“Hanno tutti ragione”,   un Forte applauso

Davvero “Hanno tutti ragione”? Lo dice nel suo monologo Iaia Forte, mattatrice solitaria dello spettacolo omonimo, in scena al Piccolo Eliseo di Roma dal 7 ottobre al primo novembre. La pièce è un adattamento del romanzo di Paolo Sorrentino (presente alla prima stampa, come altri big dello spettacolo, Achille Occhetto “compreso”!) e narra di un cantante marcescente che racconta un po’ tutta la sua vita sballata, al di sopra delle righe. E Iaia Forte, leggera come un’aquila nel suo vestito di napoletanità parlata e mimata, scava con la sola forza del pensiero questo particolare tipo di umanità e della sua corte di fan ululanti, di soggetti vari che si accalcano per sfiorare il mito della celebrità a ogni costo. A renderci disorientati e ammaliati da quella sua veste sconcia e patetica è proprio quel modo di muoversi, un po’ sguaiato e molto spesso disperato del protagonista Tony Pagoda che si guarda il ventre rigonfio, confessando la sua bulimia di cocainomane amante della “bianca” signora.

I passi di danza appena accennati; la coreografia di un’aspirante soubrette (la sola in scena, seppur muta, a far da corona all’unica voce recitante), in là con gli anni e sempre in lite con la bilancia; le parole di canzoni inventate per la bisogna; tutto ciò ci parla di un soliloquio allucinato, di colui che è stato battezzato come artista, ma si regge drammaticamente sul suo vuoto interiore. Esilaranti sono i suoi pezzi al telefono con una napoletanissima moglie lontana, che Pagoda odia visceralmente, pur chiamandola “Amore”, in piena fellatio con una delle tante prostitute con cui alimenta quotidianamente la sua voglia di vizio e trasgressione. Moglie, che il cantante confonderebbe con il bianco pianoforte a coda che arreda la sua casa, se non fosse per il fatto che l’altra... “cammina”! Sul modello dell’ossimoro, insomma, del “Quando parli con me fai il piacere di starti zitta!”.

Perché la vita, anche all’apice dell’effimera fama, può essere (e spesso lo è!) “fallimento”. Il Sé interiore non può mentire al “pupo” pirandelliano, colui, cioè, che mostriamo all’esterno come ventriloqui per arrestare l’attenzione altrui alla nostra sola apparenza. Dice la Forte, animando il Pagoda: “È un’apnea la mondanità: si galleggia semplicemente”. E si tira su, come la cocaina, anche inebriandosi della celebrità altrui: il sogno-incubo di un povero lazzarello napoletano che vede assistere al suo concerto, nel prestigioso Radio City Music Hall, proprio “Il Mito”, “The Voice”.

Il Frank Sinatra amico dei grandi boss, che indossa un anello ben più prezioso del suo, da appena qualche milione di lire (e che gli verrà rubato dalla prostituta della fellatio, mentre Pagoda parla al telefono con sua moglie), colto - pure lui stremato dai suoi stessi vizi! - mentre armeggia con un massiccio accendino di platino, dopo aver sfilato una sigaretta dal pacchetto che porta il marchio “Sinatra”. O la vita. Che cos’è la vita, dice Iaia-Tony. Altipiani di polvere bianca. Ed è la tua stanchezza la vera compagna della libertà, dato che quest’ultima chiude un ciclo che appare quasi inarrestabile di dissoluzione-disperazione.

Perché, nel finale, stanco di tutto puoi dire che “No, tu non partecipi!”. Punto. Alla fine dell’imbuto non trovi che una scritta immaginaria del tipo: “Ma chi credi di essere, grandissima testa di... !”. Ecco: missione compiuta, Iaia. Abbiamo capito!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:29