Don Giovanni in Bauhaus

Però... geniale quel Timi! Sì, proprio lui... quel Filippo andato in scena all'Argentina di Roma con lo spettacolo "Il Don Giovanni - Vivere è un abuso, mai un diritto".

Partiamo, allora, con la scenografia e i costumi. Tutto molto bello: i colori scelti del resto, contrastano e respingono ai limiti del cosmo l'idea della Morte Nera. Il Diavolo stesso, per Timi, veste... Prada! Con una tutina elegantissima, color rosa shocking, sormontata da un cappellino nazi, con svastica al centro, che fa tanto dannazione allegra, in cui il Diavolo trova la sua apoteosi sulla terra, con Hitler suo tragico burattino esecutore. Con Timi, le sue lussureggianti sceneggiature (bellissimo il pannello mobile di stoffa, a tutta parete, che vede riprodotto il Giudizio Universale della cappella Sistina, di michelangiolesca fattura!), i suoi costumi ipergeometrici-surrealisti, ho rivissuto un mio (ormai lontano, ahimè!) percorso culturale di giovane studente d'Architettura, a Roma, quando, per la prima volta, mi trovai a sfogliare le immagini sorprendenti e suggestive del Bauhaus di Walter Gropius a Weimar e, soprattutto, a visionare le coreografie di Oskar Schlemmer (1888-1943), con il suo affascinante progetto per il Triadisches Ballett.

Nel Triadisches, infatti, Schlemmer assegna a ciascuno dei tre atti un colore e un umore differenti, per descrivere l' allegro e il burlesco, ovvero il mistico e il fantastico. Timi, sarto esagerato, progetta i costumi dei suoi servitori e le vesti delle donne con superfici ipervolumiche, coloratissime: le figure viventi femminili indossano gonne e abiti giganteschi, calzando vertiginose scarpe trampolo; i puppet maschili, invece, si vedono esageratamente amplificata la parte volumetrica del giro vita e del sedere, montando, al contrario, scarpe basse, da ballerina effeminata. Schlemmer, suo precursore e maestro, vedeva il movimento dei puppets (pupazzi-marionette, di derivazione cubista), come momento estetico superiore a quello degli esseri umani, facendolo risaltare, affinché "il mezzo di ogni arte fosse artificiale, esprimendo ciò attraverso gli stili di movimenti e l’astrazione del corpo umano".

Poi, Timi veste (spesso, si sveste, come il maggiordomo gay, francese, di Donna Elvira, che è, poi, Satana camuffato) enormi mantelli fatti di piumaggi ipernarcisistici, o esageratamente regali, ricchissimi di decorazioni floreali multicolori, che sono la rappresentazione della forza stessa di allontanamento e repulsione dall'idea di morte, in un corpo vivente perfettamente androgino, che vuole solo consumarsi, non come una candela, ma come un fuoco di artificio, caldo, violento e nichilista, come mai avventura umana è stata, finora, in grado di rappresentare. Assistito da un corpo di... ballo e recitazione di primissima fattura, Timi giganteggia, tirando fuori la sua natura artusiana, del Teatro dell'Assurdo (cioè, un po' Antonine Artaud, e molto Kostantin Sergeevič Stanislavskij ), che crea, si intride e reagisce in diretta con gli umori del pubblico. Spassosissimo il suo girovagare per la platea (Don Giovanni non si può smentire!), alla ricerca di un bacio da belle sconosciute (qui, gli dirà un po' male, stavolta, cadendo vittima della risposta travolgente di una sua giovane e avvenente fan in incognito che, letteralmente, gli sale in... braccio e lo divora di baci!)

Anche in Timi quelle “figurine” diventano pathos geometrico, in cui maschile e femminile si mescolano e si scambiano i ruoli: gli uomini sono iperaffettivi, palesemente effeminati; mentre le donne rappresentano veri mostri di crudeltà e possessività, come nel caso delle gigantesse Donna Anna e Donna Elvira. La prima, orfana del padre ucciso da un indovinello, banale e insolubile, postogli da Don Giovanni (strabiliante la scelta di Timi di dargli una voce sintetica, stridula e urticante, come quelle del comandante nero di Guerre Stellari!). Lei, Elvira assetata di vendetta, armata di una lunga frusta simbolica, utilizzata come attrezzo nella ginnastica artistica, è rappresentata come una vera kapò e persecutrice del suo spasimante: quest'ultimo, denuncerà pubblicamente il suo lato sadomaso, accettando il gioco crudele della sua amata. Perché Timi, con lui e con i personaggi della servitù e del promesso sposo di Zerbina, intende giocare, provocatoriamente, alla scomparsa del maschio, alla negazione del se stesso Don Giovanni, concetto in re ipsa mistificato e mistificatorio della dannazione di un corpo umano, coperto di voglie imperiture, come le piaghe di un lebbroso!

Solo una, Zerbina (interpretata da un'attrice deliziosa, bravissima e sorgente di una simpatia prorompente, che impatta sullo spettatore impetuosa e travolgente, dall'alto della sua cima di purezza, rocciosa e dolomitica), vestita nella sua veste sempre lussureggiante di damina rotante, schiava liberata di un carillon inceppato.

Lei, che sfugge alla conquista del Don, privo di freni inibitori (che lo fa transitare per le sue molte vite apparenti di assassino, mentitore, ladro di amore). Zerbina, creatura positiva, terrena e sconfinatamente seducente nella sua semplicità, che preferisce all'abbaglio della ricchezza il suo guardiano di maiali, vuoto di testa, robusto come una colonna dorica, ma dotato di un mini-pene (com'è perfido, qui, il nostro bravo Don Giovanni-Timi!), compensato da una voce baritonica e dall'arroganza di un rozzo bravo dei Promessi Sposi.

 

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 15:18