Mastro Don Gesualdo applausi al Quirino

Vi sono libri che più di altri, per la loro ricchezza tematica e per la capacità di rappresentare ed evocare un momento della storia e del passato, si prestano ad essere adattati per la rappresentazione scenica e teatrale. È questo il caso di Mastro Don Gesualdo di Giovanni Verga, andato in scena al teatro Quirino di Roma (regia di Guglielmo Ferro).

Questo romanzo del grande scrittore siciliano, un classico della letteratura meridionalistica italiana, appartiene al ciclo dei testi dedicati alla figura storica dei vinti, di quanti cioè sono stati travolti dal destino crudele e spietato. Il libro è importante, poiché rispetto ai “Malavoglia”, in questo grande testo letterario Verga sperimentò felicemente un metodo per dare vita a una descrizione impersonale della realtà siciliana, da cui trasse origine la corrente letteraria del verismo, simile e per molti versi omologa poeticamente al naturalismo dei grandi scrittori francesi. La vicenda narrata nel libro, che rivive sul palcoscenico grazie all’adattamento teatrale realizzato da Micaela Miano, è ambientata a Vizzini, un piccolo paese che si trova in Sicilia.

 Mastro Don Gesualdo, costituisce il nucleo essenziale intorno a cui si dipana la vicenda drammatica. Nella prima scena compare Mastro Don Gesualdo, gravemente malato, che si abbandona al pianto e alla disperazione nel palazzo del duca di Leyra, che ha sposato sua figlia Isabella. Mastro Don Gesualdo, dopo una vita di lavoro in cui ha accumulato grandi ricchezze, impotente assiste alle dissipazioni e alla dispersione del suo patrimonio da parte di suo genero, il duca di Leyra. Il duca di Leyra, essendo un aristocratico, ostenta disprezzo e indifferenza nei suoi confronti. La figlia Isabella non è prodiga di attenzioni verso di lui, un uomo solo e in procinto di morire.

Nello spettacolo, dopo questa scena iniziale, in base ai ricordi che affiorano nella mente di Mastro Don Gesualdo, si susseguono gli eventi che ne raccontano, con un ritmo incalzante e avvincente sul piano drammaturgico, le vicende familiari ed esistenziali. Compare la famosa scena dell’incendio, con cui si apre il romanzo di Verga, che divampa nell’abitazione di una famiglia aristocratica. Si tratta di una nobile casata siciliana, quella dei Trao, avviata verso un ineluttabile declino. Nella casa, danneggiata dall’incendio, vivono tre fratelli, due maschi e una femmina di nome Bianca.

Pur essendo nobile, la famiglia Trao è precipitata nella miseria. Bianca ha una relazione con il cugino, il nobile Rubiera. La baronessa Rubiera, donna altezzosa e fiera della sua posizione aristocratica, si oppone al matrimonio tra suo figlio e la giovane ed avvenente Bianca. Per evitare lo scandalo e coprire la relazione clandestina fra il nobile Rubiera e Bianca, grazie alla mediazione e all’impegno del canonico Lupi, Mastro Don Gesualdo, un muratore che è divenuto con la dura fatica e il lavoro un possidente, viene persuaso a sposare la nobile Bianca.

In questa parte dello spettacolo viene in modo efficace rappresentata l’ambizione sconfinata e smisurata di Mastro Don Gesualdo, il quale, pur di elevarsi socialmente, accetta il matrimonio con Bianca, in modo da instaurare un rapporto di parentela con gli aristocratici. Ben presto, durante la cerimonia che segue la celebrazione del matrimonio, Mastro Don Gesualdo, da uomo intelligente, si accorge che è osservato con disprezzo dagli aristocratici che gli fanno pesare la superiore condizione sociale. Infatti, dopo le nozze, gli aristocratici si rifiutano di partecipare ai festeggiamenti per le nozze nel suo palazzo.

Il rapporto con la moglie Bianca, fin dal giorno successivo al matrimonio, si rivela difficile e privo di ogni forma di autentica tenerezza. La stessa figlia che nasce dopo il matrimonio, e a cui sarà dato il nome di Isabella, si sospetta che sia stata concepita durante la relazione illecita che c’è stata tra Bianca e suo cugino, il nobile Rubiera. È un mondo, questo, che emerge dalla narrazione di Verga e dallo spettacolo, in cui colpisce la disumanizzazione alienante dei rapporti, regolati e dominati dalla ferrea logica legata al tema ossessivo della “roba” e della ricchezza. Sono innumerevoli le scene, sia nel libro sia nello spettacolo, che mostrano Mastro Don Gesualdo animato dalla bramosia del possesso della roba e capace, pur di appropriarsene, di ricorrere ad ogni furbizia.

Per questo motivo, spesso il protagonista entra in conflitto con gli esponenti della nobiltà siciliana, parassitaria, inconcludente e incline a dissipare le ricchezze ricevute in eredità. Infatti è questo uno dei temi fondamentali del libro di Verga, nel quale viene descritto il passaggio d’epoca, alla metà dell’Ottocento, durante il quale si ha la decadenza dell’aristocrazia parassitaria e l’ascesa sociale della borghesia, intraprendente e capace di agire nella vita economica e sociale della provincia siciliana. Mastro Don Gesualdo è un personaggio tragico, poiché è guardato con sentimenti di invidia dal popolo da cui proviene, e con altezzoso disprezzo dai nobili, che lo considerano un arricchito e un uomo ambizioso, privo di gentilezza d’animo e dal tratto umano greve e rozzo.

Mentre la moglie Bianca si ammala, e nelle strade del paese di Vizzini si diffonde la peste, Mastro Don Gesualdo decide di fare rientrare dal collegio sua figlia. Isabella, dopo avere riabbracciato la madre Bianca, malata e oramai morente, si invaghisce di suo cugino Corrado. Mastro Don Gesualdo, insensibile ai sentimenti che sua figlia prova per il cugino Corrado, la costringe a sposare il duca di Leyra, un aristocratico palermitano. Proprio nel palazzo di suo genero a Palermo, dopo avere pronunciato un monologo intriso di malinconia e di tristezza, senza ricevere l’affetto di sua figlia Isabella, a cui aveva donato tutti i suoi beni e le sue proprietà, frutto del suo duro lavoro, Mastro Don Gesualdo muore da solo, circondato dalla fredda e gelida indifferenza dei suoi familiari.

Questo testo di Verga, come hanno notato molti studiosi di letteratura, rivela la crisi morale della società meridionale della prima metà dell’ottocento, dominata esclusivamente dalla logica del profitto e dall’ossessione per la ricchezza. Un mondo il cui squallore morale, Verga nel suo grande libro ha ritratto in modo oggettivo e impersonale. Indimenticabile la rappresentazione teatrale messa in scena da Guglielmo Ferro.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:27