A Palazzo Barberini con Paolo Sorrentino

La rassegna culturale il “Gioco serio dell’arte”, giunta alla sua VIII edizione, nel suo primo appuntamento di quest’anno ha ospitato il regista cinematografico Paolo Sorrentino, autore di film importanti come “Il divo” e “La Grande Bellezza”. L’incontro culturale è avvenuto nella Galleria di Palazzo Barberini, luogo pieno d’incanto e bellezza, sulla cui volta vi sono gli affreschi realizzati da Pietro da Cortona, nel corso del quale il regista napoletano ha avuto una conversazione sui temi del suo ultimo film con l’attore Massimiliano Finazzer Flory e con lo storico dell’arte Michele Di Monte.

Nel suo prologo al confronto sui temi presenti nel film di Sorrentino, Finazzer Flory ha osservato che esteticamente il racconto della “Grande Bellezza” ha inizio di mattina, con il turista che sviene al cospetto delle bellezze di Roma, contemplate dalla vetta del Gianicolo, e si conclude al tramonto. Infatti il film ha uno sviluppo narrativo che evoca l’idea del viaggio, perché la nostra vita terrena ha un percorso diviso in due momenti fondamentali, la nascita e la morte. Citando il libro di Louis Ferdinand Celine “Viaggio al termine della notte”, Finazzer Flory ha notato che il viaggio è capace ed è in grado di accendere la fantasia e l’immaginazione umana. Nel film di Sorrentino “La Grande Bellezza”, nella prima parte viene descritta in modo simmetrico sia la Roma eterna con le vestigia e i monumenti del mondo antico sia lo squallore e il degrado della vita quotidiana del nostro tempo.

A questo proposito, rispondendo a questa domanda, Sorrentino ha ammesso che la sua ambizione estetica era quella di superare la dicotomia tra sacro e profano e mostrare l’immagine di Roma del nostro tempo con grande realismo. Il critico Michele Di Monte ha stabilito un confronto molto intelligente tra la visione panoramica di Roma nel film di Sorrentino e il modo in cui nella pittura il paesaggio romano è stato raffigurato. A questo proposito ha illustrato il celebre quadro di David Roberts “Vista panoramica di Roma”, ricordando come, fin dalla famosa ascesa al monte ventoso in Provenza compiuta da Francesco Petrarca, il panorama contemplato dall’alto abbia avuto un significato simbolico e spirituale, volto a liberare l’uomo dal peso della materia.

Per Finnazzer Flory nel film viene descritta non, come alcuni hanno creduto, la crisi italiana, ma la deriva ineluttabile che sta conducendo il nostro Paese verso la decadenza. Infatti, dopo le scene iniziali, si vede nel film una lunga sequenza che mostra una festa chiassosa, nella quale si coglie un concentrato di volgarità e di bruttezza. A questo proposito, Sorrentino ha risposto a questa annotazione sostenendo che non vi è una netta separazione tra la dimensione del brutto e del bello, ma diverse gradazioni della bellezza. Anche nei luoghi in cui la vita viene dissipata, in attività inutili e irrilevanti come le feste che lui ha rappresentato nella sua opera, si può percepire, ha notato il regista, un barlume di umanità e bellezza. In riferimento a questo punto essenziale di questo incontro culturale, Michele Di Monte ha mostrato il quadro di Herman Posthumus, nel quale sono raffigurate le rovine di Roma ed al cui centro vi sono due piccole e minuscole figure umane.

Questo quadro di Posthumus, per il professor Di Monte rivela come il tempo ha la forza inarrestabile di consumere e annientare ogni cosa, però, anche nelle rovine dei monumenti, che testimoniano la grandezza del passato, si può cogliere un elemento di bellezza che sopravvive al mutare delle epoche. Nel film è molto presente il sentimento della bellezza e della malinconia, che deriva dalla constatazione che ogni cosa ha una durata breve ed effimera. Infatti, rispondendo a questa considerazione di Finazzer Flory, Sorrentino ha affermato che voleva nel suo film rappresentare l’attimo che racchiude in sé e nella sua brevità la felicità umana. Una dimensione molto importante che affiora nel racconto della “Grande Bellezza” è quella legata alla grazia femminile.

Seguendo un percorso volto a stabilire un gioco di specchi tra il film di Sorrentino e la pittura dei grandi artisti del passato, Michele Di Monte ha mostrato il celebre ritratto della Fornarina realizzato da Raffaello Sanzio. Per Di Monte questo ritratto, in cui è effigiata la figura di una donna bellissima secondo il giudizio che ne diede Flaubert in un suo libro, è divenuto la icona della grazia femminile. La pittura, in base a quanto ha scritto Plinio nel suo libro “Storia naturale”, nasce dal bisogno di surrogare la persona desiderata con l’immagine frutto della creatività umana. L’immagine pittorica surroga la persona reale, di cui si prova con dolore l’assenza e la mancanza. La pittura, e questo per Di Monte vale anche per il cinema, deve essere considerata la proiezione di un’assenza e di una mancanza. Finazzer Flory ha confessato di avere provato irritazione e fastidio, dopo avere visto il film di Paolo Sorrentino.

Infatti una opera d’arte non deve limitarsi a suscitare soltanto la contemplazione da parte dello spettatore e di chi ne voglia fruire, ma deve, secondo Finazzer Flory, con le sue immagine e intuizioni provocare e generare reazioni e pensieri critici sul mondo e le cose da cui siamo come essere viventi circondati. Questo dialogo, in cui si è avuto una lettura ed una interpretazione comparata tra pittura e cinematografia dei contenuti del film di Sorrentino, è apparso molto profondo e utile ad esplorare la dimensione estetica dell’arte e della bellezza.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 15:15