La sinistra e il futuro del capitalismo

La fondazione Italiani Europei guidata e presieduta dal Presidente Massimo D’Alema giorno 9 maggio ha organizzato un importante convegno sui contenuti del libro del Professore Salvatore Biasco, Ripensando Il Capitalismo Edizioni Luiss, economista di vaglia e docente di economia monetaria presso l’università La Sapienza di Roma. Il convegno si è tenuto nella sala dibattito della Camera dei Deputati, situata in via della Mercede, alla presenza di autorevoli esponenti del mondo intellettuale e culturale italiano. Nella sua pregevole e precisa introduzione Giancarlo Bosetti, direttore di Reset e scrittore, ha chiarito e spiegato che il libro di Biasco può essere diviso in due parti: la pars destruens e quella construens. Considerando le cause che sono alla origine della crisi economica internazionale, provocata dalla separazione tra etica ed economia e dal avere tollerato la logica della speculazione connaturata alla forma finanziaria che ha assunto il capitalismo, è fondamentale individuare nella cultura di sinistra le ispirazioni ideali e culturali per superare la crisi. Secondo l’analisi di Biasco si è concesso uno spazio eccessivo alle teorie ed alle politiche derivanti e discendenti dalla cultura economica neoliberale e liberista.

Si è assistito in modo acquiescente e senza preservare l’autonomia culturale della sinistra ad acquisizioni liberali dentro il patrimonio storico della cultura progressista europea. Certamente, rispetto alla ortodossia socialdemocratica, a cui deve essere ascritto il merito di avere forgiato lo stato sociale, la sinistra europea, dopo i fallimenti dello statalismo, responsabile della crescita smisurata della spesa pubblica in occidente, ha conosciuto una evoluzione culturale di cui è necessario valutare le implicazioni culturali e politiche. Da questo punto di vista, è fondamentale capire i rapporti sempre più stretti ed indissolubili esistenti tra stato e mercato e la interazione ineludibile tra democrazia e capitalismo. In presenza di mutamenti epocali che stanno modificando i rapporti economici a livello mondiale per effetto della globalizzazione, la sinistra si deve interrogare sulla fine della società del lavoro, durante il novecento basato sul modello Fordista. Per Biasco, in base alla analisi sviluppata dallo studioso nella parte cosnstruens del suo libro, la sinistra ha la necessità storica di ricostruire un paradigma ideale che sia capace di contrastare il pensiero unico neoliberista, ritenuto responsabile della crisi internazionale.

Occorre definire un modello di sviluppo economico che, in nome di un moderno ideale comunitario, sia capace di privilegiare la logica sociale e cooperativistica anziché quella egoista del profitto, la sussidiarietà, il terzo settore, ovviamente riproponendo e raccogliendo, sia pure in modo critico, quanto di buono si è sperimentato nella lunga stagione della socialdemocrazia europea. Per Marcello De Cecco, economista e professore presso la Normale di Pisa, è sconcertante constatare, che malgrado la crisi sia stata provocata da politiche economiche dovute alla lunga egemonia culturale neoliberista, tranne le eccezioni di Krugman e pochi latri, nessuno tra gli esperti abbia sentito ed avvertito il bisogno di ripudiarle. Ancora più grave è il fatto e la circostanza che gli economisti, che si pavoneggiano pontificando nelle assisi mondiali, non siano stati in grado di prevedere né la gravità della crisi economica né la sua portata devastante. Nel corso del novecento il confronto culturale tra i due diversi modelli di società, quello liberale e quello collettivista, ha favorito nel campo occidentale politiche ispirate alla solidarietà, consentendo la formazione del ceto medio e un grado notevole di giustizia sociale.

Per superare la crisi attuale, che sta provocando disperazione e dolore, ingiustizie e mettendo a rischio la coesione sociale in occidente, è necessario, secondo Marcello De Cecco, mettere in discussione la politica di austerità, che si è affermata a livello europeo. Per l’economista della normale di Pisa è essenziale riscoprire la economia keinesyana, che presuppone l’intervento dello stato nella economia reale. Per Nadia Urbinati, per capire come alla fine degli anni settanta, dopo la crisi petrolifera, si è affermata la egemonia del pensiero unico fondato sul dogma liberista, bisogna ricorre alle categorie elaborate da Antonio Gramsci. Infatti attraverso una manipolazione della informazione e complice la passività degli intellettuali di sinistra, la cultura neoliberista è riuscita a conquistare il consenso di massa. La sinistra, ha ricordato la studiosa e saggista Nadia Urbinati, storicamente è nata dalla esigenza di elaborare un pensiero critico per temperare e correggere le storture e le ingiustizie presenti nel capitalismo. Nel nostro tempo si è avuta sia la separazione tra la proprietà della grandi aziende ed il mondo dei manager, a cui ne è stata affidata la gestione, sia lo spostamento della ricchezza dal reddito da lavoro a quello ricavato dalle operazioni finanziarie, compiute da chi detiene il controllo esclusivo sui grandi flussi di denaro. Per ricostruire un paradigma socialdemocratico e comunitario onde contrastare il pensiero unico neoliberista, per Nadia Urbinati è fondamentale che la sinistra persegua la creazione della integrazione politica in Europa, sicchè sia possibile conciliare la coesione sociale con la efficienza produttiva.

Per Carlo Galli, politologo e docente universitario, per capire quanto è accaduto con la Thatcher e Reagan agli inizi degli anni settanta con la rivoluzione conservatrice, è fondamentale riflettere sul rapporto tra Stato, Mercato, Democrazia. La crisi petrolifera negli anni settanta e le conseguenze della rivoluzione conservatrice hanno prodotto un fenomeno culturale su cui poco si è riflettuto. Infatti, secondo Galli, questa svolta politica e culturale ha generato la fine del compromesso socialdemocratico, fatto storico innegabile che spiega i motivi per i quali sono diminuititi i redditi da lavoro, aumentate pericolosamente e drammaticamente le diseguaglianze, si sono prosciugate le risorse da destinare agli investimenti per i servizi sociali. Ha ricordato Galli come negli anni settanta i libri di Friederich Von Hayek, economista della scuola austriaca, erano letti da persone stravaganti e con visioni culturali regressive e autoritarie. Questi libri non si trovavano neanche in libreria, ma soltanto sulle bancarelle, ha affermato lo studioso bolognese con una punta di snobistico disprezzo. Per Galli è fondamentale tenere presente la lezione intellettuale di uno studioso del liberalismo sociale come Brian Barry, per il quale nella economia di mercato occorre garantire il rispetto dei diritto sociali e civili.

Il Presidente Massimo D’Alema nel suo colto e profondo intervento ha espresso un suo giudizio articolato, traendo le conclusioni del dibattito e riflettendo sui contenuti del libro di Salvatore Biasco. Per D’Alema la fine del compromesso socialdemocratico deve essere posta in relazione con la globalizzazione della economia contemporanea. Infatti nel novecento, quando si diede vita allo stato sociale, l’Europa e l’occidente esercitavano un ruolo egemone nella economia internazionale e detenevano il monopolio della ricchezza. Nel nostro tempo, in cui vi è la competizione tra l’occidente e le tigri asiatiche, come Cina ed India, il contesto economico è radicalmente mutato e sono diminuite le risorse a disposizione dei singoli stati nazionali. Fra le tante conseguenze della globalizzazione, ha osservato lucidamente Massimo D’Alema, vi è la crisi irreversibile dello stato nazionale.

Non è più concepibile una politica comunitaria che si muova dentro i confini della rigida ortodossia socialdemocratica. Diventerà possibile contrastare la egemonia neoliberista soltanto se la sinistra europea unita saprà dare vita alla creazione della unione politica e rendere possibile l’integrazione economica a livello europeo, mediante l’unione bancaria, i Project Bond, ed un indirizzo in materia economica che privilegi la crescita. Per D’Alema è evidente che, per effetto della egemonia culturale del pensiero unico, la destra è riuscita a dare la sua impronta nel nostro tempo alla costruzione europea, che è rimasta incompiuta e soltanto in modo parziale è stata realizzata. Mentre gli Stati Uniti ed il Giappone, malgrado il debito accumulato in passato, compiono investimenti economici per stimolare la crescita, l’Europa rimane prigioniera della ossessione dei debito pubblico e per la sua debolezza politica si espone alla speculazione finanziaria internazionale. Per D’Alema occorre immaginare e creare un compromesso tra la disciplina fiscale e le politiche in favore della crescita, mettendo a livello europeo in discussione l’ortodossia della austerità. Un dibattito utile per capire il futuro della sinistra di fronte alla crisi internazionale su di un libro bello e interessante.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 15:32