scolpite obliquamente e letteralmente "squadernate" escono ed entrano -scorrendo su altrettanti binari- gli arredi di scena e le "figurine" viventi che le animano, come altrettante ombre cinesi. Così, i quattro membri della famiglia, con il solo inserimento esterno di Marika (Chiara Augenti) amante di Carlo e sorta di oracolo vernacolare, partoriscono i loro tradimenti, frustrazioni e amori che fuoriescono dalle rispettive menti e anime, ora come veleni, ora come vettori di un'emotività struggente e dirompente. In risposta, lo spettatore si abbandona a un pianto silenzioso, catacombale. Perché l'opera di De Bei scivola nel profondo della psiche di ciascuno, inchiodandola impietosamente come una croce a quel suo centro di gravità rappresentato dal rapporto tra genitori-figli, divenuto ormai filamentoso e non più spessa corda di ancoraggio alla tradizione millenaria, ma semplice scia biologica di un arido legame genetico.

Così, un'inguaribile madre vanitosa (una originalissima Paola Quattrini), ormai in là con gli anni, ma per nulla rassegnata agli insulti di Kronos -grazie a qualche inutile e patetico ritocco di chirurgia plastica-, vede il figlio aprire impietosamente il Vaso di Pandora del suo vissuto. Quel suo Alessandro così "diverso", senza più freni inibitori e deciso a vendicarsi dell'affetto avaro e malato della madre, le mostra con brutalità le grandi macchie nere, viscide e oleose che testimoniano un percorso genitoriale denegato, cinico, frivolo, violento e inconsistente. Solo Giulia (che impersona la natura salvifica della positività al femminile), "diversamente" sofferente, saprà mantenere tesa la sua rete protettiva, consolando un padre in fine di vita e un ex marito bambino, che ha ottenuto il successo grazie alla menzogna e all'artificio.

Testimonianza artistica esemplare, questa di De Bei. Da non mancare.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:22