
Marco Marinucci è ideatore e presidente di Mind the Bridge, nata a San Francisco per aiutare a promuovere le idee innovative italiane presso e tramite la Silicon Valley. Marco è uno dei maggiori protagonisti dell'innovazione italiana: pur non vivendo in Italia, con Mind the Bridge fa tanto per aiutare lo sviluppo della nuova impresa, soprattutto per i nostri più giovani ragazzi con un'idea in testa e la voglia di realizzarla. È anche il perfetto protagonista per iniziare questo nostro viaggio on the road di andata e ritorno sul ponte (bridge!) che unisce simbolicamente Italia e Stati Uniti, che ci porterà a conoscere americani, italiani, italoamericani che vivono in Italia o negli Usa e che ogni giorno - con ruoli, settori di appartenenza e mission diversi fra loro - lavorano per migliorare le già eccellenti relazioni fra due Paesi amici e alleati.
Marco, dicci di te: dove sei nato, che hai fatto in
Italia, quando e perché sei finito sulla West Coast?
Sono nato a Genova nel 1968, dove mi sono laureato,
facendo un pezzo di tesi con Stanford, e collaborando con l'Irst,
un istituto di ricerca in Trentino che si occupa di intelligenza
artificiale: il primo spazio da me conosciuto con un contesto
internazionale "spinto", dove ho lavorato con alcuni ricercatori
italiani di alta qualità. Poi sono stato un po' in Europa, dove ho
conosciuto quella che poi sarebbe diventata mia moglie e mi sono
spostato con lei in America. Sono a Google dal 2005 e ho dato vita
a Mind the Bridge nel 2007.
Cos'è e come funziona Mind the
Bridge?
Mind the Bridge è una fondazione californiana che ha lo scopo di
creare e aiutare a far crescere casi di successo di tecnologia
italiana negli Usa, tramite diverse metodologie volte a educare e a
promuovere i migliori progetti per poi farli crescere anche grazie
all'esportazione in Italia di un po' di "cultura di Silicon Valley"
per implementare un ecosistema vincente. I progetti di start-up più
interessanti vengono filtrati e supportati da un gruppo di mentor
fino alla parte finale che li vede protagonisti in Silicon Valley
presso lo spazio che mettiamo a loro disposizione insieme ad altre
decine di startup e nel quale sono cresciuti progetti come
Wordpress o Instagram. Oltre alle professionalità spinte che trovi
qui, è proprio l'aria che respiri in questo contesto che può
fare tutta la differenza del mondo insieme, ovviamente, alla
propria attitudine imprenditoriale: questo della Silicon Valley è
un ambiente estremamente fecondo dove far crescere i progetti e noi
partiamo dal mentoring per arrivare alla start-up school (6 o 7
classi di 3 settimane, ogni anno) e anche al seed investment. La
nostra intenzione è anche quella di presentare al sistema americano
un'imprenditoria italiana innovativa e tecnologica che, se
presentata e filtrata nel giusto modo, sia vincente pur sfuggendo
al giro moda/scarpe/cibo. Misuriamo il nostro grado di successo in
base a due elementi. Il primo è il numero di casi di successo che
riusciamo a creare, e da questo punto di vista le cose si
cominciano a fare molto interessanti: delle 18 start-up incubate
nella fase finale, 2 sono state acquisite, 8 hanno avuto funding
importante e 3 hanno vinto premi in altrettante competition per
start-up tra le più importanti a livello mondiale. Il secondo
elemento è il cambio di percezione del made in Italy qui in Silicon
Valley, che vediamo pian piano avvenire, anche mediante l'Italian
innovation day, un brand che abbiamo iniziato a spingere con altri
partner strategici (Banca Intesa, IB&II, Baia), nel 2011.
Questo è molto importante per accelerare la creazione di ricchezza
che le start-up possono favorire.
Immagino che tutto questo voi lo facciate senza un solo
euro di contributo statale dall'Italia…
Eh già. Spesso si possono fare cose rilevanti senza dover
attendere aiuto dall'alto ma grazie al supporto della comunità (non
solo finanziario) se la missione che promuovi diventa condivisa da
molti. Ed è quello che ci piace "passare" ai giovani: crederci e
portare avanti la nostra convinzione, against all odds.
Se potessi scegliere una cosa sulla quale poter provare
a cambiare un po' l'Italia, che ti verrebbe in
mente?
In inglese li chiamano i soft factors: è la forma mentis, in
pratica. Oggi in Italia la situazione critica da cambiare, ancora
prima dei fattori macroeconomici, è quella della mentalità,
dell'approccio. In una recente ricerca si è chiesto ad alcuni
giovani in che percentuale pensassero di poter influenzare il
proprio futuro: Italia e Stati Uniti erano agli antipodi. I giovani
americani erano quelli che per la stragrande maggioranza si
sentivano in possesso del proprio futuro; al lato opposto del
grafico c'erano i giovani italiani mentre una netta minoranza la
pensava come la maggioranza degli americani. Questo è al tempo
stesso causa ed effetto della mancanza di meritocrazia, del
ricambio generazionale, di opportunità, di fiducia nella propria
capacità e possibilità di costruire il proprio futuro. È un
problema difficile da misurare, e non lo risolvi con un decreto o
una legge, è una battaglia culturale. Noi nel nostro piccolo stiamo
cercando di farlo con Mind the Bridge.
Metti il tuo cappello a stelle e strisce e raccontaci
l'Italia bella che vedi possibile, quella che noi da dentro vediamo
con sempre più difficoltà.
La visione da fuori è sempre migliore, come guardare la
terra dalla luna. Da fuori è più semplice, hai meno rumore di
fondo. Ci sono tante cose belle nell'Italia vista da qui, è il
motivo per cui ci si sveglia la mattina e ci si continua a
informare su cosa accade in Italia. C'è un aspetto tipico e
vincente della socialità italiana, difficile da descrivere ma che
percepisce bene chi vive qui negli Usa ma è nato in Italia: il
calore sociale col quale siamo abituati a interagire, che è molto
meno superficiale di quello che troviamo qui. Negli Usa, malgrado
tutto, la qualità della vita italiana viene ancora fortemente
immaginata come di alto livello, pur conoscendo le difficoltà che
vive oggi il nostro Paese.
E invece, mi dici una cosa che concretamente noi
italiani dovremmo imparare dagli Usa?
A pensare positivo. Come dicevamo anche prima, un
contesto più imprenditoriale, sin dalla scuola, aiuta a focalizzare
meglio le proprie capacità e i propri obiettivi. Qui per studiare
spesso ci si indebita, e quindi partire nella propria vita
lavorativa con un passivo da dover ripagare ti dà una prospettiva
diversa, si è molto più pronti al rischio imprenditoriale, si
respira uno spirito - soprattutto qui nella Silicon Valley - che è
quello per il quale non si cerca sempre e solo una rete di
emergenza, un paracadute, un aiuto dagli altri. Si scommette su se
stessi. L'american dream non si vede solo sui giornali, esiste
davvero.
Ma cosa c'è di così magico in questa benedetta Silicon
Valley?
È un mix irreplicabile di più cose. La caratteristica
fondamentale, quella che guida tutti qui e li mette in connessione,
è la consapevolezza di stare per raggiungere un sogno, il pensiero
che sia tutto possibile, che con la passione e il lavoro si possa
cambiare il mondo. È questa la vitamina che ti tira su tutti i
giorni, che si tramuta con una estrema facilità nell'incontrare
persone e fare business semplicemente, direttamente, apertamente.
C'è un continuo flusso di informazioni, di disponibilità, di
curiosità, che rende questi 100 km un'unica rete nella quale si è
sé stessi, ci si comporta bene, non si finge.
Che pensi degli stereotipi sugli italoamericani che
girano sui reality stile Jersey Shore?
Qui in California non li vediamo proprio, né in tv né dal
vivo. Invece, devo dirti che la comunità di italoamericani qui in
California è un gioiello, fatta di persone - che in Italia
purtroppo sono ancora troppo poco visibili - che hanno scritto la
storia della Silicon Valley: sono italiani che hanno coniugato il
meglio dell'essere cresciuti nel nostro Paese con il meglio
dell'opportunità che ti dà l'America. Mind the Bridge è nata anche
per segnalare che loro dovrebbero essere il punto di riferimento
per i giovani italiani: Giacomo Marini, Pierluigi Zappacosta,
Alberto Sangiovanni Vincentelli, Federico Faggin, Roberto Crea …
sono tutti personaggi eccezionali che dovrebbero essere role model
da seguire e dai quali imparare, e sono tutti italoamericani
lontani anni luce dallo stereotipo narrato ingiustamente da alcuni
media.
Torneresti in Italia?
Torno spesso. Viverci è diverso, dipende anche dalle dinamiche
familiari, ora è difficile e non saprei. Ma quello che ti posso
dire è che oggi passo una parte fondamentale della mia giornata a
guardare all'Italia, che è una cosa che non mi sarei mai
aspettato.
***
Non c'è messaggio migliore per poter concludere questo incontro. L'unione tra la creatività e la passione italiana e l'opportunità americana dà sempre buoni frutti. Noi ringraziamo molto Marco Marinucci, un esempio di quanto sarebbe possibile fare di buono in Italia se si guardasse agli Stati Uniti senza invidia o rancore ma, al contrario, con lo spirito di voler imparare i giusti insegnamenti.
Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 15:09