Il libro del bambù  per capire chi siamo

Che cosa sappiamo, che cosa crediamo di conoscere del Giappone e della Cina medioevali, a parte quelle fascinose ricostruzioni a cavallo tra lo storico e l’immaginario diffuse dalle “Chambare”, in cui si sono specializzati registi come Kenji Misumi, Hiroshi Inagaki e il grandissimo Akira Kurosawa? Sì, certo, poi ci sono i capolavori dell’arte “Yamato-e”, o la saga de “La storia di Genji”, illustrata da Tawaraya Sotatsu, e le famose immagini “del mondo fluttuante” del maestro Katsushika Hokusai. Il Medioevo tra lo storico e il fantastico di “Ran”… E sì che non mancano personaggi mitici capaci di accendere fantasie e far sognare: come l’imperatrice Jongu, una vera onna-bugeisha, che guida nientemeno che un’invasione della Corea, o la a noi più vicina Nakano Takeko, caduta nei campi di battaglia della Guerra Boshin…

E magari qualcuno ricorderà anche una bella “fantasia” di Ermanno Olmi, quel “Cantando dietro i paraventi” (2003) ambientato nella Cina imperiale e ispirato alla vera storia della piratessa Ching, con tra gli altri un Bud Spencer cui non diresti mai, che interpreta il ruolo del vecchio capitano Andorrano, che con accento portoghese “monologa” sul fascino della pirateria… Chi dimostra di saperla lunga, e di padroneggiare vero e verosimile, fantasia del racconto in un contesto accurato e preciso, è il serbo Vladislav Bajac. Personaggio poliedrico e indubbiamente fuori del comune: giornalista, ma anche romanziere, e poeta tra i più tradotti, e a sua volta traduttore; e autore del fluviale “Il libro del bambù”, pubblicato per la prima volta a Belgrado nel 1989, e da allora riedizioni su riedizioni (“Knjiga o bambusu”, reso in italiano da Helena Haloper, Besa edizioni, pagg. 354, euro 20).

“Il libro del bambù” si dipana tra la Cina e il Giappone del XVII secolo, anni segnati dal delicato e precario equilibrio di due imperi, che convivono a fatica; da una parte ecco il giovane Oson, uno shogun che perde il potere per un’ottima causa: l’amore. Dall’altra Senzaki: un samurai che Oson ha ingiustamente condannato. Le due vicende procedono parallele: Oson, alla ricerca di se stesso, approda in un monastero zen e dai monaci riuscirà ad attingere saggezza e sapienza; Senzaki sopravvive rocambolescamente alla condanna a morte e si reinventa una vita dedicandosi allo studio delle infinite, straordinariamente benefiche proprietà del bambù: metafora e simbolo che al lettore non sfuggirà certamente.

Samurai e saggi monaci zen sono con tutta evidenza “pretesti” utilizzati dall’autore per riflessioni che vanno al di là delle vicende narrate; e s’istaura un “dialogo”, una complicità con il lettore, che resta come stregato dagli imprevedibili “fili” narrativi: luoghi e tempi in cui il potere di uno shogun era indiscusso e illimitato, quanto i campi di una pianta di straordinaria potenza e utilità, appunto il bambù. Bajac sa coniugare una scrittura sapiente a un raffinato intreccio del racconto, e veniamo condotti con “leggerezza” a un intrigante conoscenza con la cultura, la tradizione e la quotidianità orientale. E, a ben vedere, con noi stessi.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:36